Reattanza alla mattanza, poesie e una prosa di Raffaela Ruju.
Reattanza alla mattanza
A ben pensarci tutti dovevano resistere
a quell’estrema violenza
alla messa a terra delle masse
ridotte in schiavitù morale e mentale
dai superconduttori
Alla temperatura critica
un aumento di tensione
reticolo metallico-Gas-deportazione
tutti a disposizione
per trasportare carichi
Uomini come bestie da macello
dentro un volume di particelle negative
e alcuni che si muovono liberamente
vincolati nelle orbite più interne
all’esterno nuclei di partigiani resistono
Parola d’ordine: Reattanza alla Mattanza
***
Tra il fuoco e il ghiaccio
So molto bene
qual è la differenza potenziale
tra il fuoco e il ghiaccio
eppure se li tocco
entrambi mi bruciano la carne
Devo resistere alle temperature estreme
spaccarmi e frantumarmi
per entrare a pieno titolo
nelle sezioni trasversali delle cose
***
Non posso resistere al bisogno di calore
Non posso resistere al bisogno di calore
Così allontano il freddo
con una corrente alternata di vibrazioni
consapevole degli ostacoli delle emozioni
e delle parti integranti dell’impedenza
quelle che impediscono l’indipendenza
Resisto all’isolamento e alla frequenza del dolore
con una scossa che mi porta a una sommossa
elettrica come sono con me stessa
mi avvolgo di nastro isolante
per restare per un attimo cieca
Ma non posso rimanere troppo a lungo
in questo circuito dell’indifferenza
che regna nel mondo degli altri
troppo sfasati come sono dalle tensioni
che si muovono nel mondo differenziale
Sono finiti i giorni zitti
Sistemo la mia vita in queste ore
con voce limpida e melodica
lasciando disarmato ogni nemico
io, canto, ballo e resisto. Io, esisto.
***
Reazioni a catena
Tu mi ritieni stupida
solo perché resto stupita
quando sento parlare di entropia
Fisica, matematica, geometria
Calpesti i sentieri della logica
mentre io li abbandono volentieri
ingarbugliata come sono nel disordine
Resistere, resistere, resistere
Al cigolio della memoria
Al gelo dell’alba invernale
All’occhio smarrito tra i pioppi
Reazioni a catena, effetto valanga, reazioni nucleari
Tu mi ritieni sciocca
solo perché vivo la mia entropia
come se fosse tempo lineare dilatato
Spazio, tempo, dimensione
In questo spazio astratto
resisto alla mia imperfezione
in eterno conflitto con la scienza.
***
Rosso partigiano
si sono persi i petali
di questo fiore di sangue
e non era profumo
e nemmeno colore
nel giallo delle spighe
risuonava l’urlo
Rivoluzione
***
La risiera di San Sabba
Ancora oggi rabbrividisco quando ricordo le emozioni che indossai quel giorno, sensazioni talmente forti da cui non mi sono mai spogliata. Non si può dire che il quartiere di San Giacomo fosse in nessun senso, una zona distinta. Quella mattina camminai su strade che non conoscevo, mescolandomi con i passanti; mi perdevo e poi mi ritrovavo; dovevo raggiungere l’osteria di fronte alla risiera per l’ora di pranzo. La paura di non trovarla mi fece arrivare con un forte anticipo. C’era una bella pergola di vite, il tempo bello mi permisi di scegliere un posto all’aperto. Ordinai un caffè e aprii il mio libro. Guardavo gli edifici dell’unico campo di concentramento e di stermino, in Italia. La risiera di San Sabba è un luogo in cui alcune persone non riescono ad entrare. Dall’esterno sembra una vecchia fabbrica. -In questa zona infuriava la lotta partigiana, per questo l’hanno fatto- La voce del vecchio era forte e asciutta. -Transitavano per Dachau, per Auschwitz e chissà Dio per dove ancora. Più di 25.000 persone. Prima di andarsene hanno fatto saltare i forni crematori. Però io e mia figlia abitavano proprio in quella casa. I fascisti dicono che non ci sono mai stati forni crematori, ma noi lo sentivamo l’odore della carne bruciata. Seduto al tavolino, il vecchio parlava indicando l’edificio con il bastone. Non ci sei mai entrata, vero? – Feci un cenno della testa per confermare le sue parole. – Tu non puoi nemmeno immaginare l’orrore che proverai. Vai, vai adesso. Devi sentire, devi capire con il tuo sentire-. Ero senza parole. Mi alzai e andai a visitare la risiera. Entrai. Non ricordo cosa vidi, però sentii l’odore e il dolore. Vidi la bambina che scriveva sul muro. La mia testa era piena di lacrime impotenti. Non vidi le celle eppure entrai dentro. Vidi l’uomo che sanguinava sotto i colpi di un bastone. Uscii di corsa. Non sopportavo l’odore di carne bruciata. Scappai. L’uomo mi aspettava. Mi prese la mano. -Adesso sai! Disse allontanandosi col suo bastone. Non aspettai gli altri. Tornai a casa. Non sono più andata in risiera. Lei è la testimonianza vivente di un massacro che io so.
ciao Raffaella, non so se ti ricordi di me (Sarino), ci siamo conosciuti su descrivendo e forse su wordpress. Ho letto con emozione questa bella pagina, soprattutto l’articolo sulla Risiera. Anche io ho provato l’orrore di quelle mura. Sono passati diversi da quella volta che entrai. Devo dire che le sensazioni sono state più o meno le tue. Il senso di angoscia che assale e ferisce e quel vuoto che sembra gridare non l’ho più dimenticati. Vivo a Trieste da molti anni e fu solo quella volta che trovai il coraggio di entrare. L’unica volta, anche per me. Ciao