Lo schermo d’argento. Poesia al cinema di L.V. Stein: The Raven
E il Corvo, non vola più, per sempre immobile
Sul pallido busto di Pallas proprio sopra la porta della mia camera
E i suoi occhi hanno l’aspetto di un demone sognante
E la luce della lampada proietta la sua ombra sul pavimento
E la mia anima fuori da quell’ombra che giace fluttuante sul pavimento
Non si rialzerà – Mai più
Il cinema, di questa poesia, se ne innamora fin da subito.
D’altra parte è una poesia mondo, una di quelle opere che sembrano contenere i germi di tutti i temi, di tutti i simboli, di tutti i versi possibili. Una costruzione accurata, e una musicalità magnetica, irripetibile.
Un uomo, solo, una notte d’inverno, chino su un libro che non lo salverà, mentre attende che il mattino lo strappi alla disperazione della moglie morta, tra il sonno e la veglia, sente un picchiettare alla porta. Si alza, preda del terrore. Ma non trova nessuno. Il picchiettio passa alla finestra. La apre. Da lì entrerà il corvo, creatura delle tenebre, alla quale l’uomo porrà, una dopo l’altra, le domande che lo tormentano, e alle quali riceverà sempre la stessa risposta, in un crescendo di tensione insopportabile, fino a ritrovarsi di nuovo e per sempre alle prese con la sua pazzia e il suo definitivo tormento: Nevermore. Mai più.
Edgar Allan Poe la pubblica nel 1845, tre anni dopo la morte della giovanissima moglie Virginia, quattro prima della sua. E’ devastato dal dolore, preda di fobie spaventose, acuite dall’alcol.
Il primo film, del 1915, è tratto da un testo teatrale e narra la vita dello scrittore e la sua tragica storia d’amore.
Poi, nel 1935, tocca a Bela Lugosi, con la regia di Lew Landers, in una contorta storia di follia.
L’ultimo, in ordine di tempo, è del 2012 e invent,a come fosse uno dei suoi romanzi, gli ultimi suoi giorni di vita.
In mezzo, nel 1963, c’è un gioiello di ironia firmato Roger Corman. Fa parte della serie di cinque film tratti da opere di Poe che Corman dirige e Richard Matheson scrive. A prima vista una citazione impertinente, il film gioca con una trama fantasiosa e rende un omaggio sincero e umile al mistero che caratterizza gli intrecci di Poe e il cinema, i suoi trucchi, la sua magia. Sfavillano, gotici al punto giusto, attori che sono già miti: Vincent Price, Peter Lorre, Boris Karloff e un giovanissimo Jack Nicholson.
Un capitolo a parte infine merita un film apparentemente lontanissimo da Poe e da “The Raven”. Scambiato per un’opera pornografca, in realtà a metà strada tra il trattato filosofico e il romanzo di formazione, Nymphomaniac di Lars Von Trier, del 2013, è intriso della stessa melancolia che caratterizzava la personalità di Poe.
Nel capitolo 4 intitolato Delirium i protagonisti, la giovane Joe e l’anziano Seligman, parlano di Poe e del padre di lei, morto a causa del delirium tremens.
Joe: Cosa stai leggendo?
Seligma: Non lo sto realmente leggendo. Sto solo familiarizzando di nuovo con Edgar Allan Poe.
Joe: Non lo conosco.
Seligman: Beh, era un uomo molto oppresso e tormentato. Morì in modo spaventoso, puoi immaginarlo, in quello che viene definito “delirium tremens”. Capita quando l’abuso di alcol per lungo tempo è seguito da un’improvvisa astinenza. Il corpo subisce una sorta di shock di ipersensibilità. Puoi avere le allucinazioni più terribili, topi, serpenti scarafaggi che emergono dal pavimento e vermi che strisciano sui muri. Tutto il sistema nervoso è in allerta e tu sei costantemente preda del panico e della paranoia. E poi il sistema circolatorio collassa, ma il panico e l’orrore rimangono fino al momento della morte.
Joe: So cosa sia il delirium.
Seligman: “D’autunno, per tutta una giornata uggiosa, cupa e silenziosa, con il cielo carico di nuvole basse e opprimenti, avevo cavalcato solitario attraverso una campagna straordinariamente tetra fino a che mi sono trovato, mentre cadevano le ombre della sera, in vista della malinconica Casa Usher”.