RUAH di Davide Zizza, Ensemble ed. 2016, recensione di Silvia Calzolari.
“Ruah”, silloge poetica (2016 – Edizioni Ensemble) di Davide Zizza, è una serrata indagine dell’in-visibile e della sua portanza, ove i versi, come “ molecole” in cui ogni parola-cellula si contrae ed espande, respirano profondità ed altezze, in una tensione armonica densa e nitida (oltre spazio e tempo) eppure fortemente esperienziale e rivelatrice, partendo dall’origine del tutto: “In principio fu il verso/il respiro creatore”.
L’“invisibile poesia” (Rainer Maria Rilke) diviene ed è inestimabile centro pulsante del respiro vitale-divino, forza motrice e creatrice, contingenza e memoria.
lI termine ebraico Ruah ( רוח, sostantivo di genere femminile) corrisponde a “spirito” e significa anche “soffio”, “aria”, “vento”, “respiro”. Per la religione ebraica con tale termine si indica la potenza divina che può riempire gli uomini.
In principio
Anche Dio nel respirare
inspirò perchè potesse
diminuire e far posto al mondo.
Nel liberarlo, il soffio
si assorbì a tutta la terra.
Un “cammino” poetico, quello di Zizza, ampio, vivificante, tra trascendenza ed immanenza, che senza orpelli e falsa retorica mira all’essenza: “si tratta sempre di nominare il vero nome delle cose”, siano esse visibili o invisibili, palpabili o impalpabili.
Un percorso apparentemente “ovvio” e naturale, ma che, al contrario, implica acuta percettività, tenace ascolto, volontà, impegno e continuo superamento di limiti e visioni (o nel tentativo) per una ricerca che possa condurre a quel “saper vedere” fuori e dentro di sè che è autenticità introspettiva.
La sintesi e l’essenza del verso Zizziano ne sono evidente frutto e specchio, risultato e risultante di consapevolezze raggiunte e sempre in divenire.
«Si tratta di togliere peso alle parole, lasciar cadere la corazza: sulla fronte resta solo un respiro.
Si tratta di buttare l’àncora.
Che forma e senso siano lo specchio dove guardarsi: ritrovarsi.»
Agli albori “Era solo caotico silenzio: di morte” e “Poi un soffio. Un lungo soffio portò l’amore. / Una lunga nota profumata portò l’ordine e la chiara / geometria ”. In “La musica del Bereshit” (Bereshit: genesi nella Torah) l’autore dipinge a sicure tinte il quadro della creazione, attraverso efficaci metafore che cantano forme e suoni in uno spartito poetico di grande bellezza.
La musica scaturita dal soffio d’amore divino è “metafisica del viaggio”. “Da una melodia nasce la civiltà”, altezza e pura essenza, racconto e memoria : “un Suonatore pose il vento in uno strumento di legno che creava l’ordine del mondo” – Il Suonatore di Oud (ascoltando Yair Dalal e il suo violino).
Lo studio multiculturale di Davide Zizza trasuda non solo nella ricchezza del linguaggio e del contenuto, ma anche nei notevoli e numerosi riferimenti e citazioni, che spaziano da Oriente ad Occidente, in ambito musicale, letterario classico e moderno, mitologico e scientifico: strumenti come Shofar (piccolo corno di montone) e Oud (strumento a corde); artisti, personaggi e personalità comeYair Dalai, Chopin, Einstein, Bach, Walcott, Orfeo e Euridice, ecc.
Nello splendore verticale creativo e creante, ecco che l’umano si mostra, nella lirica “Verrai con me?”, in tutta la sua fragilità, nella durezza della vita e nel continuo dialogo con il sé e il divino che è in ogni creatura, nella ricerca dei suoi simili, nella reciprocità che accarezza la sofferenza ed è fonte di rinascita.
La scrittura si fa ancor più riflessiva in “La tavoletta del tempo”. Il poeta intimamente si interroga, nella puntigliosa e insaziabile ricerca di sfumature del verbo e del linguaggio, traducendo storia ed esperienze.
Lo scrittore “senza inchiostro”, nella lucidità dei propri limiti, cerca, sonda e indaga (mutidirezionale) sensazioni e segni teso verso “saggezza” che appare sempre irraggiungibile.
Toccante “Havdalah al Café Qaifit di Gerusalemme“, lirica in cui l’efficace narrazione coinvolge e commuove. Una vera e propria sceneggiatura, resa con maestrìa, delinea personaggi, situazioni e paesaggi: un’intensa storia d’amore, segnata e ferita da un contesto di guerra, che anela ad una futura libertà (Quando non saremo più né tu né io, quel giorno saremo finalmente liberi, mio amato).
Davide Zizza ci offre paesaggi artificiali ed antropici, immagini e colori della natura in tutte le sue forme, nella poesia “Caduta”, in cui evidente è il sentimento emozionale ed emotivo di appartenenza che si esalta nell’ossimoro gioia-dolore:
Caduta
Similmente alla caduta di un petalo di fiore,
sento cadere qualcosa, dal fondo: nel suo silenzio
l’aria disegna coi rami degli alberi
sensazioni ed echi.
Non è tempo di odi – la nuova e antica poesia
è l’esperienza di una visione
vista dall’interno, un salto d’inchiostro sulla pagina
riconoscerne la verità
è vivere ad una quota, sentire una neve
che non gela.
Cade l’esperienza metafisica nelle parole,
ricade sempre e nel tempo, non come un’ode,
ma come un petalo del fiore.
Attraversando e assaporando la silloge Ruah si è ammaliati, catturati e affascinati dal pregno verso di Davide Zizza, tra emozioni e atmosfere di paesaggi terreni ed interiori che conquistano al confine fra l’essere dolcemente cullati, attimi di innalzanti respiri d’anima (che tolgono il fiato) e l’infinita “discussione interna” …consolati e/o sperduti.
Partecipi e complici (con e accanto all’autore) a questo (in)sondabile universo, sembra quasi si possa intravedere il delicato sussulto del poeta-Zizza che si appresta ad ac-cogliere l’(in)arrestabile segno che lo attende sulla sua “inseparabile” moleskine, in quella lotta che “ha sapore di terra e di carta”, sospesi ed immersi nell’“Inatteso” …
Inatteso
L’aria frizzante è un invito. Abbraccio l’iperborea luce
nell’aurora, mentre sento da un balcone più in là un inatteso Bach,
suite n.1.
Il momento sembra rilasciare
sentori che arrotondano le spine dei giorni.
Cambio mente ad ogni
passaggio di ora, restando uguale. Chiuso nel tempo della parola,
per ora non so desiderare altro che fondere il pensiero
con le note
di questa suite che albeggia di là
due vicoli, più oltre.
Non basta un’unica/plurima lettura di “Ruah” (molto ho ancora da scoprire negli affratti di versi e strofe) … Una silloge di grande spessore, che rimane e motiva alla ripetuta rilettura.