Regalami una luce, di Manuela Dago, con postfazione a cura di Paolo Polvani.
Manuela Dago è nata in Friuli. Da alcuni anni vive a Milano.
Nel gennaio 2012 ha dato vita insieme a Francesca Genti a Sartoria Utopia, capanna editrice di libri fatti a mano.
Nell’ambito del Festival Internazionale di Poesia “Acque di Acqua” ha pubblicato nel 2012 la raccolta Un mare piccolo.
Con Sartoria Utopia ha pubblicato “Altre forme di vita”.
Vi proponiamo qui cinque poesie di Manuela:
regalami una luce
anche senza speranza
(quella ce la metto io)
va bene usa e getta
o intermittente
una luce per essere vista
di notte in bicicletta
mentre torno a casa
ed essere trovata
dalla rivolta che ho guidato
fino a qui
senza riuscire a vederla.
***
C’è mare a destra
e anche a sinistra
che viene giù dal cielo
e poi dalle montagne
in mezzo scorre l’uomo
con la scorza lavata
battuto dal tempo
che soffia contromano
e nelle mani un incendio.
Il paesaggio ci dà
un passaggio nel passato
e il ricordo dimenticato
è proiettato in fondo al palato
gutturale ricamo
di saliva che non sale
non arriva al labiale
galleggia nel labirinto mare
dell’ancestrale pancia del Creato.
L’Uomo e la Parola
insieme dal brodo primordiale
non hanno saputo capirsi a vicenda
la lotta continua
amorosa e violenta
è una lenta uscita eterna
dal preistorico mare
e ci chiediamo ancora
se qualcuno ci stia ad aspettare.
***
L’importanza di avere un Ernesto
Il mio cane ha un cane
che si chiama Ernesto
e odora di libertà.
Parla poco Ernesto
vive fuori città
fa il pendolare
un’ora di treno tutte le mattine.
E questo chi me lo dice?
Me lo dice Gimmy
il pappagallo del mio gatto
Rufus che sta sempre alla finestra
e vive accanto alla stazione
e guarda tutte le mattine Ernesto
che scende dal treno
e si butta sotto il primo vagone.
Ernesto profuma di libertà
ha molte potenzialità
e molti sogni inespressi.
Sogna di innamorarsi presto
di invecchiare tardi
sogna che tutto nella vita
arrivi al momento giusto.
*
Sta finendo l’effetto
nessuno lo vuole capire
non ho più voglia di niente
neanche di morire,
è comunque un successo
ed è successo
proprio a me.
Mordo il mio cane
e lo mordo adesso
mi guarda perplesso
io gli rispondo
alzando le spalle
lui mi dice:
ho il fegato grasso!
io prendo il guinzaglio
e me lo porto a spasso.
Me lo porto al bar
e lui si annoia
lo porto al luna park
mi vomita addosso.
Torniamo a casa
e per il troppo insuccesso
io finisco a letto
ma è lui il depresso.
*
Ernesto è vendicativo
tiene una testa di cavallo
sotto al letto
per i nemici
per i momenti buoni
invece tiene due o tre
bottiglie di prosecco
olive verdi giganti
e aperitivi sempre freschi.
Quando lo lascio stare
mi chiama “mamma”
e non vuole carezze
vuole che io mi dia da fare
mi morde i pantaloni
e caga sul tappeto.
E’ un caso clinico
di cane cinico
ipocondriaco
e bradicardico.
Io non lo posso ignorare
questo cane sta così male
che pur di potersi lagnare
con ogni diritto
finisce che sogna
di avere la rogna.
INSENSIBILI ALLE SIRENE
E’ tutto difficile
come trovare le chiavi
di casa la mattina
o perdersi
se non si può partire.
E’ difficile non confondere
il canto di un uccello
con il trillo
di un cellulare
da quando anche loro forse
sono rimasti senza buoni
esempi da imitare.
*
E tutto questo succede
anche perchè noi siamo diventati
insensibili alle sirene
e ci facciamo rinfrescare
la notte dal rumore
del lavaggio delle strade.
***
COSA PENSA LA GENTE
E’ un problema di parole
anche il non poter parlare
il non poter spiegare
spiegare le tue parole
a chi ti sta ad ascoltare.
Quando nessuno mi vede
faccio le cose peggiori
e le faccio a me
è un discorso di educazione
un discorso senza parole.
Avrei bisogno di un titolo di studio adeguato
per dire come mi sento
a uno che fa ricerche di mercato
e mi chiama mentre sto scrivendo una poesia.
Mi piace scrivere
perchè mi piace pensare
così direi all’intervistatore
se non mi mancasse il tempo
ed anche il fegato
per non subire le sue domande.
Vorrei poter decidere io
cosa sentirmi chiedere
vorrei una ricerca di mercato
che chiedesse alla gente
Mi dica, oggi a cosa ha pensato?
Come si sente?
Io risponderei:
Qualcosa di finito
che non conclude niente.
Postfazione di Paolo Polvani.
Manuela Dago usa l’espediente del gioco come un grimaldello per scardinare la stupidità del senso comune, il non senso della crudeltà quotidiana.
E’ un cavallo di legno che espugna dall’interno l’insensatezza, la banalità di tanto vivere.
Non per niente il suo cane ha un cane/ che si chiama Ernesto/ e odora di libertà.
Ed è l’aspirazione a questa libertà che viene lanciata come un interrogativo muto, come un salvagente che consenta di salvarsi, di non annegare nella incomprensione tra l’uomo e la parola che ci accompagna fin dal brodo primordiale.
Poesia che può apparire giocosa in superficie, provocatoria, ma che rivela la sua consistenza amara non appena si provi a tirar via la buccia.
Si sovvertono le parole, si sovverte il senso perché si vorrebbe sovvertire la realtà.
Anche perché noi siamo diventati insensibili alle sirene.