Caterina e il dilemma della bellezza: note di lettura di Paolo Polvani al libro Aspettando la fine del mondo di Caterina Davinio, Fermenti ed.
Al titolo di un libro è affidato il compito di svelare un percorso, segnare una traccia, suggerire una direzione.
Aspettando la fine del mondo spalanca invece una vastità di interrogativi.
Da escludere subito ogni riferimento a profezie, più probabile si tratti di un auspicio.
I versi sono in italiano accompagnati dalla versione inglese a fronte, ad evidenziare e assecondare la vocazione cosmopolita di Caterina, che si sente ed è cittadina del mondo e questo sguardo largo è di per sé un buon motivo per apprezzare il libro, che, nella sua parte più vibrante, è un colloquio con l’alba, col presentimento di una nascita, quindi siamo proiettati oltre la fine del mondo, in attesa di una nascita, o di una rinascita. Si avverte il brivido della bellezza e la presa dolorosa che esercita sull’autrice.
Il libro nasce dall’esperienza di viaggi, in Africa e in India.
Due tipi di dolore si irradiano dai versi, il primo nasce dalla consapevolezza dei guasti provocati dall’occidente, dalle politiche di spoliazione, di rapina, che hanno affamato interi continenti e ne hanno impedito crescita ed emancipazione.
Si avvertono qui la pena e il senso di colpa: come un vigliacco / ti derubai.
Dichiara la sua anima colpevole: ..”se fossi un santo, sarei in ginocchio / di fronte a una carezza / ma sono un demone / striato di sangue, / segnato di nero.”
Nella parte relativa a Goa un verso: – voi dormivate sulle ceneri della festa- riporta l’attenzione al titolo iniziale: che sia questo il senso, la direzione da prendere nella lettura, che si tratti dell’auspicio della fine di un certo mondo?
I versi spalancano finestre luminose sui paesaggi del viaggio, mostrano un turbamento subito svelato, dichiarato, espresso a chiare lettere : – piansi per la tua forza – e ancora, il turbamento dei passi furiosi nell’erba -perché la notte africana / ha devastato il mio impero-.
Ascoltiamo le voci della foresta, e vediamo gli occhi del babbuino, percepiamo le creature occulte nel frinire della notte, i respiri pulsanti, ansimanti, le scorribande del leopardo, le scimmie curiose, la luce che ferisce.
Il secondo tipo di dolore è legato alla rivelazione della bellezza, alla pressione insostenibile che esercita sul cuore incantato dell’autrice: – mi fa fremere quell’alba che tarda – e più avanti: e mi fa fremere quella luce che esita, / che grigia vacilla nell’ora protesa -.
E dichiara: – Gemo nell’anima / di un freddo dolore -.
Lungo questa vibrazione dolorosa i versi trasmettono con encomiabile efficacia il senso di questo -soliloquio tra me e l’alba: / un passo e l’altro e tutta l’immensità dinanzi –
Questa mi sembra una legittima chiave di lettura, aspettando la fine del mondo, di questo nostro mondo di squilibri e auspicando una nuova alba:
e fummo come la notte che svaniva
come l’aura del sole
come il mattino che sereno invase l’orizzonte
col suo boato ancestrale
con le ferme speranze..-
Aspettando la fine del mondo è un libro che mantiene le promesse e trasmette la dolorosa, spigolosa felicità di chi dichiara: Ho pudore della parola levigata, / quindi la nascondo / buttando note ruvide -.
Fino alla toccante dichiarazione finale: – Cammino nel nulla, e sono raggiante e vivo.-
Per approfondimenti su Caterina Davinio vi rimandiamo al nostro blog:
http://intervistadautore.blogspot.it/search/label/Caterina%20Davinio
Immagine di testata: Dawn After Party, Anjuna, Goa (c) Caterina Davinio.
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