Rubrica viaggi e vacanze: versi di Luca Buonaguidi e nota di G. Niccolai

Rubrica viaggi e vacanze: versi di Luca Buonaguidi
da “India – complice il silenzio”, Italic ed. 2015.

    

   

E’ appena uscito con Italic “India – complice il silenzio” l’ultimo libro di Luca Buonaguidi, un diario di viaggio in versi. Ve ne proponiamo una piccola selezione insieme alla lettera che Giulia Niccolai ha inviato all’autore.

Luca Buonaguidi (Pistoia, 1987) vive in un piccolo paese dell’Appennino tosco-emiliano. Ha pubblicato i volumi di poesia I giorni del vino e delle rose (Fermenti, 2010) e Ho parlato alle parole (Oèdipus, 2014), ha curato Franti. Perché era lì – Antistorie da una band non clas- sificata (Nautilus, 2015) scritto col collettivo Cani Bastardi, un suo racconto compare ne La sagra è vicina (Beltempo, 2013) e ha parteci- pato al disco Approdi. Avanguardie musicali a Napoli – Volume I (KonSequenz, 2015). Scrive di musica, cinema e letteratura per varie riviste online e suoi testi sono apparsi su riviste di let- teratura e poesia. Raccoglie le sue scritture sul blog www.carusopascoski.com.

*

Al vento non chiedere,
nel vento disperdi
il tuo nome.

Al vento non chiedere
il vento del corpo
è ragione.

Al vento non chiedere
del vento consacra
ogni passo comune.

***

Il Sé pare si muova, ma è sempre fermo

Ῑṣa Upaniṣad

Il tempio sfuma

in chiaro d’ombra
e soffia la mia quiete.
Nutro la benedizione
depongo la ricerca
felino nel tramonto
a cui manca il dente
che afferra, mastica.
Salgo poi su un treno
in corsa.
Siedo.

Qui
inizia la risposta.

   

Tanjavur
26/02/2013

***

Distanti cime sovrastano l’orizzonte
la piena del Gange mi cinge
energie sottili mi sono vicine.
È qui che ho accompagnato
il mio Dio a morire
in questo lungo viaggio insieme.

Mi piacerebbe raccontarti
com’è difficile fare poesia
quando l’anima ascolta.
Mi sento a casa
e mi sento appena,
trovo pace in quest’assenza.

Appaio talvolta sull’opposta riva
quando di nascosto fumo
una sigaretta in terrazza.
Ma mi è lontano il nome
e il fiume copre
il suono della mia voce.

   

Rishikesh
20/04/2013

***

Nel ritorno
accorro non desto,
fanghiglia nel segno intatto.

Completo
d’una incompletezza
che accoglie la mia assenza.

Al mattino
il mio giardino
è un prodigio di fiori.

***

LETTERA A LUCA di Giulia Niccolai

Caro Luca,
ci diamo del tu?
Grazie per le tue parole così affettuose e positive nei riguardi miei e del mio lavoro. È stato un piacere leggere la tua INDIA – Complice il silenzio, e vedere le tue ottime foto così pertinenti e dunque anche capaci di farci capire persino più a fondo la tua poesia.

Sono contenta che tu abbia voluto menzionare Moravia e la sua definizione “l’esperienza dell’India”, perché anch’io (per ciò che mi preme dirti), vado indietro nel tempo e cito Flaiano, che la visitò nei lontani anni Cinquanta, e Manganelli più tardi, durante il decennio dei Settanta. Entrambi questi grandi scrittori e anche esseri umani molto sensibili e rari, confessarono di aver passato lunghe settimane di depressione dopo essere tornati in Italia dal viaggio in India. Non riuscivano ad accettare le condizioni di inaudita povertà nelle quali avevano visto migliaia di persone.

Io sono invece stata in India la prima volta alla fine degli anni Ottanta. Ero già buddhista da quattro anni, e in qualche modo, i sorrisi spontanei che avevo visto sui volti di numerose persone, mi avevano fatto intuire che gli indiani erano più autentici, spontanei e forse anche sereni di quanto non lo fossimo noi dell’Occidente.

Ora, avevo già capito da tempo che siamo tutti figli della nostra generazione, ma il fatto che la mia recente fede buddhista mi facesse giudicare l’India in maniera così diversa – direi opposta – da come l’avevano vissuta Flaiano e Manganelli, mi lasciò molto perplessa, incredula.

Anche perché, sia Flaiano che Manganelli si definivano atei, tuttavia entrambi erano profondamente spirituali.
Per terminare il discorso, non posso che attribuire la profonda differenza tra le loro reazioni e la mia, a qualcosa che abbia a che fare con l’influenza, l’insospettato potere dell’influenza del subconscio collettivo.

Per i buddhisti: tutto è nella nostra mente.

Ma quel “tutto”, quanto è illusione, proiezione, subconscio collettivo ecc. ecc.?
Questo disagio, questo dubbio mi proibisce da tempo di giudicare ciò che non riconosco come molto simile al modo stesso di pensare della mia stessa mente.

Manganelli, nel libro del suo viaggio, paragona l’India a un enorme scalo ferroviario nel quale siamo già passati tutti, prima o poi.

L’India del sud, da Bangalore a Bylakuppe (150 km. più a ovest), che vidi dal finestrino di un’auto alla fine degli anni Ottanta, per raggiungere dall’aeroporto, il Monastero buddhista tibetano di Sera Je, mi fece sentire di essere in un paesaggio antichissimo (biblico?): un contadino con un aratro di legno; una valletta di forni e di fuochi dove altri contadini stavano cuocendo mattoni per poi costruire la loro casa.

Lungo la strada, priva di traffico, termitai rossi, alti più di un metro “gotici e turriti / ampi ed elaborati / laboriosamente costruiti / in disarmante somiglianza / con i castelli di sabbia più belli / della mia infanzia”.

L’India la “riconoscevo”, era come se la riconoscessi perché si tratta di un passato lontano nel quale ero già stata e avevo amato. L’India è antica. Come le nostre menti, già vissute in infinite, precedenti incarnazioni?

Questa volta, bambina, con altri bambini, l’avevamo anche plasmata nella sabbia, quell’India così fiabesca ma terra-terra che avevamo dentro.

Due tuoi versi che mi sono piaciuti moltissimo sono:

sotto una raffica
di insegne luminose

e ho subito capito perché. In questo caso tu descrivi qualcosa di precisissimo che vedi, che ti colpisce e che ci racconti con una parola: “raffica”, così perfetta da rendere l’immagine assolutamente indimenticabile. Uno schiaffo.

Anche la mia poesia è sempre basata su qualcosa di ben preciso che vedo, oppure su un ben determinato pensiero che mi fa poi fare un certo ragionamento.

La tua poesia è invece quasi sempre profondamente lirica, la associ al vento, a qualcosa di imprendibile e di incontrollabile, un tuo stato d’animo di grazia che corrisponde al tuo sentirti immerso nella poesia stessa:

Vedi, ora scrivo
ma quando mi leggo
mi sono straniero

Sono versi bellissimi che io non potrei mai scrivere perché non mi succede mai una cosa simile.

Nel mio caso, posso solo avercela con me stessa perché, dopo aver scritto il testo, mi sono venuti in mente dei termini più precisi, più idonei e forti di quelli che avevo usato.

Per farti un secondo esempio che mi fa sorridere di piacere, per quanto lo sento capace di dire tutto, così bene, in così poche parole, è:

Salgo poi su un treno
in corsa.
Siedo.

In corsa lui e in corsa tu, l’hai sfidato e hai vinto. La soddisfazione, il fiatone del bambino che ce l’ha messa tutta.

Magistrale.
Fai correre tutti noi per emularti.
Caro Luca, spero di essere riuscita a spiegarmi nel dirti che la tua poesia mi ha colpito molto positivamente, ma non me la sento di scrivere un’introduzione vera e propria alla tua INDIA, perché la tua liricità è qualcosa che so di non aver mai provato.

Con amicizia e i miei cari auguri di buon lavoro,

Giulia

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