Rosso pompeiano, rubrica d’arte di Raffaella Terribile. 2

Rosso pompeiano, rubrica d’arte di Raffaella Terribile. 2^ puntata.

      

    

ATTRAVERSO I LINGUAGGI DELL’ARTE

     

Piet_Mondriaan,_1930_-_Mondrian_Composition_II_in_Red,_Blue,_and_Yellow

     

La natura, il mondo, in ogni rappresentazione sono sempre proiezione, cioè il risultato di un’immagine su cui la mente ha speculato, tessuto inferenze, rovistato tra illuminazioni, emozioni, ricordi e sinestesie, creando quelle matrici, quei media che offuscano la visionarietà con cui accendiamo il mondo di significati senza accedervi mai veramente. La natura è morta, non cresce null’altro che un’i-dea di paradisi percettivamente velleitari, figli di una logica che, ogni volta, è di tipo teistico. Un dio c’è sempre, spesso è quell’io fagocitato anche dai profeti, che, attraverso l’immagine proiettata dalle loro parole, pitture sulla tela della fantasia, si sono tramutate in una biblica Odissea senza fine: attraversiamo ciò che non sappiamo e lo riproduciamo senza conoscerlo. La luce, ad esempio, resta, nella sua solida corpo-reità, un’assenza necessaria. Il colore si svincola dalla necessità mimetica e interagisce con la luce, materializzando stati d’animo e sentimenti. La forma è un gioco di ipotesi, attraverso stadi di elementare sequenzialità fino agli studi più complessi. La geometria ha, di grandioso, la messa in chiaro dei parametri e degli artifici che usa: seziona, e quindi taglia, e quindi diminuisce, ogni corpo restituendo di esso non la realtà ma una credibile immagine, di cui il centro di proiezione ha deformato misura e corpo, legandosi indissolubilmente non con l’oggetto, ma con il piano; non con la realtà ma con la sua apparenza. Da iniziale mezzo di indagine razionale sulla realtà e sulla sua rappresentazione/comprensione è diventata di volta in volta strumento di ricreazione di realtà virtuali immaginate come vere, mescolando la percezione del vero e del verosimile, ingannando i sensi con l’utilizzo della logica. Ma quale piano aveva in mente la geometria? Mettere in diretta relazione un finito con l’in-finito facendo in modo che il finito potesse accogliere l’infinito attraverso l’immagine pro-spettica, vista prima della realtà stessa, offrire un movimento immobile, l’estraniamento, la riproducibilità teorica senza oggetto, poiché si è gettato come immagine nel Lete della mente che non fa che il suo dovere: mentire, ed esserci mentore, fornire ipotesi a cui affidarci, ciechi e visionari, nella ricerca di una verità. Ma ogni esperienza della realtà, per quanto diversa, deve alla fine rivelare la struttura costante della coscienza. Lo spazio è la realtà come viene posta e presa dalla coscienza, e la coscienza è tale solo se comprende ed unifica l’oggetto e il soggetto dell’esperienza: ciò potrebbe essere definito il “postulato di Cézanne”. Dietro al velo multiforme della realtà fenomenica, sperimentata dai nostri sensi, res extensa, la mente deve cogliere il significato universale, l’archetipo, quella res cogitans che unifica il tutto e il tutto contiene, unità di base che l’artista ravvisa nelle forme geometriche elementari. Da questo postulato muovono, per vie parallele e con direzione opposta, Mondrian e Morandi. Mondrian definisce lo spazio partendo dalle cose: solo quando le cose scompaiono risolvendosi nello schema geometrico, nella lirica della semplificazione pura, nel quadro “c’è” lo spazio, realtà colta dalla coscienza e recepita al suo interno in una sostanziale identificazione soggetto-oggetto, coscienza-realtà. “Cosa voglio esprimere con la mia opera? Niente di diverso da quello che ogni artista cerca: raggiungere l’armonia tramite l’equilibrio dei rapporti fra linee, colori e superfici. Solo in modo più nitido e più forte”. La pittura di Mondrian, come fu definita da Argan, può intendersi come una spinoziana “Ethica ordine geometrico demonstrata”: l’artista pensa che nulla si conosca senza percezione, ma che l’essenza delle cose non si conosca nella percezione, bensì con una riflessione sulla percezione distaccata dalla percezione: una riflessione in cui la mente opera da sola, con i soli mezzi di cui le fornisce la sua costituzione, uguale per tutti e pertanto operante da “nozioni comuni”. Tutta la pittura di Mondrian si basa su questo, operazione su “nozioni comuni”, cioè sugli “elementari” della linea, del piano, dei colori fondamentali. Definisce una griglia di coordinate, a formare una serie di riquadri di grandezze diverse con campiture di colori primari, dove predomina il bianco (la luce) e si presenta il nero (la non luce). Ciascuno di essi dipende da una situazione percettiva (quindi sensoriale ed emotiva) diversa: il risultato, in termini di valori, è sempre lo stesso.

   

morandi, natura morta 1916

     

In questa natura morta, dipinta da Morandi nel 1916, è evidente la distruzione della profondità prospettica, prima suggerita e poi annullata negando la corporeità degli oggetti reali e trasformandoli in sagome sospese con il livellamento dei piani colorati della tavola, della parete e degli oggetti stessi. La profondità non esiste più come vuoto capiente, che accoglie le forme solide: al suo posto c’è un “tessuto spaziale” continuo come un impalpabile velo teso, sul cui piano unico si profilano, quasi in trasparenza, gli oggetti, la tavola, le pareti. Secondo Morandi la prospettiva definiva in termini di valori i principia individuationis con cui l’artista dava ordine e chiarezza alla realtà al fine di rappresentarla: definiva la linea come limite o contorno delle cose, il volume come consistenza fisica degli oggetti, il tono come tinta locale modificata dalla distanza e dalla luce. Non nega e non accetta a priori questi criteri formali, ma ragiona con logica perfetta: nel quadro si ritrovano linee, volufoto 2mi e toni ma con un significato completamente nuovo e diverso perché non costituiscono più uno spazio teorico, ma uno spazio concreto di cui si vede perfino la sostanza fisica, la maggiore e minore densità della materia. La linea non è il limite delle cose ma il confine e la mediazione tra valori tonali comunicanti: il volume non è rilievo ottenuto col chiaroscuro ma calibrata distanza tra piani colorati, il tono non è incidenza di luce ma ragguaglio o proporzione di quantità e qualità. La pittura di Morandi è la storia di una continua permutazione del valore ma nel senso di una crescita qualitativa, la sua tematica è costante, gli oggetti entro cui avvengono le mutazioni dei valori sono sempre gli stessi. Aveva bisogno che l’oggetto non facesse problema e non richiamasse e localizzasse sul proprio essere l’interesse conoscitivo che mirava al suo essere nello spazio.

     

Cézanne,_Paul_-_Still_Life_with_a_Curtain

    

Sulla stessa linea si era mossa l’evoluzione nella concezione cézanniana dello spazio, dalla negazione dei valori prospettici tradizionali al riconoscimento dell’importanza della forma geometrica, elementi che saranno alla base della rivoluzione della “quarta dimensione” cubista di Picasso. L’artista desidera creare una immagine del mondo del tutto nuova, prescindendo dal dato fenomenico e dalla tradizione impressionista e postimpressionista. L’equilibrio da lui ricreato all’interno delle sue opere scaturisce dall’unione e dal contrasto di linee verticali, orizzontali e oblique, che si intersecano e si spezzano. La cosa appare evidente nelle numerose Nature morte, dove l’artista deve prestare una attenzione particolare nella scelta delle forme, dei volumi da rappresentare: la mela e l’arancia, frutti prediletti perché sferici e quindi più spesso costanti nella forma, sono raffigurate da Cézanne come corpi in espansione, dipinti dal bordo verso il centro, e la sfericità consente al colore di espandersi sugli oggetti circostanti e di accogliere, a sua volta, i riflessi di ciò che sta intorno. La forma di una brocca, geometricamente semplificata, rallenta il passaggio della luce e implica una pausa, una sospensione momentanea nel ritmo interno del quadro. Il suo colore, prevalentemente bianco come i piatti in primo piano, media il passaggio dalla zona sinistra più cupa e più affollata, a quella destra, meno ingombra, più serena. Fondamentali anche i rapporti di affinità e, ancora, contrasto tra gli altri colori, che si influenzano a vicenda, scambiandosi reciproci riflessi, comunicando tra loro e creando in questo modo la struttura invisibile, ma, al tempo stesso, forte e pregnante del dipinto. Importante il valore dell’azzurro scuro della parete, che richiama i cieli dei suoi paesaggi. L’azzurro intenso assume un ruolo decisivo nella pittura di Cézanne, riequilibra gli altri valori cromatici presenti nel quadro, alleggerisce l’atmosfera della composizione dominata dalle tonalità ocra, rendendola più serena utilizzando ”[…] una somma sufficiente di azzurro per far sentire l’aria […]”.

L’arte ha scardinato ogni volta la regola, chiedendone e costruendone altre, persino le non regole sono state assunte al ruolo di regolamentazioni e la storia delle esperienze artistiche del Primo Novecento va letta in tal senso. Le modalità, gli esiti, gli strumenti sono stati di volta in volta diversi. Etica, estetica, geometria, matematica, logica: divinità diverse di volta in volta sono diventate l’abito con cui l’arte si è vestita e si è poi messa a nudo, vuotando anche il corpo che la sostanziava fino a svelarne i vuoti, la misura non inglobabile della distanza assoluta che resta tra l’oggetto e il soggetto che si crede fruitore mentre è anch’esso ob-iectus, gettato in questa terra in perenne rivoluzione.

                       
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