Rubrica tre pregi e un difetto a cura di V. Panico. Su “Dalla parte della radice” di Marco Luppi

Rubrica tre pregi e un difetto a cura di Vito Panico. Su “Dalla parte della radice” di Marco Luppi.

       

    

Commenti di Rodolfo Cernilogar, Gabriella Modica, Lila Ria
su “Dalla parte della radice” di Marco Luppi,
Eretica Edizioni, 2016.

    

  • Rodolfo Cernilogar:

1 – Lo sguardo

Bisogna partire dal titolo, Dalla parte della radice, per capire lo sguardo di Marco Luppi sulle cose. È allo stesso tempo un punto di vista e una scelta di campo: è un guardare le cose dalla terra, dal basso, da dov’è la realtà è più solida e si può succhiare linfa vitale acqua e sali minerali; vicino all’infanzia e allo stupore che non sono evocati con nostalgia, ma come un dato di fatto (“Guardo il mio passato come un bambino / guarda il volo di una              mosca”), un punto di partenza, una radice; dalla parte delle cose fragili, di poco conto, dei perdenti perché “Senza sconfitta non c’è talento. / Senza talento non c’è perdono” (la parabola evangelica dei talenti qui richiamata); dalla parte di chi arriva a sentire “la caducità / diagonale / delle cose” perché ha raschiato il fondo:

Scrivendo,
i Poeti
raschiano
il fondo
della vita
che lasciano.

È l’inizio della poesia che dà il titolo alla raccolta: e quindi significativa, una dichiarazione d’intenti. Si sente Il porto sepolto di Ungaretti, sia per lo stile scelto, sia per la stesso    movimento di   profondità e dispersione, di dono e generosità, lascito. Ungaretti puntava alla risonanza nello spazio bianco, qui si cerca contraddizione e annullamento, sovrapposizione di pensiero, scarto (di lato, inclusivo).

2- Il pensiero

Come individua bene Pier Damiano Ori nella prefazione, Marco Luppi usa la “lirica per esprimere, però, più pensiero che sensazione o sentimento”.
Questa attitudine alla riflessione la troviamo ancor prima della poesia, nelle Note dell’Autore che, con inversione significativa, precedono invece di seguire il testo: “Le persone sono luoghi lontani dalle coordinate in cui si trovano”. È un pensiero problematico, che scivola sui paradossi, che fa proprie le contraddizioni (in senso letterale, diventano                  materia di poesia), che non si accontenta, che sposta sempre un po’ più in là la meta, l’approdo, che si insinua nelle pieghe del linguaggio e del senso comune per trovare il punto di rottura: la poesia è proprio questo punto di rottura, il ponte che permette di ritrovare le coordinate dei luoghi lontani (dell’anima), di rompere le barriera kafkiana dei corpi.
È una poesia che chiede molto al lettore, anche nelle poesie più piane e apparentemente semplici: perché si avverte, senza che sia mai esibita, una conoscenza filosofica che sostanzia il discorso, perché il quadro non è mai completo, per scelta, ma anche per fedeltà (onestà) alla natura del reale, e quindi il lettore deve mettere il proprio sguardo e pensiero, in un doppio legame che non può essere ignorato, ma deve essere assunto nel cerchio della poesia:

Il limite è nella lingua di chi legge
e nella rima degli occhi di chi scrive.

3 – La scrittura

Partiamo da una poesia programmatica:

Scrivo

per inciso
lettere oscure
a chiare lettere

che non scrivo
per inciso.

Il modo è indicativo, il poeta dice io, è al centro del discorso, si procede per opposizioni, per slittamenti di significato, come se ogni parola annullasse la precedente: la centralità del   poeta non è più così salda, lo scrivere è anche perdita, tentativo di traduzione, ossia traducere, portare qualcosa da un’altra parte: della lingua del pensiero del sentimento (“Scrivere come se questo/ fosse opera di traduzione”, Valerio Magrelli):

Preciso
come Leviathan
nell’oceano
reciso
della traduzione

mi perdo.

É una poesia fatta di pochi elementi, di sottrazione, di controllo accurato della lingua, dove la cura è amore e artigianato:

Nel poco

Sono per il non detto
per lo spazio in difetto
dimentico le domande
che ricordano risposte
abbasso lo sguardo. Alzo il tiro
al filo di gorgiera che stringe
la fanciullezza del portagioie
la veggenza della fantasia
dove d’amore la morte muore
nel poco, nel niente
di cose
di poco conto.

Questi elementi li ritroviamo con costanza in tutta la raccolta, una costanza che si fa via via più rarefatta, fino alle poesie della seconda parte fatte solo di poche versi, quasi motti di        spirito (l’invito iniziale di Paul Éluard “Il faut tuot dire en peu de mots”). Come l’albero di Magritte, le radici sono in vista, si sono fatte cielo e aria.

Un difetto

Non ci sono piaciute le maiuscole a parole importanti (Poeti, Fantasie, Felicità), i giochi di parola con le parentesi, e – a volte – una certa aridità di immagini. Da qui l’invito a lasciare       più libera e meno sorvegliata la vena immaginativa, come nella poesia Ho imparato, dove la splendida immagine è incastonata nella riflessione, quasi fosse sfuggita al poeta, di              contrabbando: “le navi senza bandiere / hanno il favore del mare”.
O come nel finale della poesia più bella del libro:

Scatole di cartone

Così ci lasciamo
con foglie di Walt sul cuscino
che avrebbero potuto diventare d’argento
viste anche solo da un po’ più lontano.

Perché siamo felici fino a quando
abbiamo una solitudine da difendere
e se ci sembra tanto difficile da condividere
è perché manifestarsi è un po’ come morire.

Amare e odiare sono sentimenti alla pari,
significano riconoscere che si è della stessa pasta.
Nel primo, ci si porta una ferita sempre aperta,
nel secondo, uno sgradito destino fatto passare per scelta.

Dovremmo tenere sempre le scarpe ben allacciate
per essere pronti a rincorrerci
e allacciarle a chi vogliamo veramente bene
per consentirgli di potersi allontanare.

        

  • Gabriella Modica:

Sconfinare tenendo sotto stretto controllo i confini. Confini che si esauriscono in un solo verso, oltre il quale pare esserci il dissolvimento, l’apoteosi della parola, il silenzio.
Un silenzio nel quale, metabolizzate tutte le trappole e le possibilità di restare entro un confine accogliente, ritrovare e costruire nuove parole, nuove strutture, chiavi che aprano porte non viste prima, dove il Poeta e i Poeti non sono solo citazioni, ma parte inscindibile del tessuto poetico e organico.
I versi di Luppi si posano con grazia degna di nota, sull’innocenza che rincuora quando si è sovrappensiero, e ci ricorda che l’umanità è tanto più bella quanto più è genuina nel suo esprimersi


Le persone che cantano ferme al semaforo;

L’odore di terra bagnata;
L’indignazione;
I sorrisi che non sanno di bugia;

E fino alla fine, sono un invito a dare il giusto peso alle cose, a impegnarsi a non cedere mai alla lusinga dell’ufficialità

Non il significato

Significante è il ruolo
        non significativo.

Bisogna trovare un difetto, proprio perché bisogna farlo:

In alcuni versi, una compiaciuta, voluta anche se giocosa ostentazione della padronanza tecnica del mezzo poetico.

      

  • Lila Ria:

Tre pregi:

1) Immediatezza.

L’utilizzo di poche parole, semplici frasi, per arrivare dritti al dunque (“fottuto”/ “buco di culo sdentato” – da: “Non mi stupisco”).
Poesie brevissime. Lunghe il tempo di un soffio (“Quando”, “Le suites”, “Sul serio”, “Duepuntozero”, “Non il significato”, “Due urla di versi uguali”, “Un solo verso”)

2) I giochi di parole.

L’utilizzo di termini che, leggermente modificati, hanno significati completamente diversi (“cardinali/ carnali”, “inchiostro/ chiostro” da “Dall’altra parte degli occhi”) oppure la capacità di giocare con le parole stesse:
“il sostantivo dell’occhio/
sempre singolare proprio/
l’occhio del sostantivo/
d’un plurale difettivo” – “L’orditura costante”

“inverno/ inferno” – “Riconosco”

Intere poesie giocate sulle parole: “Mai sullo stesso piano”, “Preferisco”, “Trentatré” (magnifica), “Nel tuo nome”, “Farmi credere”, “L’ultima volta”.

3) La capacità di divertire.

Ché, di solito, la poesia fa piangere. L’autore, invece, mi ha strappato una risata con “Assalto alla diligenza”.

Un difetto:

Gli elenchi. Un paio di poesie non sono proprio riuscita ad apprezzarle. Sembrano più degli elenchi.
(“Dieci cose”, “Nel buio”)

Sarà il fato, o non lo so, ma questa lettura mi è capitata proprio nello stesso periodo in cui sto conoscendo il poeta francese Éluard.

*

    

cover-marco

     

Immagine di testata: Il sole del mattino (particolare) opera di Leonardo Lucchi.

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