Rock poetry by Sf: Long live The Libertines
Sul ritorno dei Libertines, l’anno scorso, ci avrebbero scommesso in pochi.
Il 2002 era lontano, ed era veramente successo di tutto. L’amicizia, il successo folgorante, i litigi, la fama, le prime pagine, Kate Moss, la droga, il carcere, le cliniche e poi la divisione definitiva, che questa volta era parsa davvero irreparabile, ognuno con nuove band, magari a suonare le stesse canzoni, ma da soli, per sempre.
Invece, erano passati gli anni, e alla fine, contro tutte le previsioni, si erano ritrovati.
Pete Doherty e Carl Barat. Hanno ancora quell’aria da studenti di college oltraggiosi, perennemente spettinati, la divisa in disordine, l’alito ansimante di alcool.
Ma non hanno più vent’anni. E la vita, i corpi, li violenta.
Dei due, Pete sembra quello che ci ha rimesso. Se può invecchiare un bambino lui l’ha fatto. Qualche capello in meno, qualche chilo in più. Lo sguardo un po’ più appannato.
Carl ha la solita espressone strafottente.
Tutti e due hanno la vecchia energia da liberi pensatori, il coraggio di mettersi a nudo, lo spregio del ridicolo, e il gusto della ribellione.
Con Anthems for doomed youth, Inni per una gioventù condannata, arrivano dalle parti della letteratura.
Il titolo della canzone che dà il nome all’album, lo rubano alla poesia più famosa di Wilfred Owen, patriota inglese morto sul campo di battaglia a pochi mesi dalla conclusione della prima guerra mondiale. Il suo manifesto contro la guerra racconta di una generazione polverizzata, trasformata letteralmente e senza rimedio in carne da cannone.
I due sono colti e smaliziati, e ne fanno una canzone autobiografica, azzardando, con irresistibile irriverenza, il parallelo fra il rock e la guerra.
Pete e Cal tornano anche sul palco, e c’è ancora tutto.
I ritmi esuberanti. I duetti, appiccicati allo stesso microfono come due amanti. Il loro esibire sul palco un’intimità imbarazzante e dolcissima, quella dei fratelli che si sono traditi, lasciati e ripresi mille volte, senza poter fare a meno l’uno dell’altra.
Le urla. I cori. L’ironia.
Nessuna morale se non quella della ragione. Devotamente laici, perché l’anima, come il corpo, è mortale.
In più, ci sono i versi. I due hanno imparato a scrivere.
La poesia è una terapia. Il rock è una catarsi. Lunga vita ai libertini.
“Anthem For Doomed Youth”
Ecco una storia sulle regole di morte o gloria
da far imparare a tutti i bambini a memoria
É l’ora del mattino del giorno dopo l’inizio
quando il sole che dicevano non sarebbe più tramontato
alla fine tramonta ancora
É stato Cromwell o Orwell che per primo
ti ha avvicinato alla tromba delle scale
che conduce solo sempre verso l’aldilà
Solo, spinto in fretta da chi ti guidava
sussurri di terra promessa
Ti hanno augurato buona fortuna
e messo in mano un’arma
Al pub quella sera, preparando piste di coca
per riparare a tutti i torti del mondo
pensavamo fossero fratelli
invece si sono quasi uccisi a vicenda
poi hanno fatto un turno di karaoke
e assassinato la nostra canzone migliore
Hai detto alla moglie del direttore
dell’ultima notte della sua vita
se n’è andata in lacrime dandoti del bugiardo
Dove sono ora tutti i vecchi sogni?
Il battaglione, un tempo così orgoglioso
perso in qualche vecchia canzone
aggrappato al vecchio filo spinato
Nessuna istituzione
insegna mai che la rivoluzione
è qualcosa che potrebbe realizzarsi
Ne abbiamo provata una, una volta
la testa del re era sul pavimento
Abbiamo cacciato a pedate l’ubriaco
perchè qualcuno aveva rotto il bicchiere
La vita potrebbe essere così bella
la vita potrebbe essere così felice
Andiamo verso il nulla
ma il nulla
il nulla è sulla nostra strada
The Libertines
2015
dedicated to LaGiovi (come back soon!)