Rediviva donna (classica) Rubrica di A. D’Errigo: Amelia Rosselli

REDIVIVA DONNA (Classica).
Rubrica di Alessia D’Errigo.

Ospita AMELIA ROSSELLI

   

     

UN PENSIERO

Dove ti trovavi quando scrivevi? In quale recesso appartato del cosmo? A parlare con chi? Un oracolo specchio? Un futuro inumano? Un altrove? Un crollo? Una catarsi? Oppure era solo il tuo cuore, enorme e permeo di sentire? Ho pianto, letto e riletto, ed ecco che m’è parso di rivedere il tuo viso, i tuoi occhi vivermi dentro, una nenia straziante di bellezza, i tuoi versi, dervisci rotanti e spasmodici, e poi, eccola, improvvisa, aprirsi la verità cruda, la preghiera, il canto rivelatore, la tua “luna rossa che spiuma”. Tengo in mano questo piccolo poemetto che tra tutti m’è il più caro, per donarne una parte a chi ne godrà, senza altre parole, solo per ricordarti intera, nella tua oprante follia, in questo passaggio mai completamente a terra di tua vita.

Melina, mia cara, ti bacio.
Alessia D’Errigo

Miei Cari Lettori, qui, si cade.
estratti da LA LIBELLULA (Panegirico della Libertà) 1958 – AMELIA ROSSELLI

 

[…]

E tu lo sai. E io
lo so ma l’avanguardia è ancora cavalcioni su
de le mie spalle e ride e sputa come una vecchia
fattucchiera, e nemmeno io so dove è che debbo
prendere il tram per arricchire i tuoi sogni,
e le mie stelle. Ma tu vedi allora che ho perso
anche io le leggiadre splendenti capacità di
chi sa fregarsene. Debbo mangiare. Tu devi correre.
Io debbo alzar. Tu devi correre con la coda penzoloni.
Io mi alzo, tu ti tiri le braccia in un lungo
penibile addio, col sorriso stretto e dure sulla
tua bocca non troppo ammirabile. E cos’è quel
lume della verità se tu ironizzi? Null’altro
che la povera pegna tu avesti dal mio cuore lacerato.
Io non saprò mai guardarti in faccia; quel che
desideravo dire se n’è andato per la finestra,
quel che tu eri era un altro battaglione che
io non so più guerrare; dunque quale nuova libertà
cerchi fra stancate parole? Non la soave tenerezza
di chi sta a casa ben ragguagliato dalle altre
mura e pensa a sé. Non la stancata oblivione
del gigante che sa di non poter rimare che entro
il cerchio chiuso dei suoi desolati conoscenti;
la luce è un premio di Dio, ed egli preferì vendersela
che vendersela sporcata dalle sue oblivionate mani.
Non so cosa dico, tu non sai cosa cerchi, io
non so cercarti. Nel mezzo di una luce che è
chiara e di un’altra che è la cattiveria in persona
cerco il ritornello, Nel mezzo d’un gracile cammino
fatto di piccole erbe trastullate e perse nella
sporca terra, io cerco, e tu ti muori presso
un albero infruttuoso, sterile come la tua mano.

[…]

Egli parla di se stesso in lugubre monotonio,
io fiorisco i versi di altre altitudini, le esterne
noie, elucubrazioni, automobili; che mi prese
oggi nella fine polvere di un pomeriggio piovoso?
Sotto la tenda di pesce canta, sotto il cuore
più puro canta la libera melodia dell’odio. La
vendetta salata, l’ingegno assopito, le rime
denunciatorie, saranno i miei più assidui lettori,
creatori sotto la ribelle speme; di disuguali
incantamenti si farà la tua lagnanza, a me, che
pronta sarò riceverti con tutte le dovute intelligenze
col nemico, – come lo è la macchina troppo leggiera
per tutte le violenze. Allora sarà tempo tu ed
io ci ritiriamo nelle nostre tende, e ritmicamente
allora tu opporrai il tuo piede contro il mio
avambraccio, e tenuamente io forse, ti spalmerò
del mio sorriso appena intellegibile, se tu lo
sai capire, ma se tu sai solo banchettare, fischiare
al becco del vino e della ambiziosa più severa
perfino di questo mio anelare verso la tua
più severa parte, allora distenditi solo fra
la tue pianeti. Non so se io sì o no mi morirò
di fame, paura, gli occhi troppo aperti per miracolosamente
mangiare, la terra che ravvolge e sostiene l’acqua
troppo nera per la leggierezza del cielo. Che
strano questo mio riso da pipistrello, che strano
questo mio farneticare senza augelli. Che strano
questo mio amare le amare ozie della vita.

[…]

Io non so se la tua faccia sa ripetere una
tua crepa interna o se i miei sensi meglio
sanno di questa virile testa che è vero, o se è
falso colui che è bello, bello perché simile.
O bello perché buono? Io cerco e cerco, tu corri e corri.
E io corro! E tu ridi alle folle spaventose!

[…]

Io sono una che
sperimenta con la vita e non può lasciare nessun
rivale toccargli il cuore, le membra insaziabili.
Io sono una che lascia volentieri la gloria agli
altri ma si rammarica d’esser trattenuta dagli
infelici nodi della sua gola. Io sono una fra
di tanti voraci come me ma per Iddio io forgerò
se posso un altro canale al mio bisogno e le
mie voglie saranno d’altro stampo! E se sicura
trionfo su de le pene, trionfante e penitente
rincorro l’intero perdono, e che Iddio permetta
la mia presuntuosa discordanza con le guide del
cielo perlato. Ricorda ch’io fui tra i più stanchi
fra i cavalieri delle nostre pecche. Ricorda
che tutti noi fummo nati per presentare tutte
le stanchezze. Ricorda questa mia vita attaccata
all’ignoto sorseggiare delle tue pupille. Riposa
duramente fino alla fine – e che candidi siano
i tuoi giorni di riposo.

Io non so se tra il sorriso della verde estate
e la tua verde differenza vi sia una differenza
io non so se io rimo per incanto o per travagliata
pena. Io non so se rimo per incanto o per ragione
e non so se tu lo sai ch’io rimo interamente
per te. Troppo sole ha imbevuto il mare nella
sua prigionia tranquilla, dove il fiorame del
mare non vuole mettere mano ai bastimenti affondati.
L’alba si muove a grigiori lontana. Io non so
se tra le pallide rocce io raccontavo lo sguardo,
io non so se tra le monotone grida incontravo
il tuo sguardo, io non so se tra la montagna
e il mare, esiste pure un fiume. Io non so se
tra la costa e il deserto rinviene un fiume accostato,
io non so se tra la bruma tu t’accosti. Io non
so se tu cadi o tu tremi, tu non sai se io piango
o dispero. Disperare, disperare, disperare, è
tutto un fabbricare. Tu non sai se io piango
o dispero, tu non sai se io rido o dispero. Io
non so se tra le pallide rocce il tuo sorriso.

[…]

E gli uccelli volavano molto tranquilli.
E la carestia brillava lontana soltanto ironica.
E l’una era una donna, e l’altro non era un uomo.
E l’una bramava e piangeva, e l’uno era uomo.
E l’una bramava e piangeva, e l’uno era uomo,
e l’altra era donna! Le molli verdi foglie!

[…]

Io ti cerco e tu lo sai e non muovi l’aria per
raggiungermi! Sento gli strilli degli angioli
che corrono dietro di me, sento gli strilli degli
angioli che vogliono la mia salvezza, ma il sangue
è dolce a peccare e vuole la mia salvezza; gli
strilli degli angioli che vogliono la mia salvezza,
che vogliono il mio peccato! Che vogliono ch’io
cada imberbe nel tuo sangue strillo di angelo.
Sento gli astrilli degli angioli che dicono addio,
l’ho sverginato io, ritorno questo pomeriggio.
Sento i pomeriggi farsi slavati d’amore e di
senso, sento i pomeriggi protestare. Sento gli
angioli turpi chiamarmi alla pietà, sento la
linfa ripiegarsi indietro, ai padri stanchi,
sento la pietà coinvolgere me e tutta la pietà,
all’inno nazionale decaduto all’abisso della
volontà. Sento la lumaca spartire il suo sangue
con i grumi più innocenti della terra bassa, fonda,
disparita, sento l’innocenza trasformarsi in
malattia, sento l’inferno impossessarsi dei migliori.
Nessuno sa chi ci ha messo le briglie in bocca,
o chi ci ha tolto i cuscinetti dalla carrozza,
dalla sala aperta a tutti i fenomeni pur che
tu vi entrassi, chiuso con le briglie in mano.
Pertanto tutto si compie parimenti, uguale alla
pioggia amica e leggiera uguale alla tempesta
leggiera e pesante, uguale al sole che batte
trionfante di pena, o elefante di gran pena,
tu sole che corri come se io non ci esistessi.

[…]

Per i tuoi occhi bianchissimi – per le sue
membra limpidissime, io vado cercando la gloria!
Per le sue membra dolcissime, per i suoi occhi
rapidissimi, io vado cercando gente che nasconda
armi nella fratta. Per i suoi occhi bianchissimi,
per la sua pelle lievissima per i suoi occhi
Furbissimi, io vado cercando gente che nasconde.
Per i suoi occhi leggerissimi e per la sua bocca
fortissima, io cerco gente fortissima, che nutra
me e lui insieme nella notte fra le bianche ali
degli angioli fortissimi dolcissimi leggerissimi.

One thought on “Rediviva donna (classica) Rubrica di A. D’Errigo: Amelia Rosselli”

  1. Dove ti trovavi quando scrivevi? In quale recesso appartato del cosmo? A parlare con chi? Un oracolo specchio? Un futuro inumano? Un altrove? Un crollo? Una catarsi? Oppure era solo il tuo cuore, enorme e permeo di sentire? Grazie per questa bellissima lettura

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Dal 1 Febbraio 2023
il numero di VERSANTE RIPIDO con tema:
"RUMORE BIANCO - L'ILLUSIONE DELL'INFORMAZIONE"
    
IN VERSIONE CARTACEA
È DISPONIBILE PER L'ACQUISTO