La rubrica di Arturo Martinelli: tentativi per una pseudo pedagogia poetica del cavolo.
Il nostro Arturo Martinelli, amato pedagogo-cultore della poesia e dei cavoli, dopo lunga assenza, dal suo appezzamento abruzzese ci impartisce una nuova lezione di saggezza contadina.
Sulla resistenza della lingua: alla poetessa dai facili anglicismi
E’ vero, gentile poetessa, il problema non sono
gli anglicismi, lei dice: il dio spread, la tirannia
della finanza, il dominio delle merci sull’uomo, il capovolgimento
di una certa essenziale borsa dei valori. Mi creda,
la questione della lingua è cruciale. Non si tratta soltanto
di salvaguardare un malinteso orgoglio nazionale. Lei ricorda quella sequenza
del film Palombella rossa in cui Nanni Moretti afferma
“chi parla male, pensa male, e vive male”. Lei concorderà che il mondo
in cui disseminiamo le nostre parole è un mondo vecchio e marcio,
forse concorderà altrettanto che per creare un mondo nuovo,
che profumi del sapone di una fresca pulizia , nel quale
al centro sia messo l’uomo, soprattutto (attenzione!) la sua felicità,
il giusto cammino verso la realizzazione, necessiti in primo luogo
una lingua nuova, parole che restituiscano la gioia di un percorso
che niente abbia a che fare col vecchio, un mondo musicale, leggero,
nel quale il fine ultimo non sia la produzione finalizzata al consumo,
ma sia la protezione di sentimenti nuovi, di un ozio creativo,
di rapporti svincolati dalla gravità del pregiudizio, dalla zavorra delle religioni,
dalla gregarietà di una lingua guasta di stereotipi, e se lei concorda su questo
dovrà darmi atto che la poesia riveste un ruolo cruciale, costituisce
il nuovo propulsore di energia, le radici di un linguaggio nuovo affondano qui, nei nostri
futuri versi. E che senza un’adeguata sorveglianza della lingua
tutto il discorso cade, il colonialismo culturale ci rovinerà,
brucerà sul nascere qualsiasi tentativo di rinnovamento. Non si tratta
di svecchiare gli antichi stilemi della poesia, si tratta di inventare
un linguaggio che spiani la strada alla felicità individuale e collettiva, e gli anglicismi,
mi creda, sono la vecchia lingua, del potere delle merci e del dominio
della finanza, delle menzogne dei governi, e noi dobbiamo liberarci della lingua della finanza
se vogliamo restituire il sorriso alla lingua che è la nostra vera patria, il luogo
nel quale parlano i sogni, parla il nostro ininterrotto monologo interiore,
è la nostra vera patria la lingua, prendiamo la rincorsa perché impari a volare.
è sempre un piacere ritrovare questa sana ironia
unita ad una non comune capacità di analisi della società .
grazie al “coltivatore diretto” della poesia.
ci fa sapere Arturo Martinelli di aver molto gradito il commento di Luigi Paraboschi, e dal suo operoso eremo molisano sentitamente ringrazia