REDIVIVA DONNA (Contemporanea). Rubrica di Alessia D’Errigo.
UN PENSIERO
“Quella della Tripodi è una poesia estrema e cruda che sfalda ogni certezza e priva di qualsiasi compiacimento; ed è luna, luna enorme che strilla e chiede, che porge e nega, vera, così vera da sviscerare ogni nascosto profondo, un pozzo solitario ove cadere, incontrovertibilmente.”
Alessia D’Errigo
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SILVIA TRIPODI
Silvia Tripodi, siciliana di Sant’Agata Militello (ME), nasce il 29 ottobre del 1974. Si laurea in architettura, ma si dedica alla libera professione solo per un breve periodo. Attualmente vive a Palermo, dove lavora come educatrice. Da qualche mese collabora al sito http://samgha.wordpress.com/.
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TRE POESIE
Ti colse la cifra dell’assurdo,
vomito celeste.
Beatitudine negli estinti giochi
di conclusa adolescenza
svanì
dentro le corsie
battendo alle porte divelte dei cessi.
Oltre ai cuori analizzati
fu il tempo delle collezioni fenomeniche.
Atto dopo atto
dagli oceani giunse voce
ch’eri pronto
a forgiare manovre d’acqua
spinte solenni
nettuniane rotte
degli occhi
malinconiosa coscienza d’essere misero
nella tara assionometrica del corpo.
Pure l’egoismo smaniava d’opprimerti la vita.
Ti colava il naso
e fanatica febbre
fece di te una macchina rotta
puntata sulla terra.
Odio che purezza forgiò
fece di me la nunzia fenomenica
quella delle scale
delle case cangianti.
Casse di siero d’una Ulmaria
smistato tramite sms.
Rotte le acque universali
ci portarono dove non si torna
e più lontano ci gettò fortuna
verso terre parallele
a captare gli ori dei non nati.
Finimmo come stelle di trapunta
in una fauna moderna.
Una terza anima
l’alter di vita nuova
è sempre collegato alle trasmissioni.
Alla sera ci tira coi suoi fili
piano piano
catodico modo di finire
i tramonti seriali del cantante.
A questa terza cosa piace inedia
e disturbo addomesticato
assuefazione ai vuoti
studiata dalle spie
segrete carte
manomesse nelle ore di punta
quando si è più brevi
e sfamati in distrazione in commestibili bare.
Crittografata la fine della storia
esploderà in un numero binario
al vertice dell’azione
la volontà del nulla
concluderà il sonno dell’infame laborioso.
***
Una pena, nel rovinoso viaggio
portata nel cuore.
Una stagione volge al termine
disidratata da un esorcismo.
Ti svegli,
non tremare,
t’assicuro ch’è vero.
Nulla s’è fatto, tutto è compiuto
come dopo un travaglio.
Sarò misericordiosa.
Mi tocca la spina che cede
la sua puntura e nulla volge
oramai al sangue.
Fosti malinconioso
e disturbato
dalle immagini retrattili.
Sacro, come un vanto
ora cessa
lo sprofondato tale essere,
risorge, risorge
dal fuso femmineo
senza punta orientata al nero.
Queste ecchimosi di Maya,
maturo ormai il ritardo,
pupille fisse
che la notte sigillasti,
ora nella sparizione
vengono al mondo
come germogli.
Che il sogno vostro sia l’ombra di una piena
che vi segue, come la nebbia
a proteggere i maligni scompensi
che vi resero pazzi.
Vi perdono, ma non sarò
di un’antica veste
l’orlo bestiale
che non sta
al fiume;
sarò altra abbondanza di acque scremate,
una purezza fidata
il nitore del cielo,
casa di tutti i narcisi.
***
Un disagio era, che si descriveva da sé. Che rassicurava il demente o il maniaco dell’azione. Scongiurava la mortalità, rianimando la voce divenuta roca come in un vaniloquio infantile. Lo gne gne contenuto, contrappunto che avviluppa le stelle senza pianto, l’amarostico in gola del medicinale e ancora la massa pensata dissolta, lo sfacelo urbano che s’accosta ad un ritmo cardinale interiore. Essere disturbate pagine schiantate contro un massimo espressivo.
La roba mia assimilata per una stagione intera e vergognosa, l’occulto ricorsivo e questa enumerazione trasparente senza approdo; lo trova, un fermo immagine, in un punto spazialmente elementare, nel crollo di una prassi inanimata, nei pressi di un centro senza raggi.
Notai, come la cosa più importante, non fosse in me incollata volontà e questo medium fosse attrezzo di un’intimità dislocata, di un dentro e fuori raffinatissimo:
lo sparire approssimato di un atto, il corpus martoriato delle azioni implose, incatalogabili e subito dissolte. Il complemento di una grazia paga che non ama ripetersi, l’espressionismo definitivo delle notizie che rincasano in me; la luce di un vertice che potevo e posso modulare, una punta piatta fatta per non ferire mai abbastanza. Un coraggio era, la misura di un’audacia vile, l’amore per gli incollocabili frangenti. Farmi ancora di un’astrazione, non essere l’io senza soggetto, esserlo quest’io, ma non potere continuare dopo l’arso campo che il fuoco prese.
Il ghiaccio, le metalliche punture al cranio disossato, riemerso dal bidimensionale.
Un esempio di come il vano e l’utile si annullino; di come non si vada e non si resti. O ancora di come questa sia la casa di un lusso esagerato, l’intreccio di due stanze sotto il cielo vuote, addolorate.
Una poesia piena di spigoli da accarezzare, di ombre e di certezze che si sfaldano alla luce. Anti poetica quasi nella sua ruvidezza, che si contrae poi “nella casa di tutti i narcisi” Non sono una critica esperta , ma questa poesia mi arriva diretta. e vine voglia di rileggerla, come se ti lasciasse un pò di fame. Complimenti all’autrice
un’espressività forte e nuda che non lascia spazio a compromessi.
nuove pagine di poesia. Benvenute.
Grazie, Alessia.
Come accogliere i numeri binari, i mondi vuoti di anomalie perfette, l’impossibile alienarsi agli assurdi, refusi coniati dai residui, piccole allocuzioni mobili tra l’inerenza programmata e l’incoscienza illetterata del bisogno di confondersi. Quanti anni sono passati da quando pubblicai i tuoi scritti, solo ieri ti ho pensata, ho battuto i sogni sull’assioma inconscio, anima senza tregua, solo respiri e voli, prontuari da sfogliare per essere “atto dopo atto”, semplicemente ipotesi, sequenza d’onde alla risacca, eco motorio e rombo. Vorrei forgiare l’attimo in cui t’ho conosciuta, eri solenne e triste, come portale chiuso sull’assenza, etere terreo, ambrosia e vino. E mi piacque l’oceano d’intenti, l’abisso clandestino, il ghetto ribonucleico dell’elicoide purinico, l’ombra in cui tuffarsi per riannodare eterni giochi e giostre.
Complessivo e contemporaneo, dislocato negli spazi ricorsivi, serie d’io randomizzati, altro caos d’eterni casi… l’infinito è attesa che tutto si plachi nulla e ogni limite s’azzeri.
Contento di rincontrarti Silvia
Sono contento di scoprire che ci sono altri poeti che usano le parole come dei pugni. Sono contento di aver scoperto Silvia. Massimiliano.