Rosso pompeiano, rubrica d’arte di Raffaella Terribile. 3^ puntata.
La Californie
In una foto della fine degli anni Cinquanta un Picasso non più giovane sembra accoglierci sulla porta del suo atelier. La posa è quella consueta, a gambe divarcate e braccia conserte, di chi sa di dominare il mondo, ma non smette di temerlo. Lo sguardo è diretto e fiero, quasi a voler presentare se stesso di fronte al visitatore. Alle sue spalle un salone enorme, dal pavimento di legno, con le pareti decorate in stucchi liberty che incorniciano grandi specchiere ed enormi finestre da cui entra una luce quasi accecante. E’ il suo mondo quello che vediamo. Superato l’impatto iniziale, cominciamo a soffermarci sui dettagli. Una brocca in ceramica, decorata a motivi zoomorfi stilizzati in rosso e bianco, pennelli, fogli di carta, altre brocche, piatti impilati sul pavimento, quadri dipinti a olio. La ceramica era una passione recente, nata pochi anni prima con il trasferimento a Vallauris e la frequentazione dei laboratori ceramici locali dove aveva incontrato Jacqueline. Si capisce bene come la casa possa rappresentare bene chi la abita osservando i particolari di quella stanza ricolma di oggetti appoggiati ovunque, sul pavimento, sulle sedie, sui mobili. Una casa che si trasforma per farsi palcoscenico privatamente pubblico di una creazione in divenire. Siamo a La Californie, una villa liberty sulle alture di Cannes, 1200 metri quadrati all’interno di un parco di alberi secolari, costruita nel 1920 e acquistata dall’artista nel 1955. Qui abitò per sei anni, fino al 1961, quando decise di trasferirsi a Mougins infastidito dalla costruzione di una nuova casa che gli impediva in parte la visuale sulla baia. La Californie diventa così la protagonista delle opere dipinte in quel periodo e ospita la famiglia e un grande atelier dove l’artista riceve amici e collezionisti, evidentemente percepito come il contenitore della sua anima creativa, turbolenta e mai paga di mettersi in gioco.
Tutte le fasi della vita segnano il rapporto tra Pablo Picasso e il Sud della Francia, dall’estate del 1912, quando nel porticciolo de L’Estaque diede vita alla fase analitica del Cubismo insieme all’amico Georges Braque, rendendo come prismi gli scorci di case abbarbicate sulla collina e immerse nel verde, nei toni del giallo e dell’ocra, fino all’8 aprile 1973, quando a Mougins, a due passi da Cannes, nella grande casa di Notre Dame de Vie, si spegneva all’età di 91 anni. Al centro 60 anni d’amore per questa terra selvaggia e mediterranea come la sua Spagna, continua fonte d’ispirazione, che ha tante volte raffigurato nelle sue tele. Amore fatale che significò inseguire il sole del Midi a costo di abbandonare Parigi, di cui forse sentiva di non avere ormai più bisogno. Luglio-agosto 1937: inizia la migrazione surrealista verso il Sud. Paul Eluard aveva scoperto nel suo girovagare con Nush un delizioso piccolo villaggio nell’entroterra di Cannes, Mougins, una manciata di case strette l’una all’altra, dagli intonaci bianchi e dalle tegole rosse, disposte a cerchi concentrici sulla sommità di una collina da cui il mare si presentava come una distesa di luccicanti scaglie blu. Man Ray e Lee Miller, André Breton con la moglie Jacqueline, René Char e Roland Penrose con la moglie risposero entusiasti all’invito di unirsi alla comitiva. Picasso li raggiunse, dopo un viaggio notturno e dopo aver lasciato a casa la moglie Marie-Thérèse e la figlia Maya: Dora Maar sarebbe arrivata per conto suo, in treno, a fine agosto, per salvare le apparenze di fronte alla famiglia. Quei giorni sono rimasti fissati in una celebre foto da Roland Penrose, dove il gruppo di amici fa un picnic all’Ile Sainte Marguerite, vicino a Cannes, e le ragazze si mostrano con disinvoltura a seno scoperto. Il piccolo alberghetto di Mougins, l’Hotel Vaste Horizon, vide la nascita della passione tra Picasso e Dora, trasformata dai colori dell’amante in ninfa, sirena, preda innocente di un insaziabile Minotauro. La stanza più luminosa dell’Hotel diventò lo studio dell’artista, che aveva terminato da poco Guernica, e che si dedicò con rinnovato ritmo creativo a una lunga serie di ritratti (la figlia Maia, Paul e Nush, e sempre Dora, la sua modella preferita). Le prime fotografie di Picasso nel Midi sono quelle scattate da Dora, solo o insieme agli amici, in canottiera o a torso nudo, in pantaloni corti e cappello di paglia. In quelle giornate morbide di fine estate Picasso dovette guardarsi intorno ad ammirare lo spettacolo di quelle ville lussuose immerse nella macchia mediterranea, quasi sospese tra il blu del cielo e l’azzurra distesa del mare. Da allora la Costa Azzurra diventa la sua casa e le estati successive hanno come scenari Antibes, la pesca notturna a Golfe Juan, le lunghe passeggiate sulla spiaggia. La guerra e le privazioni riempiono le tele realizzate da Picasso tra il 1940 e il 1944. Con la Liberazione, e la grande esposizione che lo consacra a grande artista, Picasso scopre il colore, la leggerezza, un nuovo amore, Francoise, e il richiamo del Midi. Con lei si trasferisce nell’estate dl 1946 in uno splendido palazzo, il castello Grimaldi, sede del Museo di Antibes, dove ha la possibilità di usare in tutta libertà alcuni grandi ambienti per le sue creazioni. Nel 1948 acquista nella vicina Vallauris una villa e inizia a dedicarsi a una nuova attività che gli permette di fondere pittura e scultura: la ceramica. In spazi, minimi, modellati con la sapienza del gesto in forme arcaiche, poche pennellate di colore mettono in scena l’invenzione, la fantasia, il gioco. Tra evocazioni mitologiche e deformazioni formali nasce un piccolo universo coloratissimo di oggetti improbabili e di vasi impossibili, che nel vortice della creazione denunciano un’unica necessità, quella della bellezza. L’impegno pacifista lo porta, dopo Massacro in Corea, a dipingere La Guerra e la Pace, un ciclo decorativo per la Cappella sconsacrata di Vallauris. E’ il 1952. Due anni più tardi, stanco dell’atmosfera di Parigi, decide di trasferirsi definitivamente nel Midi, vicino a Cannes. La villa enorme che acquista, immersa nel verde, offre ambienti spaziosi molto luminosi e un’incantevole vista sul mare. Le cucine vengono ben presto trasformate in laboratori di litografia e di incisione, mentre l’ultimo piano è lasciato vuoto. Oggetti d’ogni tipo, tele incompiute, ceramiche, piastrelle, calchi in gesso, sculture affollano il resto della casa nel caos più totale. Tra il 1955 e il 1956 i ritratti di Jacqueline, i nudi, si intrecciano con la pittura delle ceramiche. Il regista Clouzot realizza un lungometraggio sull’artista intitolato Le mystère Picasso, proiettato al festival di Cannes. Dal 1957 tre grandi progetti: un mural per la nuova sede parigina dell’UNESCO, due monumentali sculture in bronzo per l’ingresso di un nuovo grattacielo di New York e il disegno per le vetrate delle sessantadue finestre della cattedrale cinquecentesca di Mézières, nelle Ardenne. Ma anche le numerose versioni delle Meninas, ispirate al grande Velazquez: in tutto saranno cinquantotto, un tributo all’amore indissolubile verso i grandi maestri del passato.
Il periodo a La Californie trascorse tranquillo, tra frequenti visite di ammiratori, amici e dei figli Claude e Paloma, sei anni importanti per la vita e il lavoro dell’artista e le numerose foto di quel periodo ne sono ricca testimonianza. Come sfogliando un vecchio album di famiglia, accanto ai momenti più “privati”, si riconoscono dipinti famosi e bozzetti di opere che di lì a poco entreranno nei manuali di storia dell’arte, come i ritratti di Jacqueline, i ready made, le ceramiche, i bozzetti per le vetrate. Il fotografo che le ha scattate è David Douglas Duncan. Il primo incontro tra i due avvenne grazie all’intervento di Robert Capa, amico e collega di Duncan, che gli aveva detto: “Credo possiate diventare buoni amici”. Duncan ricorda: “Fu nel 1957. Mi recai a La Californie, l’enorme casa-laboratorio di Picasso vicino a Cannes. Mi presentai dicendo che ero amico di Capa e che desideravo salutare il maestro. Venni ricevuto dalla moglie Jacqueline Roque, tutta vestita di nero, dalla testa ai piedi. Rimasi sorpreso per quanto fosse piccola. Mi prese per mano e mi condusse al piano di sopra, dove c’era lui, nudo dentro la vasca da bagno. Gli chiesi il permesso di fotografarlo e lui acconsentì. Quella fu la prima volta”.
A quegli scatti ne sono seguiti molti altri, nei 17 anni di una amicizia intensa e duratura, interrotta solo nel 1973 dalla morte dell’artista. Quello che raccontano le fotografie di Duncan, amico e frequentatore abituale della casa, è un Picasso sempre privato: a volte al lavoro, nel suo studio o nel grande giardino; sorridente e rilassato, spesso vestito solo con i celebri calzoncini taglia XXL. Sono scene che conservano la memoria di momenti intimi e familiari insieme alla compagna Jacqueline, ai figli Paloma e Claude, con gli amici o l’inseparabile bassotto Lump, quasi sempre circondato dalle sue opere d’arte. E La Californie, fino al 1961, grazie a quegli scatti, restituisce un mondo privato dell’uomo e dell’artista, colto tra le sue opere, con la famiglia, nei momenti di lavoro, di riposo, di riflessione.
In un’intervista il cantante Miguel Bosé, amico di famiglia, ha raccontato, «Da bambini andavamo spesso nella sua villa vicino a Cannes, la Californie. E lui ci faceva disegnare. Metteva i pennelli in mano a me e a mia sorella Lucia e ci chiedeva di aiutarlo, usando solo due colori: il verde e il rosa. […] Una volta, a New York in casa di alcuni miei amici, davanti a un Picasso, ho riconosciuto un angolo rosa che avevo fatto io». Il ricordo di quell’estate rimane in un bellissimo scatto. Davanti a immagini come questa si sarebbe tentati a pensare che la vita scorresse serena tra creatività e affetti familiari, ma l’impressione non corrisponde alla realtà. La nipote Marina, che ereditò la casa alla morte del nonno, rivelò in alcune interviste che quella villa non aveva dei bei ricordi per lei, per suo fratello e per suo padre, Paulo, considerati quasi degli ospiti indesiderati e non sempre ammessi. Dopo il trasferimento a Mougins, nel 1961, Picasso tenne La Californie senza abitarla, e vi lasciò una quantità innumerevole di lavori. Dopo la fine tragica di un nipote e del figlio Paulo, entrambi suicidi, la villa rimase chiusa. Solo nel 2015 Marina Picasso ha deciso di metterla in vendita per finanziare un progetto di beneficenza e di mettere all’asta dipinti e 126 ceramiche realizzate dal nonno fra il 1947 e il 1965, pezzi unici che la casa d’aste Sotheby’s ha battuto nel giugno dell’anno scorso con l’obiettivo di realizzare fra 6 e 8 milioni di euro. La cifra richiesta per la casa: 150 milioni di euro.