L’ironia è una cosa seria, rubrica a cura di Natalia Bondarenko: Daniela Pericone
Dicono che vedo nella poesia il lato ironico anche quando non c’è. Mi ‘azzuffo’ (a volte) per difendere con le unghie (che non ho, dopo averle mangiate) un mio pensiero: che la poesia ironica ha mille sfaccettature, nuance, regole scritte e non, codici, linguaggi; ma l’importante, secondo me, è captare lo spirito con il quale un poeta scrive.
Nell’articolo precedente ho già proposto una poesia sulla guerra di un’ironia sconcertante, oggi invece, vi voglio proporre una poetessa ‘sconcertante’, che per molti non è per niente ironica, anzi, direi, quasi drammatica. Ma questa volta è lei ad essere d’accordo con me, precisando con totale sicurezza di essere “ilaro-tragica”. Parlo di Daniela Pericone.
Ogni poeta fa nascere le sue poesie in modo differente. Mi ha colpito molto l’approccio con la scrittura di questa poetessa: per lei “l’impulso alla creazione poetica è qualcosa che nasce dai meccanismi inconsci e magmatici dell’io (mi interessano molto a questo proposito le vie aperte dagli attuali studi di neuroscienze). Osservando dalla mia soglia potrei dire che la prima apparizione di senso si origina da un atto percettivo, sia che derivi dall’esperienza esterna, sia dall’elaborazione interiore di concetti, sentimenti o ricordi”.
In una sua intervista ha precisato che: “per quanto si possa riflettere sulla sua scaturigine, rimane un accadimento ineffabile, che lascia attoniti a ogni suo verificarsi, e assorti, quasi imprigionati, in una specie di velamento dello sguardo. Solo dopo avviene il passaggio alla lucidità del lavoro intellettivo sul nucleo linguistico emerso, che sia un grumo sillabico, una parola, una sequenza di termini. Sino al formarsi dell’intera composizione, che potremo ritenere riuscita se avrà condotto a un’epifania, ampliato una visione, dato una scossa al risaputo”.
Per la poetessa è anche molto importante il contatto con le opere di altri poeti capaci di innescare “catene associative di immagini e sensazioni dagli esiti imprevedibili”. In questo senso possiamo parlare di un incoraggiamento, di una stimolazione linguistica così cara alla poetessa che produce non soltanto la parola ricercata e rimodulata, ma anche una certa sonorità e la sensazione di appartenenza o di empatia per chi la legge e sente di trovarsi nelle stesse situazioni.
Infatti, la poesia di Daniela Pericone spiazza. E non spiazza con un linguaggio nuovo. La poetessa in questo caso è categorica: “per non incentivare la tendenza alla banalizzazione del linguaggio, o l’appiattimento dovuto alla povertà lessicale della comunicazione di massa, non esito a utilizzare termini inusuali, più “risonanti” rispetto alla monotonia del parlato quotidiano, attingendo alla ricchezza della nostra tradizione letteraria”.
Tutti noi abbiamo uno o più poeti ai quali dobbiamo qualcosa per quello che ci hanno dato, donato, insegnato. La lingua di Daniela deve molto al poeta Nanni Cagnone, e non soltanto per le sue poesie, ma anche per la sua prosa perché, in questo caso, la poetessa fa a meno di distinzioni. Per lei gli scritti di Cagnone: “sono luoghi inestimabili da frequentare, connubio di complessità lessicale e sintattica, immaginazione sontuosa e postura etico-eretica”. Mi sembra che una dichiarazione di intenti così forte e così esplicita sia inequivocabile e definitiva. Le scelte linguistiche sono meditate e sono il frutto di un’idea ben precisa, potremmo dire quasi aristocratica, certo socialmente utile, se si considera che possono e devono accendere il desiderio di rivolta.
Ma, per tornare al discorso della poesia ironica, vorrei fare due precisazioni: la prima è che non è tutto oro ciò che brilla, cioè, nelle poesie di Daniela non troverete lo schizzar dal ridere, probabilmente, non sorriderete neanche, ma questo non significa nulla. Chi va alla ricerca di risposte ai grandi interrogativi esistenziali, non si sofferma su leggerezza e banalità, ma cerca di rimanere sempre nel profondo delle cose, sottolineando alcuni paradossi e aspetti poco esplorati, donando con pochi accorgimenti quella sensazione di delicatezza che ci fa capire (per chi vuol capire) qual è la dose necessaria di ironia per far risultare il testo prezioso. E la seconda precisazione è quella che dico sempre quando parlo di ironia: accendere l’autoironia. Senza sporcarsi le mani, senza metterci la faccia, il gioco non vale.
…Non sono nata muta / qualcosa in me ha deciso / senza nostalgie, che a nulla vale dire. / Per giorni e giorni ho visto / riprodursi i suoni, comporsi / l’aria in vibrazioni piene che dessero / segnali comuni e condivisi. / Ma simili non siamo, / restiamo incomprensibili…
La poesia di Daniela è specchio della nostra contemporaneità. E dove lei inserisce il proprio “io”, si sente all’istante il suo sguardo ironico che riesce ad abbracciare i sentimenti, i pensieri umanamente contradittori e tutto il resto che si riesce trovare nella produzione di questa poetessa (direi) speciale.
ALCUNE POESIE DI DANIELA PERICONE
A MORSI
Mentre mordevo la vita
un dente si spezzava,
mi chinavo a raccogliere
il pezzo mancante
e con dita maldestre
rinsaldavo quello
che era stato un incisivo,
ma che ora somiglia
a un insulso canino
la cui natura animale
mostra solo il ringhio
e la vita se la ride
del mio morso a mezz’aria.
*
MI SCRIVO
Mi scrivo lettere
e non mi rispondo.
Busso alla porta
e con voce artefatta
riferisco che in casa
non c’è nessuno.
Vorrei proprio sapere
dove sono finita
e chi è quell’intrusa
un po’ triste un po’ schiva
che mi abita adesso,
così remissiva che
non s’altera in nulla,
a tutti sorride
ma son solo fantasmi,
ha fatto la cuccia
nella stanza più interna
e ogni tanto passeggia
compagna degli alberi,
a ogni ramo sfogliato appende
rimpianti d’abbrivi mancati.
da Il caso e la ragione (Book Editore, 2010)
*
Non è il caso, mia signora,
di finire proprio adesso
ne ho sprecato già di tempo
e perciò non è lo stesso
dire basta a quel che resta.
Sì, lo so, non conta niente
che io pensi non ancora.
O forse no.
Se m’ingegno, se m’impunto
se mi aggancio in ogni cellula
alla soglia
finirà ch’io perda il fiato
ma può darsi, mia signora
che di avermi dopo un po’
passi la voglia.
*
Tenevo una quiete di temporali
in una buca scavata nelle tasche
ora mi gocciano dentro
mi prendono per mano
sono la gioia delle pietre.
da L’inciampo (L’arcolaio, 2015)
*
L’arte e la vita, dicono
non fidare in un doppio talento
l’una si teme inadatta
dissemina l’aria di sfingi e barbagli
l’altra disdegna l’ardore
con finto altruismo ti cede
alle braccia rivali.
*
Ai fantasmi in assetto
di pace consegni
sguardi obliqui, tempie
immote ai venti
lasci che ognuno
avvolga la sua benda.
Non cedere a lusinghe
di paesaggi,
sciogliere nodi
è mestiere da penelopi
la tentazione è nelle forbici.
*
ora vado a sparire, vi lascio dire fare
parlare, mi lascio stordire, voi lasciatemi
stare, io per me non sono niente, né voi
siete niente niente per me – un treno
m’è caduto ai piedi, no sono io caduta
da un treno, io ho deragliato, ho tirato
su il fiato, su l’ho tirato, giù mi tiro
giù, fuori tiro da tutti, fuori da tutti i furori
fuori di me fuori
da Distratte le mani (Coup d’idée, 2017)
*
Nota biobibliografica
Daniela Pericone è nata a Reggio Calabria, dove vive. Ha pubblicato i libri di poesia: Passo di giaguaro (Ed. Il Gabbiano, 2000), Aria di ventura (Book Editore, 2005), Il caso e la ragione (Book Editore, 2010), L’inciampo (L’arcolaio, 2015), Distratte le mani (Coup d’idée, 2017). Cura, con enti e associazioni, eventi culturali e reading. È autrice e interprete di letture sceniche e recital. Sue poesie e prose sono presenti in volumi collettivi, riviste, siti e lit-blog. Si occupa di critica letteraria e collabora a varie riviste su carta e online.