La rubrica di Arturo Martinelli: tentativi per una pseudo pedagogia poetica del cavolo.
Un grande ritorno! Arturo Martinelli, amato pedagogo-cultore della poesia, che aveva lasciato temporaneamente le nostre pagine per dedicarsi ad altre coltivazioni intensive, torna con le sue satiriche osservazioni e i suoi consigli sagaci.
Vediamo con chi se la prende oggi…
Alla poetessa dell’eterno
Gentile poetessa dell’eterno, si, proprio lei che in chiusa
ad ogni sua poesia spalanca le ali e vi si tuffa, ne fa
il varo di ogni sua barchetta, il volo cui affida
i suoi aeroplani di carta. Bene. Le dico
senza reticenza che lo trovo stucchevole e mendace,
di più: zuccheroso melenso falso come una moneta falsa, infine
decisamente brutto e anacronistico. Ci sono parole che celano
dentro di sé un elevatissimo tasso di menzogna, d’inganno, di mistificazione.
Potrebbe lei subito obiettare che questo è il destino
di ogni parola. Che cos’è appunto una parola ? un fantasma,
una proiezione, un film, una convenzione, un falso, e su questo
mi troverei con lei concorde. Ma alcune di più. Ed è il caso
della parola eterno. (Attenzione: usata in funzione
sostantivale, perché come aggettivo niente da obiettare, anzi,
un cruccio eterno, un eterno sorriso, suonano invece bene).
Le dico subito che cosa la parola eterno mi ricorda: una scorciatoia,
un trucco col fine di captare benevolentiam, è come quando per cuccare un passaggio
l’autostoppista fa il gesto di mostrare la coscia, non so se
riesco a spiegarmi a modo. Ora la poesia, secondo quanto a me pare,
sebbene sia il trionfo della sintesi, della concisione, ebbene rifugge
dalle scorciatoie, dai trucchi, dagli incantesimi artificiosi.
Credo che esiga invece mani sporche e che dietro ogni verso luminoso
si nascondano lacrime, fatica, o almeno una tensione dolorosa.
Credo inoltre che tra la poesia e l’uomo sulla luna, il varo di una nave,
la metropolitana di Milano, il computer, esista una qualche parentela.
La quale abita in quella dolorosa tensione, nello sforzo di tentare nuove vie,
soprattutto (attenzione poetessa dell’eterno al seguente concetto)
al cambio di prospettiva. La poesia non si accontenta delle vecchie prospettive,
cerca costantemente di agguantarne di nuove, di stravolgere,
di abbandonare le certezze statiche, quelle che diventano
catene, ancore che impediscono il mare aperto del nuovo.
Ecco, lo sforzo di mutare l’angolo visuale è ciò che accomuna
il verso e la scoperta, ed è una tensione che in modo sotterraneo
permea la società, la fa vibrare. Capisco bene che il discorso
è ampio e questo breve cenno persino fuorviante, eppure mi creda,
io ci credo, alla funzione sociale della poesia, che non è
buoni sentimenti o effetti speciali, ma soltanto il dolore
di dire le cose nel modo esatto. Mi creda, suo (eterno) amico.
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al seguente link potete trovare tutte le puntate precedenti della rubrica di Arturo Martinelli: