Stefania Onidi: una breve intervista a cura di Paolo Polvani, poesie e opere.
Stefania Onidi, laureata in lingue e letterature straniere all’Università di Cagliari con una tesi sulla poesia spagnola contemporanea, vive a Perugia, dove insegna. Ha pubblicato Con un filo di voce (LaRiflessione, 2011), Qui Altrove e Oltre (Montecovello, 2015, secondo premio allaTerza Ragunanza di poesia 2016 – sezione libro edito); Quadro Imperfetto (Bertoni, 2017, menzione d’onore alla Quinta Ragunanza di poesia 2018 – sezione libro edito), oltre a testi in antologie, tra queste: Schegge e frammenti (Terra D’Ulivi, 2018); Il segreto delle fragole 2018 (LietoColle, 2017); Siamo come pesci che si cercano (e-book Samuele Editore 2017); Doce poetas italianas para el siglo XXI (e-book La Náusea, 2016 – tradotta in armeno e pubblicata nel 2017); Premio Nazionale Terra di Virgilio (Gilgamesh, 2017, terza classificata). Sue poesie sono state tradotte in spagnolo e pubblicate sul sito del Centro Cultural Tina Modotti Caracas, su Laboratori poesia, e su Tardes Amarillas – Revista de cultura Argentina. È apprezzata nel mondo della pittura. L’attenzione per il corpo è alla base di molte sue opere e della personale Venere Privata (Perugia, 2015). Ha esposto in collettive d’arte contemporanea nazionali e internazionali.
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Per te l’ispirazione poetica e quella pittorica presentano elementi di contatto o differiscono?
Per me non c’è differenza; esiste l’ispirazione che crea. È una dilatazione sensoriale e mentale quasi inconscia, incontrollabile e continua. Un processo misterioso. Si attiva un meccanismo di percezione della realtà, di ciò che ho imparato a sentire, di ciò che riesco e voglio vedere. A volte è un dettaglio, un suono, una linea o una sensazione a scatenare questo impulso a fare. Quindi intuizione e memoria si fondono, conducono al bianco del foglio o della tela. Il colore e la forma emergono quasi subito, la parola invece arriva con calma; essa va attesa. Tutto però affiora dalla vita. I linguaggi sono diversi, e spesso si contaminano, ma l’embrione è uno.
Realizzare un’opera attraverso le parole o attraverso le immagini regala lo stesso tipo di soddisfazione?
Forse sì.Più che altro mi sento bene, quasi ricomposta. Quando scrivo, ma soprattutto quando dipingo, non avverto nessun bisogno fisico, mi dimentico di avere un corpo, sono dentro la mia bolla emotiva, concentrata, lontana da tutto e dentro un tutto indefinibile.
È il durante e non il dopo che mi restituisce libertà, anche perché ogni opera, sia essa un dipinto o una poesia, in realtà non mi soddisfa mai fino in fondo, la reputo solo una parte di una visione più grande, e tuttavia non ancora nitida. Ci vuole tempo, molto ascolto e silenzio. Sfugge sempre qualcosa. La mancanza e l’incertezza tengono viva la tensione creativa.
Costituisce un discrimine la consapevolezza che la poesia non ha mercato, le opere pittoriche invece sì?
No. Non posso farmi condizionare da questa consapevolezza e non voglio. Vero è che la poesia vende poco, e che il mondo dell’arte contemporanea è dominato dalle leggi del mercato. Il mercato è abilitante: ti dà nome e idoneità. Se vendi, esisti. Si parla di globalizzazione del mondo dell’arte, di professione e di prodotto. Questo a volte è scoraggiante, ma non può condizionare ciò che per me è necessità e passione irrinunciabile. Pittura e scrittura coesistono al di là di un’ottica di mercato. L’obiettivo non può essere il guadagno. La poesia e l’arte tutta, sono bene comune, e devonovivere di scambio, di incontri,necessitano di spazi aperti per la condivisione e la diffusione. È difficile, tuttavia ci sono occasioni di respiro, ma questo è un altro argomento che meriterebbe una riflessione più ampia.
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I GIORNI
Ho apparecchiato la tavola,
ho messo un vaso di fiori al centro
e due piatti ai lati, uno per te e uno per me,
poi ho chiamato piano il tuo nome
con la fiducia cieca dei girasoli
e ho aspettato.
A mezzogiorno il sole ha aperto il fuoco,
il caldo mi ha dilatato i vasi sanguigni.
Da allora sono corpo in caduta
canto fine a sé stesso.
Il mare passa dentro la cruna.
La casa svuota nevralgie.
I piatti interrogano la polvere spietatamente.
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DISARMO
Venti gocce di tregua diluite in due dita d’acqua.
È temporaneo
l’effetto del sale di lisina.
Buca lo stomaco
come quell’istantanea perfetta
che risale agli occhi.
Non bastano un paio di occhiali scuri.
La gente lo capisce
dalle labbra tremule e serrate
dalle mani sole.
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CURA
Dovremmo toccarci oltre i corpi
tradurre con i palmi il movimento della fiducia
infilarci nel verde di grano di questo grembo d’aprile
come semi fecondi
che un giorno germoglieranno
nel silenzio pieno degli interstizi degli anni.
Saranno fiori prepotenti
parole sbriciolate da un sorriso.
Guariremo nel solco di una gioia antica,
rapita ai territori conosciuti della nostra fame.
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Poesie ricche di pathos, da cui trapela molta dolcezza; scritte in uno stile che mi piace.
Rosanna Spina