Rubrica tre pregi e un difetto a cura di V. Panico. Su “Totem” di Fabia Ghenzovich

Rubrica tre pregi e un difetto a cura di Vito Panico. Su “Totem” di Fabia Ghenzovich.

       

    

Commenti di Alba Gnazi, Adriana Pedicini, Alessandra Piccoli
su “Totem” di Fabia Ghenzovich,
Puntoacapo ed. 2015.

    

  • Alba Gnazi:

Ho letto più volte le poesie, che denotano a mio avviso una fine ricerca lessicale, la consapevolezza della cosa poetica e il possesso di un registro stilistico personale e originale.

Mi ha colpito la brevità dei testi, uniti in un continuum come frammenti di un dialogo.

Mi ha spaesato, più e più volte, una apparente freddezza, un che di trattenuto; come una sorta di presa di distanza da parte dell’Autrice dal proprio lavoro, dall’atto stesso dello scrivere, da quanto riversato in poesia: la rilettura ha consentito di scorgere l’anima nuda della poeta, il ricongiungimento dei vari Sé che nell’excursus si sono dipanati spaiati rinnegati e infine riconosciuti.

Non escludo che in questo ci sia una mia personale resistenza, sorta di primo acchito, per via della novità che mi si è posta sotto agli occhi e al mio tatto poetico, che ha dimestichezza e memoria di altri ”tessuti” e doveva prendere confidenza con questo.

  

  • Adriana Pedicini:

Primo pregio
Nella prima parte dei componimenti raccolti sotto il titolo Totem di Fabia Ghenzovich (puntoacapo Editrice) emerge e conquista il lettore la nostalgia di un’età primitiva ma desiderabile per il gusto stesso della Vita intesa come istinto dinamico, voglia di misurarsi lealmente con l’altro, infine come conquista. La vita che, artefatta e violentata in ogni dove, langue ora nell’indifferenza, nel cinismo o esplode con brutalità nel “male consumato all’ombra della Storia” vale a dire nei minuti aspetti della quotidianità. Sicché anche rispetto ai lupi famelici “gli umani non rifuggono dall’estremo di ogni violenza per sete di lucro e commerci”

Il secondo pregio è che la seconda parte della raccolta, Loba, si addolcisce nello stile e diviene più immediata la comunicazione dei significanti. La donna viene equiparata al corrispettivo femminile dell’animale più vitale, già presente nelle liriche precedenti, per la capacità di procacciarsi la vita e essere vita nella triplice dimensione di passato-presente-futuro. Perfino la gioia fa capolino come fremito di vita che sale e assale, in una lirica dallo stile cantilenante, non ricca di figure retoriche tuttavia dotata di un’interiore armonia. Infine la figura femminile delineata come un po’ maga, strega, ancora lupa, sibilla comunque non completamente decifrabile da chi non è tutto questo. Di qui l’anelito alla libertà, di essere “funambola della notte”, la capacità di (ri)generarsi, di scavare “un aperto dove…fa capolino dietro al rigo un’anima”, di “tagliare l’aria….in corsa verso l’aperto della notte”.

Il terzo pregio consiste nel fatto che nella terza parte “Della luce e altre storie” sembra notarsi un più placido sentire, un velato ottimismo che fonda le sue ragioni sulla solidarietà, sulla consapevolezza di essere affratellati dal destino, dal piacere soave delle cose di un tempo e dal gusto delle cose di casa, dalla bellezza che permea l’incedere di una ragazza o tracima da un cuore contento. “Domani qualcosa sarà altra cosa se persino il bagaglio che portiamo prima o poi perderà il suo peso”. Come dire che la felicità non è impossibile, anche se si presenta a volte laddove meno ce l’aspettiamo (…forse un aspetto singolare della felicità) una sola nivea voce canterà l’amore nel nome della fratellanza (L’amore comprende tutte le lingue nel niveo di una voce – io sono noi siamo). 

Il difetto consiste tutto nello stile (soprattutto nella prima parte) troppo aspro e irriverente a volte, diverso dall’essere ermetico, per un abuso di enjambement che spezzano il ritmo concettuale disperdendolo in una struttura sintattica priva di ulteriori norme di riferimento peraltro in liriche che mancano anche della chiave di lettura rappresentata dal titolo. Nasce la sensazione che si proceda a briglie sciolte senza che ci si preoccupi dell’ordine/armonia interiore che deve esserci anche in assenza di rime, le quali, in mancanza dell’afflato poetico, da sole, come si sa, non bastano a creare l’habitus poetico. La stessa cosa avviene quando l’afflato è offuscato da un acerbo(?) o troppo scabro stile. Può darsi che tutto ciò sia voluto ma rendere meno ostica la comunicazione metterebbe meglio in risalto i contenuti.

  

  • Alessandra Piccoli:

Inizierei con il difetto, se di difetto si può parlare, o se tutto questo appartiene solo alla nostra incapacità di sentire. A un primo sguardo non è il genere a cui sono avvezza, per inclinazione personale di scrittura e lettura, proprio per questo ho raccolto “la sfida” con maggiore curiosità ed è forse un tentativo di riempirmi di qualcosa di diverso, nuovo, che può sembrare impenetrabile se ci si limita alla crosta. Il tenero che vive e pulsa all’interno delle parole è riservato, sembra quasi che sottovoce dica “ehi, sono qui! Prendimi, dispiegami.” Ma ecco che arriva subito il privilegio, i versi si fanno riconoscere e sento un urlo.

Questo è il primo pregio, lo scossone, il totem, l’animale guida che si lega a noi per la vita:

“Non rimarrà impunito il gesto
di chi ti sottrasse anche solo uno dei tuoi cuccioli
con ferocia primitiva delle madri
all’estremo sacrificio ti riconosco
lupa mia antenata
sorella selvaggia a difesa della tana.”

Fabia è delicata, intima, e sottovoce parla di Lupe, la “loba” che è in ognuna di noi, l’istinto di femmine che abbiamo sepolto, di madri che proteggono la tana e che raccolgono cibo per i cuccioli. Parla di carne e ossa l’autrice, i versi sono ancestrali:

“Un segreto patto di non belligeranza
sconfinando uomini e lupi
l’uno per fame con altre specie
l’altro per sete
di lucro e commerci.”

eppure così moderni; questo il secondo pregio, l’attualità in una società in cui l’uomo bestia divora il proprio simile:

“Già prodromi di stirpi
della razza che fu senza pari
gli eretti i primi violentatori.
Noi.”

Il terzo pregio è sicuramente il cambio di scrittura, per versi tematiche trattate e stile. Sono storie e racconti di riso amaro, di vita e malattia, delicati come la vecchiaia:

“Gastone 89 anni. Vive a Malcontenta nella campagna veneta.

Ha orto, galline e una vigna. Ora ha anche Frosia la sua nuova badante russa. Una signora ancora piacente di mezza età. Per Gastone è colpo di fulmine e non passa giorno che non manifesti la sua passione. Giorno o notte.”

L’amore tenero ma anche passionale, che non ha età, l’amore che ha occhi vitrei nel suo ultimo giorno d’esistenza incarnata possibile su questa terra.

                          

Midnight in Paris, Woody Allen, 2011
Midnight in Paris, Woody Allen, 2011

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