Rubrica tre pregi e un difetto a cura di Rita Galbucci. Su “Le tre monete” di Stefano Severi.
Per il numero di Aprile ho scelto di sottoporre alla lettura di Alba Gnazi, Angela Greco e Marisa Cecchetti (che ringrazio per l’attenzione e la competenza), la raccolta di Stefano Severi dal titolo “Le tre monete”. Con questo lavoro uscito in formato e-book l’autore propone le sue poesie frutto di vent’anni di scrittura. Ancora in questa occasione la rubrica Tre pregi e un difetto si propone di aprire quante più porte possibili alla lettura e alla condivisione della poesia. R.G.
su Le tre monete di Stefano Severi, Poesie 1991 – 2011
- Marisa Cecchetti:
Interessante percorso poetico quello di Stefano Severi, realizzato attraverso tre sezioni: La musica e il rumore (l’amore e altre leggende), Fiabe postatomiche e Appunti per un’elegia..
Senza dubbio Severi è ottimo conoscitore dell’uso della parola,della melodia, del ritmo, raggiunto in larga parte con l’endecasillabo. La sua poesia cattura, accarezza, qualsiasi sia la tematica affrontata. Compare dovunque il suo background culturale, possono essere parole incastonate in mezzo al verso, o echi chiari di classici: “Promesse, ancora baci, abbracci;/ancora baci; e un graffietto/su quel cuore stipato tra le magliette/nella valigia; ancora amore, ancora/baci, ti amo. Ancora un dio in rivolta”, di chiara derivazione catulliana.
Un elemento che mi ha colpito positivamente, al di là della sua capacità di usare la parola, è il senso dell’attesa, trasversale a tutta la raccolta. Attesa che coinvolge persone, elementi della natura, sentimenti, fino ad abbracciare intere città: “Parigi non lo sa,/dorme sui tetti e sopra gli orizzonti/ delle ardesie e degli acciai, dorme/ e aspetta un’alba non cercata”.
Anche le cose inanimate aspettano, divenute umane: “l’angolo aperto/ di una porta che aspettava”; c’è l’attesa di un amore che sboccerà di sicuro: “che un’alba o quellasubito dopo/sboccerai”. L’attesa è gioia, perché è carica di aspettative, non importa se sono illusioni: “ma, fra un po’, prima che le ore/soffino via la sabbia, prima che/come spie si guardino intorno/e poi veloci corrano via,/ ecco vedi…./mi capiterai./ E sarà apocalittico (giuro)./L’unico vero amore perfetto”.
Il brivido dell’attesa percorre la Notte carica di tensione: “Nessuno è mai, nessuno/è ancora tornato…/E la Notte/ si sporge dalla sua finestra”. L’attesa si colora di umana com-passione davanti alla “ragazza luminosa che ancora aspetti sola”; apre ad una allusione metafisica partendo da dolorose poltrone vecchie: “Poltrone stanche. Sedie morte da oggi/fino alla prossima resurrezione”.
Può essere l’anima ad aspettare, quella che tutti i cuori hanno: “Un’anima che li aspetta,/fedele nella sera della casa,/a viso segnato e braccia aperte,/…Ebbene: ogni cuore ha la sua anima/Ed è l’anima che sposta/la tenda alla finestra/fedele nella sera della casa”
La società dei consumi ha modificato la vocazione agraria della terra, eppure c’è la consapevolezza che : “Serviva soltanto questo: desiderare/un desiderio, abitare una terra,/tagliare con i piedi le labbra/a un campo frugale, scavato da fossi/e sentieri. Serviva soltanto colorare/una voce e sconfessare il silenzio/dei frutti e dei più lunghi segni d’attesa”.
Altro elemento trasversale e suggestivo è l’aderenza alle cose, l’uso di un linguaggio concreto che sa di terra e grano e farina e pane e vino, che evoca il paesaggio della periferia, lo carica di odori e suoni, scoprendo un’“anima di terra”. Questo al di sopra di tutte le tecnologie moderne, le distruzioni, le trasformazioni edilizie a cui si adegua a fatica, non aderenti alla sua pelle: “Fra le spine, fra i cardi nati dal fango, sorge/questo tempo di mattoni e di ex numeri/civici. Risuonano a intermittenza/tra appartamenti stampati lische/di pavimenti assenti”.
Questa concretezza è carica di sensualità: “Com’è Parigi, com’è quando somiglia/nuda, al sonno di una donna,/alla pelle, al corpo che dorme”. E ancora “Sorella Notte non dorme sola. E’ donna in un letto, donna nuda/in un Cielo vergine che trema/di lei nella sua prima volta”.
Colori, movimento, suoni, vita, sono racchiusi in soli due versi: “In cima alle battaglie delle spighe/un canto di papavero”. Stupore di una riscoperta: “Sotto la neve che sorveglia il campo/mi hai fatto ritrovare un seme agrario”; rimpianto ed un inutile voltarsi indietro: “Ma mancano le ali, e i venti antichi/delle scogliere; nuovi campi, nuovi/sentieri per le terre buie vado/sognando. E basterebbe già, materna,/la fragranza di un pane, festa, storia/di un libro vecchio di fiabe e di canti”.
Ciò che non condivido è l’uso eccessivo di anafore o di ripetizioni, che talvolta creano una teatralità non necessaria alla poesia, una ricerca di drammaticità: “sete, sete, la sete è un amore/che avvampa nel giorno e riarde/nella sera che diventa la speranza./Sete, sete, sete più non avrò io di te/…Ma senza, senza, senza sete più nessun dio/ti chiederebbe l’acqua; e neanch’io”.
Questo porta ad un primeggiare della voce del poeta, come se mostrasse il desiderio di ascoltare se stesso, e indebolisce il tu a cui così insistentemente si rivolge: “…ascolta le mie parole solamente/questi cinque minuti, e intanto ti riscaldo/le palme infreddolite. Cinque minuti/nella vita che è tua ed esiste Dio,/indubitabilmente. Cinque minuti/aspettando che tu arrivi; cinque/minuti, sei arrivata; non ti ho vista./Cinque minuti che giocano a scacchi/con il tempo; cinque minuti a correre/nel vento, a tarda sera./Cinque minuti/ad ascoltare jazz, che sembri nuda/e più vicina; cinque minuti per ritrovarti,/che persa è impossibile, cinque minuti”…etcetc…
Questo piacere declamatorio spunta qua e là, più o meno forte, a gettare un po’ d’ombra su una poesia di tutto rispetto, che conosce e sa comunque usare la parola del linguaggio poetico, che dovrebbe sempre essere parola di sintesi.
- Alba Gnazi:
Delle sue poesie dice:
Una scuola di campagna abitata da
fantasmi. La donna come terra, città
perduta o tredicesima porta nelle mura di
Bologna. Il dialogo con i morti e il
contatto con ciò che è lontano. Presenze
che scivolano lungo i muri di casa a notte
fonda… Sopra ogni cosa, una Pianura
Padana autunnale e misteriosa. Tutti
scenari poetici per un’inquietante storia
d’amore.
( p. 265 )
1 – Dico :
Mi sono imbarcata nella lettura con l’ansia – solita – di trovare qualcosa che mi aiutasse a scoprire, in qualche frammento di verso o nel disegno intero dell’opera, domande migliori o diverse dalle mie, gli orizzonti verso cui porta una (ancora) sconosciuta risorsa letteraria.
Scorrevole, intenso, pieno di discorso poetico e stilistico; dilagante: perfino.
Sazia perché multiforme, coinvolge perché senza sbavature, risponde perché denso e deciso : ho trovato domande. E anche qualche risposta.
2 – Dico :
Parla d’amore. Dei suoi posti, dei suoi modi, dei suoi attimi. Degli sbadigli che fa, delle trame bizzose che cuce scuce e pretende.
Parla d’amore : con occhio lucido, analitico, composto.
Coinvolto senza esser succube. Dentro al gorgo, ma tenendosi forte ai propri appigli : evita a piè pari gli scivoloni nell’ovvio; le malie declamatorie non hanno luogo, qui e nemmeno gli sbandieramenti del sentimento.
SONNO
Adesso non ho sonno, scrivo. Ti ho
da poco dietro le palpebre raccolta
come un grano feroce per la farina
che sa di generare. Quando ti sogno
tra i minuti senza una goccia di sonno
ed in cucina, alzato, a vedere cose:
beh, tu tremi di paura, le tue espressioni
rimangono allacciate, non vista
ogni tua cura segreta. Sogno nel sonno.
Ma io ti porto in letto un fiore
e chiuso in questo corpo ti amo.
( p. 26 )
Non teme le connotazioni che appartengono ad Amore, le usa tuttavia con metodo : non le spaccia, non le svende.
Cura le parole con la cautela e la solerzia dell’amante, quando scrive di Amore ( e non solo ).
Parla dei paesaggi, entra nelle loro viscere, ne scandaglia le polveri, ne illumina le strettoie e le notti.
Osserva : la donna, i suoi movimenti, la disciplina dei suoi gesti, la ferocia delle sue pulsioni.
SILENZIO
Ma non ti preoccupare, sei una donna.
Ancora un fiore che sboccia calmo
in primavera, e la stagione (ricordi?)
dolcemente rinasce insieme con lui.
Una volta ti dissi: Musica! Musica
e rumore… Quanto avevo ragione;
però non sapevo di parlare a te stessa
di te, che un’alba o quella subito dopo
sboccerai e sarai una quieta magnificenza.
( p. 29 )
Esprime incanto, dolenza, Ironia : realtà e misteri personificati e respiranti, estratti da facili metafore. Vivi : vivi.
Osserva : da dentro e da fuori.
3 – Dico :
Musica ovunque.
Dai versi al singolo sostantivo; dal tema all’intenzione.
FERMATA DI CORRIERE
La musica e il rumore, le schermaglie
lungo l’asfalto dei rapidi raggi
di sole. Sotto un abbraccio di portico
risalta il basso slavo di una musica:
“La vita è una conchiglia chiusa!” e dentro
la fisarmonica riarde l’osso
del canto. La custodia aperta esclude
di per sé la partenza od un approdo.
Todo modo, fermate di corriere
qui non ce n’è; è il rosso del colore
dei mattoni la star pomeridiana
o un’apertura schiva di portone,
lo spegnimento russo e musicale,
lontano. Si germoglia a poco a poco
un profumo di carta da giornale,
l’inchiostro di un’edicola, un fiore;
e quella ricorrenza da lasciare
perché ferisce, allora la si brucia
sul canto e sulle labbra un po’ stonate
del russo cieco che la vita è
una conchiglia chiude nella fretta
d’ogni passo la sera che si attarda.
( p. 113 )
Nell’ ‘’ Avvertenza ‘’ prefatoria della raccolta annuncia di questa i propositi e gli approdi, sottolinea come il discorso musicale sia stato e ancora sia una costante del suo vivere ed essere poeta – spesso anche con funzioni apotropaiche e rivelatrici di ‘’ presenze ‘’.
Un annuncio breve e distaccato che tradisce i decenni incuneati nel Ritmo, nell’Armonia, nella Ricerca musicale.
Appare quasi timido, quasi volto ad attenuare il peso che la Musica detiene nei suoi scritti :
Si tratta di un solo spartito per voce che ho
cominciato a studiare a diciassette anni. Eviterò
di ricordare la vocazione ritmica e musicale che
accomuna da sempre la poesia alla preghiera e
alla formula magica. Non voglio concentrarmi
sull’essenza di evocazione, e di esorcismo, che si
nasconde un po’ qua, un po’ là tra i miei versi. Per
ora dirò quindi che si tratta di una semplice
testimonianza su vent’anni di attività poetica.
Titola ‘’ Le tre monete ‘’: i cambiamenti e le evoluzioni della sua cifra poetica. La Musica veicola e converge i significati e le mutazioni, scandendone le ascese, le scomparse, le fughe; spira ovunque, allestisce scenari, mostra, spiega e si dispiega.
4 – Dico ( di un difetto ):
Le spaziature. Le pagine vuote. Ce ne sono alcune. Mi inquietano perché manca il corpo della Poesia, mi destabilizzano perché le vivo come un’interruzione, mi annoiano perché devo scorrere in fretta a cercare il testo, che poi oltrepasso e mi spazientisco.
Un altro difetto ( questo lo aggiungo io di mia sponte ) è che avrei dovuto conoscere prima la Tua Poesia, Stefano Severi. Mi era sfuggita e questo non mi piace.
- Angela Greco:
Tra i pregi, tre: l’aver raccolto il lavoro poetico di un lungo arco temporale, fatto che indubbiamente premia la perseveranza nel poetare dell’autore e la fiducia in se stesso; l’indubbia evoluzione della scrittura, che rende partecipe il lettore della maturazione fisiologica-necessaria della stessa poesia; la sincerità della componente emozionale esternata in alcuni passaggi semplici, diretti e molto efficaci, come ad esempio a pag. 230 dove, in soli quattro versi privi di arzigogoli, mi sembra di leggere tutto il percorso delle gocce-poesie accadute e raccolte, che ha condotto a questa silloge:
MALTEMPO
Giunse il tuo amore
come giunge la pioggia,
goccia dopo goccia,
una goccia per volta.
Una qualità per me non positiva – che non amo chiamare difetto – è l’assenza di una selezione più drastica dei componimenti affidati alla carta in vent’anni, che ha comportato una lunghezza eccessiva dell’impaginato. Credo che affidare versi che non siano un poema o il compendio finale di una carriera e di una esistenza ad un tempo molto lungo in pagine,per quanto si possa leggerne in misura personale quotidianamente, possa indurre una sorta di noia nel lettore.
un grazie a Rita per l’opportunità e a Stefano per aver accettato (anche) le mie parole sulla sua opera, per la quale gli faccio i miei complimenti. Ad maiora!