Rock poetry by Sf: Leonard
Noi siamo di quelli che avevano scelto Leonard Cohen. L’avevamo fatto in tempi non sospetti, prima di tutto, dell’annuncio, delle polemiche, del silenzio, del rifiuto.
Prima dell’addio.
Perché questa rubrica senza pretese è nata da un fascio di versi fulminanti, tratti da una dichiarazione d’amore tra le più belle che ci era mai capitato di ascoltare.
Se vuoi un amante
Farò tutto ciò che mi chiederai
E se vuoi un altro tipo d’amore
Per te indosserò una maschera
Se vuoi un compagno
Prendimi la mano
O se vuoi gettarmi a terra con rabbia
Eccomi
Sono il tuo uomo
Se vuoi un pugile
Con te entrerò nel ring
Se vuoi un dottore
Esaminerò ogni centimetro del tuo corpo
Se vuoi un autista
Salta su
O se vuoi ingannarmi
So che puoi
Sono il tuo uomo
E se hai bisogno di dormire
Un po’ lungo la strada
Guiderò io
E se vuoi andartene per strada da sola
Per te scomparirò
Se vuoi un padre per I tuoi figli
O solo passeggiare un po’ con me
Sulla spiaggia
Sono il tuo uomo
Qui siamo lontano dalla boria, dai miti scostanti e arroganti, troppo impegnati a lisciarsi l’ego e a carezzarsi l’autostima, così attaccati ai loro ruoli da finire per essere la caricatura di se stessi.
Lontani dagli applausi e dal disappunto. Dalle bocce storte. Dai mugugni. E da tutto questo accanirsi con le definizioni, cantautori, poeti, musicisti, millantatori.
Felici sia così. Neppure Borges vinse mai il Nobel.
Leonard Cohen era nato con le parole, prima che con la musica. Capita più spesso di quanto gli intellettuali credano – quelli che si scandalizzano quando si accosta la letteratura e la musica.
Dunque all’inizio, scrive, fa reading, incide un disco di letture. Pubblica, si fa conoscere. Raccolte di poesie. Romanzi. Raccoglie critiche positive. E un primo disco che all’epoca non scuote nessuno. Sono gli anni sessanta. Per sette anni rimane nell’isola greca di Hydra, tra gli artisti, dove conosce Marianne Ihlen. La loro storia d’amore finirà per diventare pubblica, grazie alle canzoni e al retro della copertina del secondo album, che la ritrae, bellissima, coperta solo da un asciugamano nella loro stanza greca.
Da lì in poi, è un altro viaggio.
Il pubblico lo ama. Gli artisti l’adorano Lo citano, lo cantano, lo omaggiano.
“Non avevo scelta – canterà in Tower of Song – Avevo ricevuto in dono una voce d’oro”.
A 62 anni, quattro anni dopo aver pubblicato un album dal titolo “Il futuro”, entra in un monastero buddista. Ci rimane per 15 anni, con nome (paradossale?) di “il silenzioso”.
E dopo la vita monastica, come niente, di nuovo nel mondo.
Quest’anno, a fine luglio Marianne se ne era andata. Lui, saputo che stava male, le aveva scritto.
“Bene, Marianne è arrivato il momento in cui siamo diventati vecchi davvero e i nostri corpi stanno cadendo a pezzi e penso ti seguirò molto presto. So di essere così vicino a te che se stendi la mano puoi raggiungere la mia. E sai che ti ho sempre amato per la tua bellezza e la tua saggezza, ma non serve che te lo dica ora perché tu sai già tutto. Ma ora voglio solo augurarti di fare davvero un buon viaggio. Addio, mia vecchia amica. Amore senza fine, ci vediamo lungo la strada.”
Il titolo di questa rubrica parla da solo. E’ ovvio da che parte stiamo. E che siamo allergici allo snobismo culturale.
Asor Rosa dice che la poesia, la letteratura deve essere autonoma, il testo deve reggere senza musica.
Bene. Sperimentiamo.
Questa volta chiudiamo con versi italiani (di uno di quelli che Leonard Cohen l’hanno amato tanto). Forse non rock, o forse sì se il rock è un’attitudine, una qualità e non solo un genere musicale.
So long Leonard. So long.
I poeti son giovani e belli
e portano in cuore
la luce del sole
e un canto d’uccelli
e la strada del borgo natio
la pioggia sui tetti
la povera gente amata da Dio.
I poeti son vecchi signori
che mangian le stelle
distesi sui prati
delle loro ville
e s’inventano zingare e more
per farsi credibili agli occhi del mondo
col loro dolore.
I poeti si fanno le pippe
coi loro ricordi
la casa, la mamma, le cose che perdi
e poi strisciano sui congiuntivi
se fossi, se avessi, se avessi e se fossi,
se fossimo vivi.
I poeti hanno visto la guerra
con gli occhi degli altri
che tanto per vivere han perso la pelle
così scrivon piangendo cipolle
su barbe profetiche intinte nel vino
che pure gli serve.
I poeti son liberi servi di re e cardinali
che van ripetendo: noi siam tutti uguali
e si tingono di rosso vivo
ciascuno pensando: “Il giorno del nobel
farò l’antidivo”.
I poeti sono litri di vino bevuti per noia
per scriver parole davanti al mattino
mentre sognano bambine nude
che uscendo da scuola
li prendon per mano e gli dànno la viola.
I poeti son giovani stanchi che servon lo Stato
sputandogli in faccia perché sia dannato
e sbandierano cieli e fontane
messaggi e colombe
a noi le campane, ai ricchi le trombe.
Poesia, poesia,
deh, proteggimi ovunque io sia
poesia, poesia.
(Roberto Vecchioni – I poeti – 1975)
dedicated to LaGiovi – Come back soon!