Sudicie divise, poesie di Sandro Angelucci.
CONTROLUCE – (da IL CROCO, quaderni letterari)
Uno stormo
vola in controluce,
sulle ali
riflessi di futuro.
Mentre qui
si calpesta lo stupore
nuovi mondi
rinascono nel cielo.
Stormi,
altri stormi, ancora,
come treni,
sfrecciano al di là dei vetri
delle sale semideserte
di squallide stazioni.
È sera,
s’è fatta l’ora.
Si torna a casa
con la valigia piena
di nuove spighe
di uno
ed altri mille voli.
*
DISSENSO – (da VERTICALITA’)
Non vedi
che tutto torna a Lui
tutto si rinvergina
dopo essersi nutrito con l’amore?
E invece
per chi si ciba delle scorie,
dei veleni dell’ipocrisia,
dei soliti egoismi
tutto precipita
tutto finisce dentro il buco nero
che inghiotte spirito e materia?
Se questo è ciò che vuoi
se non ti condiziona il nulla,
sei libero di fare
ma non chiedermi
sul foglio di rinuncia
che abdica al diritto della vita
d’apporre la mia firma.
*
LA RINCORSA – (da VERTICALITA’)
Io barcollo
ma non è dato
dal fatto che vacillo il mio tormento,
sono piuttosto gli zoccoli di un cuore
che si sfinisce nella sua rincorsa
e cerca il salto buono
per superare il muro del recinto
a scalpitarmi dentro.
Sono i fili spinati, gli steccati,
gli ostacoli che cadono
ad essere assordanti.
E poi, quelle narici dilatate,
quel sudore
che lucida il suo manto.
Dovrai restare nella tua riserva,
cuore mio,
ma questo fieno
saprà fornirti la forza necessaria
a sopportarmi ancora sulle spalle.
E salteremo insieme
la nostra libertà.
*
SUDICIE DIVISE – (da SI AGGIUNGONO VOCI)
Sarei meno indispettito
anzi sarei felice
se come un merlo
posandomi sul prato,
pane nel becco
sotto una pioggia torrenziale,
vedessi una gazza
dalla splendida livrea
piombare come un falco
sulla mia misera mollica.
Invece sono qui
ad aspettare
che divise sporche e scolorite
mi rubino la fame.
*

Le “sudicie divise” son quelle del materialismo opulento che annichilisce spirito e materia, cancellando nell’uomo ogni spinta vitale, ogni desiderio, ivi compreso quello della fame. Il poeta dichiara di preferire l’egoismo della gazza ladra, che ruba le molliche al merlo spinta da vera fame, all’egoismo flaccido del bipede in giacca e cravatta, o magari in doppiopetto, che non ha fame ed è uno zombie, ma ruba, complotta, uccide e le fa d’ogni colore al solo scopo di ingrassare stive di cui non ha bisogno alcuno. L’egoismo non è tutto da condannare. Un conto è l’ingordigia, un altro la fame. Ci sono sempre, nella poesia di Angelucci, due mondi, due realtà che si confrontano, ma non si pensi tout court alla contrapposizione fra uomo e natura, perché anche l’uomo è natura, pur avendo la facoltà di andare contro natura, ovvero contro se stesso. C’è sempre un dialogo nella poesia di Angelucci, una tendenza colloquiale che si sbaglierebbe a confondere con l’intimismo monologante, in quanto fondata sullo sdoppiamento: da un lato l’uomo naturale, dall’altro l’uomo innaturale; da un lato l'”umano”, il vero umano, dall’altro il “disumano” che non ama la libertà. E seppure la scelta del poeta è chiara, essa non è mai scontata a priori, come potrebbe sembrare, ma è sempre il frutto di un travaglio interiore. Una fede problematica, labirintica: ” Io barcollo / ma non è dato / dal fatto che vacillo il mio tormento, / sono piuttosto gli zoccoli di un cuore / che si sfinisce nella sua rincorsa / e cerca il salto buono / per superare il muro del recinto / a scalpitarmi dentro”.
Franco Campegiani
Come sempre è difficile aggiungere qualcosa a ciò che, con profondità di pensiero, scrive l’amico Franco Campegiani e che condivido pienamente.
Ciò nonostante vorrei sottolineare quanto sia evidente, in queste belle e significative poesie di Sandro Angelucci, la posizione ferma di denuncia dell’ipocrisia con i suoi “veleni” e dell’egoismo, entrambi destinati inesorabilmente a “fini(re) dentro il buco nero/ che inghiotte spirito e materia”.
Angelucci urla il diritto alla vita proprio là, dove “si calpesta lo stupore”, dove si origina, si fabbrica l’infelicità. Ed è forte qui l’urlo del poeta che vuole provare a credere nel ruolo salvifico della forza della parola poetica nella società. È altresì l’urlo dell’uomo che ha imparato a “vola(re)” in controluce/sulle ali/ riflesse di futuro”, dell’uomo che ha capito -per averlo vissuto- che “tutto si rinvergina/ dopo essersi nutrito con l’amore”. Uomo che vorrebbe trascinare altri uomini nei suoi “mille voli” ma che non può che addolorarsi e distaccarsi da coloro che a questo invito sono sordi: ” Se questo è ciò che vuoi/ se non ti condiziona il nulla,/ sei libero di fare/ ma non chiedermi/ sul foglio di rinuncia/ che abdica al diritto della vita/ d’apporre la mia firma”.
Ancora una volta, grazie Sandro e complimenti