Sulla rupe della gioia, di Mariangela Gualtieri. Con introduzione di Silvia Secco.
“Forse sarebbe meglio dire che tutto è sacro.”: con queste giovanissime parole Mariangela Gualtieri risponde, in una delle sue diverse interviste, al “critico e studioso di teatro, curioso di altre arti” Michele Pascarella (come egli stesso si definisce), ad una domanda sulla possibilità di incontro fra le dimensioni dell’umano e del divino attraverso l’arte. Ecco, in questo scrivere – in punta di piedi e inadeguatezza – una breve introduzione al suo regalo di un testo per il numero sulla felicità di Versante ripido, non posso smettere di pensare alla sensazione quasi fisica di semplicissimo prodigio – nella sua densità palpabile – nella quale Gualtieri (testo o voce o entrambi, all’unisono) ci conduce e ci immerge attraverso la propria parola poetica. Si tratta esattamente della ri-creazione (e del successivo dono per noi) di un mondo-corpo e di un mondo-pane che abbiamo la fortuna, leggendolo o ascoltandolo, di abitare dall’interno, come elementi stessi, anche noi assieme al poeta, di una partecipata contemplazione. È una felicità di pace, di riappacificazione, di esseri viventi nel vivente complessivo. La gioia, si potrebbe dire, pare allora questo rimanere immobili dentro, nel silenzio di sguardo, ascolto e pelle che avvertono – vivissimi – tutto quanto. È questo rimanere dentro il teatro: in una scena nella quale gli elementi d’ombra – piccolo operoso esercito di insetti d’alta consuetudine – entrano certamente a farsi notare, ma per poco. La gioia è questa lieve fissità contemplativa, sgombra, di sentirsi particella del complesso senza recare disturbo: esseri umani che stanno, leggeri come capre, quasi come pietre fisse in lontananza, sull’alta rara rupe (che a volte, in questo modo, accade).
Meraviglia dello stare bene
quando le formiche mentali
non partoriscono altre formiche
e si sta leggeri come capre sulla rupe
della gioia.
Da Le giovani parole (Einaudi, 2015)
Mariangela Gualtieri è nata a Cesena, in Romagna. Si è laureata in architettura allo IUAV di Venezia. Nel 1983 ha fondato, insieme al regista Cesare Ronconi, il Teatro Valdoca, di cui è drammaturga. Fin dall’inizio ha curato la consegna orale della poesia, dedicando piena attenzione all’apparato di amplificazione della voce e al sodalizio fra verso poetico e musica dal vivo. Fra i testi pubblicati: Antenata(ed. Crocetti, Milano 1992), Fuoco Centrale(Giulio Einaudi ed. Torino 2003), Senza polvere senza peso(Giulio Einaudi ed., Torino 2006), Sermone ai cuccioli della mia specie(L’arboreto Editore, Mondaino 2006), Paesaggio con fratello rotto (libro e DVD, Luca Sossella Editore, Roma 2007), Bestia di gioia (Giulio Einaudi ed., Torino 2010), Caino, (Giulio Einaudi ed., Torino 2011), Le giovani parole (Einaudi, 2015).