Ritratto di donna al mare con bambino, poemetto di Francesco Macciò.
Francesco Macciò, scrittore, saggista vive a Genova. Sotto pseudonimo ha pubblicato il romanzo Come dentro la notte (Lecce, Manni, 2006): “un bellissimo libro, coinvolgente, alto, misterioso, intriso di una idea forte, problematica e nobile di letteratura” (Giuseppe Conte),«il notevolissimo merito di Come dentro la notte è la reinvenzione del genere narrativo, tanto usurato soprattutto negli ultimi tempi» (Giorgio Bárberi Squarotti). Ha curato il volume di studi su Giorgio Caproni Queste nostre zone montane, con introduzione di Giovanni Giudici (Genova, 1995). Libri di poesia: Sotto notti altissime di stelle, prefazione di Luigi Surdich, La Spezia, Agorà, 2003 / Matisklo, 2013, introduzione di Mirko Servetti; L’ombra che intorno riunisce le cose, Lecce, Manni, 2008; Abitare l’attesa, prefazione di Gabriela Fantato, Milano, La Vita Felice, 2011 (finalista Premio Volterra Ultima Frontiera 2012, finalista Premio Internazionale Mario Luzi 2014/2015), L’oscuro di ogni sostanza (prefazione di L. Surdich, La Vita Felice, 2017). Ha vinto il Premio “Cordici” di poesia mistica e religiosa (2009) e il “Satura città di Genova” (2012). È direttore artistico del festival TorrigliaInArte e promotore della rassegna Incontri con gli scrittori presso il Liceo Sandro Pertini di Genova. Attualmente sta collaborando con alcuni musicisti alla registrazione di un CD di brani musicali da lui composti.
Ritratto di donna al mare con bambino
ut pictura…
a mia madre, Giovanna Carraro
È già tutto dentro di me
il tuo viso che sfiorisce,
il mistero di insetti come nuvole
che offuscano il sole,
quest’albero di foglie dure
che non ci appartiene
e i suoi grandi fiori bianchi
dove risorge il mondo in un niente
e diventano mie
le tue scarne parole.
E poi, come su un foglio stanco,
quel tuo sapere sempre
di noi ciò che dobbiamo fare:
le piccole incombenze quotidiane
e le cose serie e importanti
che non riesco mai a ricordare.
*
«Le poesie non sono un’arte,»
mi diresti per aiutarmi un poco
a non ricordare. «Ti portano
a perderti quando le scrivi
e appena le hai scritte sono già tutte
perse in un’altra parte.»
Ma oggi con il tuo bambino
– lo tenevi sicura per mano
al riparo dal sole –
risalivi la sabbia come un’onda
che esce dal mare e non ritorna.
Lungo la riva intanto,
ignari di noi, i miei figli
scavavano fino all’acqua
una buca profonda.
*
Via Olive di Stanghe…
è là un po’ fuori mano un alberghetto
non troppo lontano dal mare
tra un canneto d’acque stagnanti
e un ulivo rinsecchito.
Via Olive di Stanghe…
le rane, le zanzare,
le siepi polverose di pitosforo.
La spiaggia settembrina,
le piste sulla sabbia,
le mie biglie iridescenti.
Il tuo bambino
con te bambina.
*
Mi dici di Rosso e Antracite
rimasti in paese, che i gatti
qui non possono stare.
Lassù ogni cosa ha il suo posto:
i torrenti, le botteghe,
i campi, le montagne.
Da un angolo della stanza
lo scricchiolio dell’anta
a specchio dell’armadio.
Più in là che non si sentono passare
i treni, un ventilato
vasto piazzale.
La tua voce bambina
che si allaccia alla mia.
*
Gira sempre lo stesso disco
e il jukebox non si ferma
intorno ai resti di un’estate
in piedi dietro il banco a servire
sigarette e sale, trinciato e cartine.
Ma ora dietro le lenti scure
nel rincorrersi pigro delle voci
il volto è disteso al sole
quieto di settembre, le gambe
sulla sdraio ora sono a riposo.
Dentro il secchiello verde
c’è il salvagente da gonfiare.
Li buttano in acqua i bambini
dove non si vede il fondo
perché imparino a nuotare.
*
«Se ne contiamo dieci,
dieci soltanto, vedrai
che arriva… arriva per la cena
con la sua Millecento caffelatte.
Lo sai, ha paura del mare,
ma è un asso al volante.
Lo vedremo salire come sempre
con la ruota sul marciapiede,
appoggiarsi dolcemente
con il paraurti alla ringhiera.
Contiamone dieci, una
ad una, noi due insieme,
perché non ha fortuna
questa sera la tua mamma…
ne passano poche e tutte nere.
Nessun faro da lontano
in galleria, nessuna
lingua di drago vortica
dalle bocche di Sant’Anna.»
*
«È una persona davvero curiosa
il nostro vicino di stanza.
Chiede se ha messo appetito
a nostro figlio il mare, la vacanza…
e un sacco di altre cose.
Vuol sapere di te, dei tuoi affari.
Diffida dei diffidenti.
Non sopporta i bambini pensosi,
e quelli che non ridono mai.
Dice sempre che l’invidia
muove il mondo e chi t’invidia
anche quello che non hai.»
*
Sopra questo rettangolo di terra
non arrivano che onde smorte,
voci lontane
come sillabe scheggiate.
Si frangono sugli scogli
con le canzoni allegre dell’estate.
*
«Non sono scogli, signora,
sono avanzi dell’ultima guerra,
blocchi scivolosi di ferro
e cemento, un’esattezza
che taglia in due
la superficie del mare.
L’acqua è limpida, poco profonda.
Si frangono al largo le onde.
Nessun pericolo per il suo bambino
se non ha ancóra imparato a nuotare.»
*
«Non devi avere paura:
non finisce qui la terra,
c’è ancóra altra terra
sotto il mare, e ci sono
radici, scogli, erba,
paesi nuovi da esplorare.
Si dice che sulla terra
si appoggi, non so come,
tutta l’acqua e sul fuoco
l’aria e il fondo del mare…
un mare come un lago
che senza onde ci circonda
su questo nostro pezzetto
di sabbia e di terra.»
*
«È sempre più tardi e il Tempo,
sai, non si fa aspettare…
Oggi si è messo a giocare un poco
con quel sassolino bianco
che si rotolava nella risacca.
Ricordi? Volevi salvarlo,
così arcano, primordiale,
destinarlo a nuova vita
perché restasse come era,
proprio come il mare
che se l’è preso e portato via.»
*
Nota
In Mi dici di Rosso e Antracite, Rosso e Antracite erano i nomi dei miei gatti; in Gira sempre lo stesso disco è un riferimento al mestiere di mia madre, che gestiva una tabaccheria a Torriglia: le sue ferie – una decina di giorni a settembre – coincidevano con le mie vacanze al mare; in Se ne contiamo dieci, le “bocche di Sant’Anna” alludono alle gallerie sull’Aurelia che da ponente immettono nella cittadina di Sestri Levante.