Stavano le madri, poesie di Massimo Parolini. Con una nota dell’autore.
Massimo Parolini è nato a Castelfranco Veneto (Tv) il 7aprile 1967.
Laureato in Filosofia presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia con una tesi su “La coscienza di Zeno”, è stato addetto stampa del Centro Universitario Teatrale (C.U.T.) di Venezia (fondato su iniziativa di Giorgio Gaber) per il quale ha scritto e rappresentato le commedie “Il medico della peste” e “Svevo e Joyce”.
Presso la Casa Editrice “Editoria Universitaria” ha pubblicato un libro di poesie sulla guerra nella ex-Jugoslavia (Non più martire in assenza d’ali) che ha vinto un Premio Speciale al Premio Internazionale di Poesia “San Marco-Città di Venezia”.
Dal 1995 si è trasferito a Trento. Come giornalista ha collaborato dal 1997 alle pagine culturali dei quotidiani “Alto Adige”, “Adige”, “Corriere del Trentino”, “Didascalie” e “L’Adigetto”.
Dal 1997 è insegnante di italiano e storia presso le scuole superiori del Trentino.
Da alcuni anni è curatore di mostre di artisti trentini del Novecento.
Nel 2015 ha pubblicato la raccolta “La via cava” (LietoColle) che ha vinto nel 2016 il primo premio (sezione opera edita) del Concorso di poesia “Nestore” di Savona e nel 2017 il secondo premio (sempre sezione opera edita) del Premio di poesia “Giovanni Pascoli-L’Ora di Barga”.
Sempre presso LietoColle ha pubblicato (2018) il poemetto “#(non)piove”, dedicato ad una giornata di rinascita di D’Annunzio e della Duse ai giorni nostri.
E’ membro del Comitato organizzatore del Premio di Poesia Città di Trento-Oltre le mura.
VERSOMADRE
Madre: dalla radice sanscrita MÂ, misurare (e quindi formare, preparare), che diviene sostantivo màtr (misuratrice, ordinatrice). Donna che ha concepito e partorito, realtà che produce, che contiene, la sorgente, la causa, il principio, la matrice in cui si forma qualcosa: per lei (o ad essa se è Natura, animale, pianta) si coniano aggettivi positivi: amorosa, affettuosa, premurosa. Nei politeismi è un elemento della coppia originaria da cui origina l’Universo e nascono gli dei: la Terra, la matrice, l’utero che accoglie il principio maschile fecondatore. Nel Cristianesimo la Vergine Madre è la più umile e alta delle creature, figlia del figlio di Dio, che nobilita la natura umana a tal punto da convincere Dio a nascere -umanamente- da lei, facendo sgorgare nel suo ventre l’amore divino fecondatore (come ricorda S. Bernardo da Chiaravalle nella sua preghiera alla Madonna nel Paradiso dantesco). Una figura che nei secoli sembra quasi aver superato d’importanza, nella religiosità popolare, l’immagine stessa del Dio padre e di Gesù Cristo, invocata, oggetto di visioni da parte degli umili, fonte di grazie, mantello di Misericordia. In antropologia, l’idea di madre prende un valore culturale e sociale, può non generare, ma essere colei che si cura dei piccoli (vedi l’adozione). Oppure diviene una sostituta temporanea, che dona l’ovulo (fecondato poi artificialmente, in vitro) o l’utero per far crescere in sé ciò che è formato geneticamente da altra donna: ecco le madri surrogate, in affitto, ospitanti.
Ma la madre può anche rifiutare il suo ruolo, non sentirlo, non desiderarlo o usarlo come oggetto di ritorsione: l’epiteto che è stato coniato per questa tipologia è “snaturata”, ossia che ha perduto o alterato la propria natura, o “sciagurata” (vittima o causa di sventura): è la madre che uccide il proprio figlio, la matrice che disfa ciò a cui prima ha dato forma dentro di sé, come nel mito di Medea. Per vendetta, per debolezza, per fragilità emotiva e affettiva, per solitudine esistenziale: quale verdetto per queste madri? MP
STAVANO LE MADRI
INTROITO
La Madre addolorata stava
in lacrime presso la sua casa
su cui pendeva il pensiero del figlio.
E il suo animo gemente,
contristato e dolente
era trafitto da una spada.
OFFERTORIO
Madri dei figli in affido
Madri dei figli adottati
Madri di figli non vostri che un giorno cercheranno
altre madri altri padri
Madri utero in affitto () grembo-barcone della prima traversata
Madri dei figli indesiderati
Madri dei figli interrotti abbandonate, non curate, poco amate
postine di lettere senza indirizzo rispedite a
un mittente ignoto
Madri dei figli gettati appena nati figli della miseria, di ignoranza, sfruttamento
Madri dei figli della violenza concepiti nel sonno della ragione maschile
Madri dei figli della violenza concepiti nelle notti dell’odio razziale
Madri dei figli in guerra sbranati da lupi vestiti da agnelli
Madri dei figli in guerra usati da scudi di regimi e ribelli
Madri dei figli in guerra che respirano il gas
sulle strade, nella culla
Madri dei figli omicidi
Madri dei figli attentatori suicidi che uccidono Madri e figli di altre Madri
Madri dei figli matricidi Oresti inseguiti ovunque dalle Furie
Madri dei figli fratricidi Caini raminghi fuggiaschi sulla terra
Madri dei figli migranti rifiutati dalle onde, inghiottiti dagli abissi
Madri incinte di migranti () grembo-stiva che conserva,
acqua amniotica di vita
Madri dei figli strappati dai servizi sociali
Madri incapaci di essere madri per voi niente fiori d’acacia
Madri incapaci di crescere un figlio per voi niente miele d’acacia
Madri di mente ammalata per voi niente effluvio di menta
Madri drogate per voi gelsomino non spunta
Riuscirete per un figlio a guarire
sbrecciando dal buio delle cantine?
Nell’arido umido dell’anima?
Riuscirete ad essere abbraccio
tappeto di spighe e fiori selvatici,
tepore di glicine e spine?
Mano che nutre,
predica ch’educa?
Madri di un figlio scomparso nebbia dell’insonnia,
ansia dell’attesa
Madri di un figlio che vive in corsie d’ospedale
Madri di un figlio che muore e non aveva colpe
ma non aveva ore
Madre Medea che uccidi tuo figlio…
[…()…]
hai tessuto nuova vita in viscere
traghettando in un grido il mistero
la tua acqua nel grembo era scura la tua mente un inciampo
il tuo gesto un grumo indigesto solo un tocco perpetuo di lutto
una goccia che fora la pietra hai gettato la cenere al latte
Cosa resta della tua grave-danza del tuo fragile carico a bordo?
Solo un orlo-terrazzo sporgente sopra il vuoto di un ruolo negato
Anche se cade
è sempre una Madre
Anche se inganna
è sempre una Mamma
Anche se uccide
è sempre…
Dove sei rima? Dove sei assonanza?
Fonemi screpolati
Versi arsi prima di sbocciare blocco…
Assenza…
( )
Cosa c’è di più innaturale di una madre
che uccide… suo figlio…?
Quale abbaglio può orbare la mente sbriciolandola
impotente alla soglia?
Solo il figlio di un dio
può salvarla? morendo in croce?
rinascendo in luce?
Solo la Madre di un dio
può salvarla? con altre spade?
di dolore atroce?
Madre sciagurata
nel morso del cuore nel tuo pianto
straziato
se tu accogli il bisbiglio di Maria e di suo figlio
forse giunge il ristoro polline del perdono
liturgia dell’amore
RITO DI CONCLUSIONE
Oh Madri che non siete solamente Madri ma anche figlie di una Madre
che è figlia di altra Madre
il vostro pianto è la nascita stessa
la fessura della creazione
è l’eco dell’eco di una prima divisione
Nel bozzolo dei giorni in ogni Madre si ripete
il mistero della vita nella Madre che accoglie
nella Madre snaturata
fra le stoppie delle ore comparse, forse,
fuori dai titoli di coda
si snoda in ogni Madre
la vicenda di luce e di ombra la Vita che ci sprofonda
la Vita che ci innamora
Stabat mater dolorosa…
il vostro pianto si unisca
al lievito e alla farina
di ogni Madre del mondo
e ci doni un pane caldo
su una tavola di cirmolo
su una tovaglia arlecchina
Liquida – dolente – pulsante emotività che sgorga e attraversa il mistero della vita e dell’animo tra drammaticità e incanto…
Molto bella, complimenti.
Rosanna Spina