Scrigni di Francesco Vitellini, la modernità nella tradizione di Flavio Almerighi.
Secondo eminenti e credibili critici, una buona poesia contemporanea si può sviluppare esclusivamente con l’utilizzo del verso libero. Sono abbastanza d’accordo con questo dettato, ma Francesco Vitellini è l’eccezione che conferma la regola. La sua scrittura in metrica, l’estensione prediletta nel sonetto, rendono questo autore assolutamente diverso dal gran numero di poeti, o sedicenti tali, che in questo periodo tormentato di riforme e controriforme pullulano in Italia. Mi sono reso pienamente conto del valore della poesia di Vitellini, declamandola in pubblico durante la cerimonia di premiazione del Concorso Crivelli di Milano Rogoredo. Mi ha emozionato, accalorato, convinto. Nossignori, questo autore non è un neomelodico o in qualsiasi nicchia lo si voglia classificare nel mondo della poesia. Utilizza la metrica, da musica autentica a situazioni attuali, a stati d’animo ed emozioni che non hanno niente di superato. Credo sia luogo e modernità l’essere riuscito a ridare sangue a uno scrivere creduto arcaico e superato, un innovatore innestato in radici culturali che non rinnega.
Scrigni è il libro d’esordio di questo poeta, e nasce dalla vittoria nella prima edizione del concorso “In vita poesia Contemporanea”, ideato e diretto da Giusy Carofiglio, direttore della Collana Poiesis della casa editrice VJ Edizioni. E’ una raccolta di poesie in metrica classica, scelta di per se coraggiosa in un momento come quello attuale in cui la poesia è priva di un pubblico e gli autori si leggono tra loro. Vitellini è convinto, e a ragione, della necessità di coniugare un patrimonio forte di regole e competenze e trasportarlo nel moderno e post moderno. Scrigni, quindi, è una raccolta di poesie in metrica. La ricerca di equilibrio è il fulcro attorno al quale ruota la raccolta, sia come forma che come contenuti Sono certo che questo autore provocherà un forte dibattito, proprio per la sua diversità. F.A.
Nota autobiografica dell’autore: Nato e cresciuto in Germania da madre tedesca e padre calabrese, ho vissuto per 23 anni in Calabria e da qualche anno mi sono spostato a Milano dove scrivo e lavoro (in questo ordine). Scrivo di poesia, scrivo poesia e traduco poesia (in poesia). Sono fortemente convinto che la poesia contemporanea italiana non abbia saputo aggiungere nulla di nuovo alla tradizione, tagliandone, anzi, parti fondamentali come la forma e la metrica. Iniziando a scrivere ho scelto, inconsapevolmente, la poesia senza struttura né regole. Ho capito presto che una poesia carica solo di emozioni, ma priva di alcuna forma, è poco soddisfacente e quindi mi sono avvicinato alla metrica e alle forme classiche di poesia. Imparando a lavorare con la metrica e coi versi sono arrivato alla conclusione che Poesia sia ricerca di equilibrio tra forma e contenuto. Non si tratta necessariamente di usare le forme fisse tradizionali, quanto il verso nella sua costruzione corretta. A mio modo provo a coniugare la secolare tradizione poetica italiana con temi attuali, o temi tradizionali visti con occhio attuale. E tutto questo senza assumere i toni disperati così comuni oggi. Dopotutto, chi pagherebbe per immergersi nelle ansie di un altro? F.V.
Cinque poesie estratte da Scrigni scelte dall’autore:
Vestita in leggiadrìa, forte ella danza
con ala di farfalla trasparente,
volando su una nube in tulle e organza
con grazia d’anima, spirito e mente.
Regina di beltà ed eleganza
risplende qual gioiello tra la gente
al disperato fa tornar speranza
e domina con l’arte sua potente.
Passione come fuoco ispira il gesto
e l’aria la sostiene in leggerezza,
fluisce come l’acqua, e attorno il resto
scompare, trasformato in pietra grezza.
Risplende in calda gioia un cuore mesto
che trova nel suo volo la bellezza.
***
Lascia un tenero velo d’incertezza
la forte sensazione che tu sola
timido fiato e più lieve carezza
possa fermare una vita che vola.
Mi incatena al dolore e mi disprezza
talmente forte che lama o pistola
non posson peggiorare la tristezza
che mi incancrena il cuore e lo divora.
Una singola goccia di speranza
salvezza che sconvolge anche l’inferno
è solo un sogno senza più sostanza
e illudersi non serve in quell’inverno
dei sentimenti, che chiude ogni danza
fissando in un sol punto un nulla eterno.
***
Prendi, gabbiano, il mio nome e rivelalo
a coloro che muoiono oltre il mare,
parla di me ai morti nella tela
mai più vista d’alcun che sia mortale.
Essa si copre di luce, pur nera
ed infinita coltre tetra e grave,
in gocce d’esistenza, pur straniera,
e in essa sola un nome può volare.
Quant’è più dolce l’essere scordati,
l’oblio dentro ogni mente ed ogni cuore!
A nulla giova l’esser ricordati
se non pei propri versi e le parole.
Tradita sunt ad inferias ormai
quelle spoglie mortali ch’indossai.
***
Come neve e foco (Canzone)
Udite, amici, l’amoroso canto
di chi già disperava in tempi andati,
e come fu salvato per incanto.
Soltanto terra e pietra aveva in dentro
al petto, e sol pensieri disperati,
quan tosto il dio con l’ali fe’ il suo centro.
Un foco allora sparse di fiammelle
in giù dagli occhi e accese un nuovo mondo
nato per viver tra nuvole e in quelle
condotto verso un cuore più fecondo.
Ah, fossi io sol capace;
ma come neve a Sole
la mente mia è costretta a non pensare,
e la mia lingua tace,
ch’osarsi essa non vole
dove gli stessi dèi non san parlare!
Dolce disio d’amare,
se’ forse tu la forza
che brucia nel mio core
e, schiavo dell’Amore,
fai arder quella fiamma che non smorza?
Arresi le difese
nel punto in cui lo sguardo suo mi prese.
Eppure vivo immerso in grande dolo,
poi ch’io, pur ‘sendo alato, più non volo.
Oh, dolce vita mia,
mortale mio dolore,
se solo conoscessi la mia pena!
Tace la melodia
mi sfugge ogni calore
e il freddo si diffonde in ogni vena.
Ogni speranza mena,
quasi fossi dannato,
soltanto seco strali,
veleno de’ mortali,
rinchiuso senza chiave, condannato.
Nessuno che sia vivo
potrebbemi invidiar questo destino.
Cotal la fe’ Natura deliziosa
che ‘l core mio per nulla più riposa.
Passi sull’erba fresca,
la chioma tinta in grana,
minuscoli brillanti d’acqua e sale
su pelle ch’è di pesca
sì profumata e piana
che al sol pensier di nuovo Amor m’assale.
Il canto mio non vale
dinanzi al suo sembiante,
e un petalo non posa
un fiore, giglio o rosa,
davanti a lei, ch’ei vive un solo istante
per poi chinarsi mesto,
così fa lei d’ogni uomo un uom modesto.
Tanta virtù possiede la mia Musa
da donar vita all’alma già reclusa.
Dall’imo, dalle tenebre,
dal fondo della vita,
da triste solitudine mi trasse,
spezzò le mie catene
con dolcezza infinita
e fe’ guarire l’emozioni lasse.
Se solo mi bastasse
lo ‘ngegno che mi porto
i’ saveria parlare
e l’angelo lodare
cui con il mio gracchiar fo solo torto,
eppur io voglio ancora
cantare la beltà che m’innamora.
Per un saluto suo darei ‘l mio regno,
un gesto od uno sguardo o solo un segno.
In Lei par viver luce,
bianca alma delle stelle
si spande dai suoi occhi in dolci rai,
e in alto mi conduce,
con le sue labbra belle,
l’amor ch’in altra donna non fu mai.
Ben misero il mio lai,
non può recar giustizia
a Lei, c’ha nome Amore.
Neve e grana il colore,
sorride e il suo sorriso è di letizia,
occhi amorosi e attenti
il cuore mio per lei vive i momenti.
Se solo in voi albergasse canoscenza!
Sareste pari a me,
prigioni in Paradiso e ovunque un Re.
***
Difendo solo la mia libertà
brandendo un fragile scudo di carta
è poco più
che un verso spezzettato
il senso d’un destriero quando scarta
la baionetta lacera il costato
sicuro il colpo, la mira più alta
è poco più
che un verso deformato
il senso d’un destriero quando scalpita
passati gli anni ad inseguire colpe
una difesa ormai stanca, l’ammetto
per me sei come l’uva della volpe,
troppo lontana o un sogno troppo stretto
un pensiero pensato troppe volte
o poco più
che un verso mai perfetto.