Reportage del “Encuentro Internacional de Escritores Ojo en la tinta”, a cura di Lucia Cupertino: Colombia, poesia tra i pittogrammi Muisca.
Facatativá, ottobre 2017
- La poesia vince il calcio, per un pomeriggio
Non si parla d’altro. I bar sono zeppi, la bandiere esposte, le birre scalpitano nei frigoriferi, i maxischermi spuntano come funghi nei boschi dopo le piogge, si moltiplica il traffico per essere puntuali. Esserci. Sono le 5,30 del pomeriggio e sto raggiungendo la Casa de la cultura di Facatativá, paese a una trentina di chilometri da Bogotá. Alle 6 è prevista la cerimonia d’inaugurazione del “Encuentro Internacional de Escritores Ojo en la tinta”, nella cornice della attività del Tunjo Fest 2017.
Mi viene confermato che, proprio alle 6, c’è il calcio d’inizio di Perù-Colombia, eliminatoria per il Mondiale. Incomincio a storcere la bocca, un po’ pensierosa. La poesia già stenta ad avere un suo pubblico in situazioni normali, ma questa è una lotta impari! Sicuramente l’auditorium sarà vuoto o ci saranno i famosi quattro gatti. Dimentico però d’essere nel paese in cui, in un indissolubile contrasto, tutto è possibile: dagli accadimenti più atroci di una storia macchiata di sangue e conflitti fratricidi alle gioie più inattese di una quotidianità fatta di fratellanza e vita in comune. Solco la porta dell’auditorium ed è già mezzo gremito. Edoardo Loaiza, moderatore dell’inaugurazione, mi lancia un’occhiata come a volvermi dire: Hai visto? Te l’avevo detto io che qui a Facatativá c’è gente che rinuncia ad una partita per la poesia! La mia faccia è sensibilmente più distesa, comincia a disegnarsi un sorriso.
Osservo i festoni che sono stati preparati per accogliere i poeti per una settimana in questo municipio del dipartimento di Cundinamarca, sono stati confezionati artigianalmente e con tanto amore dagli studenti della Escuela de Literatura de Facatativá, diretta da Jorge Valbuena, poeta e direttore dell’incontro letterario, nonchè membro dello staff editoriale de La Raíz Invertida, una delle riviste di poesia più in evidenza nel panorama colombiano e latinoamericano.
Sostanziose le presenze poetiche latinoamericane a riempire di versi Facatativá: Enrique Winter e Héctor Monsalve (Cile), Victoria Montemayor (Messico), Malena Martinic Magan e Silvana Bonacci (Argentina); Víctor Paz Irusta (Bolivia), così come poeti colombiani quali Margarita Losada Vargas, Fabio Delgado, Luis Mallarino, Luis Armando Botina, Alejandra Nieto, Mario Torres Duarte, Ricardo Infante, Henry Alexander Gómez, tra gli altri.
La cosa sorprendente è che gli studenti della scuola di letteratura hanno letto estratti della nostra opera prima del nostro arrivo. È evidente che in un solo colpo sono riuscita a conquistarmi più lettori dei venticinque manzoniani. La gioia vibra negli occhi, perchè esistono costantemente momenti di sconforto in cui, benchè la parola poetica si incendi di grandi ideali, lotte e sogni di cambiamento, la si sente abbandonata a sè stessa, senza qualcuno che ne resti in ascolto. Ogni poeta e poetessa può contare sull’appoggio costante di due studenti della scuola di letteratura, delle madrine e dei padrini locali che ci orienteranno in questa settimana di intense attività. Le mie due madrine sono Paola e Karen, con le quali condivido la passione per la poesia e la riforestazione.
La tensione dell’auditorium vuoto è smarrita. La Casa de cultura è piena e tutti gli occhi e le orecchie sono rivolti a noi poeti e agli studenti de Escuela de Literatura de Facatativá che leggeremo una poesia ciascuno, a mo’ di apertura delle danze poetiche. Ad essere sincera, di tanto in tanto gli sguardi degli astanti cadono sui cellulari per seguire i risultati della partita, ma tutto sommato anche solo per un pomeriggio la poesia ha fatto goal tra i presenti.
- Recinto robusto in fondo alla pianura
Questo il significato dell’evocativo nome ancestrale di Facatativá nell’antica lingua muysc cubun della cultura muisca, presente nella zona in epoca precolombiana e che ha fondato Bacatá, successivamente chiamata Bogotá. Le mattinate sono gelide in Faca, diminutivo con il quale comunemente ci si riferisce alla cittadina. Rispetto alla sempre estiva Cali in cui vivo, qui torno ad assaporare pienamente le quattro stagioni, la nebbia mattutina fitta e pungente sulle palpebre del paese e delle montagne, il piacere di una cioccolata calda tra le mani, la necessità di rintanarsi nel tepore degli interni, il timore di non avere vestiti sufficentemente caldi.
I tetti del centro di Facatativá -fatti di tegole ricoperte da strati di vegetazione che cresce selvaggia e silente- attirano la mia attenzione, mentre con altri poeti, le madrine, qualche insegnante o abitante ne ripercorriamo le vie per raggiungere i luoghi delle attività dell’incontro. Talvolta, specialmente nella piazza centrale, pare di essere in Argentina o Cile per via dei gruppi musicali invitati al Tunjo Fest. In altri casi ci trasponiamo nell’intrigante Chihuahua ritratta dal fotografo messicano Eduardo Altamirano Fierro, che ci accompagna immortalando alcuni momenti della rassegna.
Le letture si avvicendano con un ritmo incalzante e allo stesso riusciamo a costruirci uno spazio per l’approfondimento e il confronto coi partecipanti, financo una pausa caffè a casa della maestra Clarita che ci ha spalancato le porte della sua aula, della sua dimora e del suo cuore. Leggiamo nella Casa de cultura, in biblioteche, scuole, in piazze, centri educativi e bar così da toccare i principali spazi culturali di Faca. In realtà non si tratta solo di letture, vi sono panels con discussioni tematiche e laboratori di scrittura aperti a cittadini di qualsiasi età. Una caratteristica originale e vincente dell’ “Encuentro Internacional de Escritores Ojo en la tinta” è quella di mettere in dialoghi i talenti consolidati del panorama letterario nazionale e internazionale con i talenti emergenti, in crescita o consolidati di Faca. Molte delle attività sono state animate da entrambi in modo molto orizzontale e partecipativo. Questo attutisce di molto quell’atmosfera da divi che di tanto in tanto si ripropone in alcuni festival e incontri letterari e rende più genuino e reale lo scambio umano e letterario. Per me non si smette mai d’imparare, chiaccherando coi “colleghi” poeti provenienti da varie realtà latinoamericane o anche da varie regioni della Colombia con cui si scoprono sempre nuovi spaccati sociali, storici e personali di questo grande continente in costante pulsazione.
Di grande spicco, in questo senso, la presentazione de Bitácora de la memoria. Crónicas y conjuros de Facatativá, libro presentato in anteprima assoluta nella serata di chiusura e frutto del lavoro collettivo e costante degli studenti della scuola letteraria diretta da Jorge Valbuena. Un’opera in cui si condensa la storia di Facatativá attraverso la penna dei suoi abitanti più adulti, il cui lavoro di scavo storico in materiali d’archivio o interviste a popolazione locale condotta ha portato alla ricostruzione di un tassello di memoria locale. Vi è poi anche una sezione di voci dell’infanzia che ci riportano al grado più intimo e festoso della parola che parla di luoghi e storie. La pioggia fine e battente accompagna l’avvicendarsi delle letture degli autori de la Bitácora mentre tra gli astanti si diffonde la piacevole sensazione che il “Recinto robusto in fondo alla pianura” ha ancora molte storie nascoste da scovare e portare alla luce.
- Scrivere semi
I pittogrammi del Parque Piedra del Tunjo, il sito archeologico di Facatativá, sono la traccia viva di un’antica civiltà, precedente a quella muisca, che rischiava d’essere cancellata a causa dell’incuria a cui era stato abbandonato il luogo. Adesso è invece un punto di riferimento imprescindibile per conoscere l’archeologia colombiana, compunta di monumenti e artefatti singolari così come di mille punti interrogativi circa popolazioni la cui forma di vita, organizazzione e credenze è ardua impresa ricostruire. Il recupero del sito archeologico di Faca è avvenuto a seguito di una rivendicazione comunitaria nel 2007, da quel momento sono state avviate le operazioni di restauro e sono riemersi pittogrammi color terra di Siena di natura antropomorfa che, secondo alcune ipotesi, potrebbero essere stati elaborati da antichi sciamani premuisca. Attualmente il Parque Piedra del Tunjo è meta di peregrinazioni e rituali di ringraziamento alla terra e al passato ancestrale, vi accorrono molte delle etnie presenti in tutta la Colombia, tra cui i famosi kogui della Sierra Nevada di Santa Marta.
Assieme alla poetessa argentina Silvana Bonacci, ci addentriamo nel sito archeologico tra le sue enormi rocce, custodi di questi pittogrammi densi di mistero e storia. Siamo partite poco dopo l’alba e una buona spremuta di arancia ci rinfresca all’entrata. Sostiamo di tanto in tanto cercando di decifrare segni e immagini, mescolando questi smilzi tentativi con chiacchere circa le nostre vite.
Una tappa significativa del percorso archeologico è quella di fronte alle pietre dei presidenti, qui riviviamo l’urto avvenuto nel XIX secolo quando qualche presidente colombiano ha avuto la brillante idea di riprodurre su queste rocce i volti di una carrellata di presidenti, sovrapponendoli ai pittogrammi preesistenti e destinandoli così ad un lungo oblio. Secondo le norme vigenti in archeologia in Colombia, inoltre, tutte le opere precedenti al 1915 devono essere preservate ed è per questo che nel corso del restauro si è dovuto rispettare l’obbligo di lasciare intatte le pietre dei presidenti nella loro ultima versione.
All’uscita dal sito archeologico, mentre mi avvio ad una scuola elementare di Faca dove impartirò un laboratorio di scrittura, continuo a pensare a quel terribile gioco di sovrapposizione violenta di memorie visuali, alla distruzione di un archivio storico più antico e fitto di richiami al territorio in cui è stato forgiato. Qualcosa che noi cataloghiamo come primitivo, per via della semplicità dei tratti dei pittogrammi, ma che potrebbe condensare un sapere complesso e frastagliato, è stato brutalmente rimosso. Senza rendermene conto, immersa in queste riflessioni, sono già di fronte ad una ventina di bambini tra gli 8 e 10 anni e alla maestra Clara Sierra che mi introduce ai suoi alunni.
Per questa attività laboratoriale ho ideato una proposta didattica che incrocia linguaggio ed ecologia. Ho tratto ispirazione dai lavori dell’antropologo e scrittore colombiano Javier Naranjo, approfondimento sorto in seguito alla partecipazione ad uno dei suoi laboratori a Cali. Naranjo ha maturato un’esperienza ventennale lavorando al fianco di bambini e adolescenti appartenenti alle comunità di ogni angolo della Colombia. Uno dei libri in cui si raccoglie questo lavoro è “Los niños piensan la paz” (I bambini pensano la pace), un dizionario creativo all’interno del quale i più piccoli raccontano a partire dal loro vissuto, in certi casi con una forte dosi d’ironia ed in certi altri di tristezza e perdita, le parole basilari del conflitto colombiano (ad esempio guerra, morte, dolore, etc.) così come quelle legate alla speranza di un tempo di pace (ad esempio amore, perdono, rispetto, etc). Si tratta di un lavoro in cui si tessono visioni realiste, poetiche, testimoniali e attraverso la parola si cerca di scrivere un dizionario sentimentale, esperienziale e riflessivo della realtà infantile. Ne emerge un quadro interessante, che include una prospettiva spesso posta in silenzio, dal momento che non prestiamo la dovuta attenzione ad un pezzo della nostra memoria, quella delle generazioni più piccole.
All’interno del mio laboratorio, ho cercato di far emergere le visioni dei bambini circa la natura. Per questo ho lavorato con alcuni semi di piante native della zona andina. Il primo approccio è stato quello di mostrarglieli, alcuni di essi (come il mais) risultavano molto familiari ai bambini, mentre altri stentavano a riconoscerli (è il caso del seme di cotone) ma erano molto sorpresi e contenti per la nuova scoperta. Gli alunni hanno cominciato a scrivere attorno alla parola SEME a partire dal loro vissuto, alla fine abbiamo letto ad alta voce le visioni di ognuno di loro e siamo andati avanti con questa dinamica introducendo altre parole del mondo naturale e cercando di fare una lettura profonda e collettiva degli elaborati degli alunni. Questa attività nasce con l’idea di poter attivare un ciclo di incontri in cui, attraverso la parola, si possa stimolare, risvegliare o rafforzare il sentimento ecologico dei bambini, così come esplorarlo nella sua forma primigenia. Ritengo che possa essere un’attività da sviluppare in modo congiunto con altre materie quali le scienze naturali e la storia e sarebbe perfetta in scuole che hanno creato un orto didattico o sono in procinto di realizzarlo. L’attività letteraria coronerebbe quella nell’orto facendo emergere le emozioni, i cambiamenti, le domande, i dubbi, le scoperte legate alle pratiche ecologiche perché, in fin dei conti, la passione per la natura va retroalimentata ed attorno ad essa occorre riflettere e soffermarsi con vari strumenti. Uno di essi potrebbe essere quello della parola creativa.
Il giorno dopo ho riproposto questa attività nella biblioteca municipale, ero di fronte ad un pubblico misto, la maggior parte di essi adulti. Allora ho spiegato che potevano prendere parte al laboratorio solo in qualità di bambini. Loro hanno colto al volo la sfida e il laboratorio è stato molto interessante, le loro parole ricche di trama poetica e di potenza visionaria, quella di immaginare un altro mondo all’interno dell’attuale senza dover ricorrere ad alieni e navicelle spaziali, ma ritornando alla radice di noi stessi e dei nostri sogni più sublimi. Un viaggio attraverso cui riscoprire il seme di ognuno di noi, scriverlo per materializzarlo nella vita.
Sono già quasi giunta a Cali, dopo dodici ore di bus e una quantità di curve che rasenta l’infinito. Le temperature tornano ad essere alte, per strada appaiono frutti, sapori e colori del Valle del Cauca del la costa pacifica. Tornare a Cali è tornare alla realtà che mi ospita e mi nutre. Questa volta lo faccio arricchita di questa esperienza, della magia del Encuentro Internacional de Escritores Ojo en la tinta”, della sapienza e bontà degli abitanti di Faca a cui dedico questo resoconto perchè, grazie a persone come voi, ha senso continuare ad alimentare la creazione di alterità dentro e fuori la carta.
Grazie a Lucia Cupertino per questa iportante testimonianza! Che cosa dovrebbero fare gli scrittori, i poeti se non piantare semi?Siamo contadini di piante alfabetiche e la partecipazione della gente è l’acqua necessaria per farle crescere. Non chiudersi in torri d’avorio, in case di specchi, ma andare per le strade e nei luoghi pubblici, aprirsi ai tu , parlare della propria esperienza e ascoltare con partecipazione quella degli altri. Mi sembra importantissima soprattutto l’esperienza nelle scuole. Riguardo alle ‘scuole di pace’ segnalo l’esperienza della scuola di pace di Neve Shalom Wahat al-Salam,comunità fondata da Bruno Hussar, dove bambini e ragazzi ebrei e palestinesi imparano insieme a costruire un percorso di pace a cominciare dalla gestione non facile dei conflitti. L’esperienza è raccontata in “Il folle sogno”, Edizioni Terra Santa, 2017.
Interessante l’articolo: ricco di impegno, progettualità e colore locale. Facatativá, “Recinto robusto in fondo alla pianura”: potenza del nome! …Forse un campo di calcio non è cosa poi tanto diversa di fronte alla piattezza della vita, senza confini e senza regole. L’arte e il gioco hanno questo in comune: di creare isole di senso e di bellezza nell’entropia del mondo. A prescindere dall’uso commerciale che poi se ne può fare. E i bambini apprendono attraverso il gioco (forma più arcaica dell’arte). Così forse si spiega il miracolo dell’affluenza di pubblico nonostante la contemporanea partita di calcio….Eravate già su un campo di calcio e stavate giocando!