Teatranti inconsapevoli, di Alessandra Cerminara

Teatranti inconsapevoli, di Alessandra Cerminara.

     

     

Da persone a personaggi, ormai nemmeno più “in cerca di autore”: questa la rivoluzione operata dai mezzi di comunicazione di massa, che hanno stravolto il tradizionale assetto sociale, imponendone un altro nuovo di zecca, in cui lo spettatore è divenuto attore inconsapevole.
Presso gli antichi greci il teatro costituiva l’alterità, qualcosa di altro da noi. Finita la rappresentazione, ognuno tornava alla sua vita di sempre. Oggi, la dimensione spettacolare ha fatto irruzione nelle nostre case e nelle nostre vite, azzerando la distanza tra l’osservatore e l’oggetto rappresentato. Ogni cosa è divenuta spettacolo, anche le scelte e le azioni più scontate: tutto è stato fagocitato in questa nuova dimensione di “teatro inconsapevole”, grazie alla politica di omologazione attuata in particolare dalla televisione, dominus e deus ex machina della moderna società dei consumi.
Due grandi interpreti del nostro secolo, Pierpaolo Pasolini e Guy Debord, continuatori dell’interpretazione marxista della società dei consumi, attraverso la loro critica sociale, hanno profetato sulla futura situazione delle masse, sempre più addomesticate dalla nuova dottrina televisiva. Nell’articolo “Acculturazione e acculturazione”, pubblicato sul Corriere della sera nel 1973, Pasolini denunciò il “genocidio culturale” perpetrato dai mezzi di comunicazione di massa, che in pochi anni avevano creato una caterva di rimbecilliti, priva del benché minimo senso critico. Quello che non era riuscito al Fascismo ( l’assoggettamento completo degli italiani), era perfettamente riuscito a quest’ultima forma di neocapitalismo consumistico

“Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della società dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la repressione si limitava a ottenere la loro adesione a parole, oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti è totale e incondizionata. I modelli culturali reali sono rinnegati. L’abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la “tolleranza” dell’ideologia edonistica voluta dal nuovo potere è la peggiore delle repressioni della storia umana.(……) Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé l’intero paese, che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un’opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè- come dicevo-i suoi modelli, che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un “uomo che consuma”, ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo”.
Acculturazione e acculturazione. P. Pasolini, Corriere della Sera- dicembre 1973

G. Debord analizza le cause che hanno ingenerato la diffusa mancanza di autenticità nella società odierna; il capitale infatti, non domina più la vita dell’ uomo soltanto sul luogo di lavoro, ma lo assoggetta anche durante il suo tempo libero, tempo che dovrebbe essere dedicato alla meditazione e all’espressione della propria libertà individuale. Ne deriva che il soggetto pensante non si limita più a produrre oggetti, ma diviene egli stesso “oggetto pensato”, sempre più plasmato e inebetito dalle immagini e dai modelli imposti dal “Centro”. Stando così le cose, anche il concetto di alienazione è cambiato; anzi, non c’è più alienazione, perché non si avverte più lo scarto tra il produttore/consumatore della merce e la merce: l’operaio, identificandosi nel bene di consumo, si è reificato, divenendo egli stesso prodotto: tutto è divenuto spettacolo, anche il tempo

“Nel suo settore più avanzato, il capitalismo concentrato si orienta verso la vendita di blocchi di tempo “completamente attrezzati” (..). Si vede così apparire nell’economia in espansione dei “servizi” e del “tempo libero”, la formula di pagamento calcolato “tutto compreso”, per l’habitat spettacolare, gli pseudo-spostamenti collettivi delle vacanze, l’abbonamento al consumo culturale e la vendita della socialità stessa in “conversazioni appassionanti” e “incontri con personalità” (…)
Questa merce viene qui esplicitamente data come il momento della vita reale, di cui si tratta di attendere il ritorno ciclico. Ma in questi stessi momenti assegnati alla vita, è ancora lo spettacolo che si dà da vedere e da riprodurre, raggiungendo un grado più intenso. Ciò che è stato rappresentato come la vita reale, si rivela semplicemente come la vita più realmente spettacolare.”
G. Debord. La société du spectacle– 1967

Anche Zygmunt Bauman, nel saggio Modernità Liquida, riflette sul “processo di ruminazione” che contraddistingue l’uomo odierno, e legge il consumismo sfrenato come una conseguenza dell’ultimo ritrovato postmoderno: la “società liquida”; una società priva di ogni riferimento “solido”, che reagisce attraverso due correlati: l’apparire a tutti i costi e la psicosi del consumo. Tale liquidità etica ed esistenziale ( anche il concetto di comunità si è dissolto, cedendo il posto ad un liquefatto individualismo) altro non è se non il risultato del caro vecchio nichilismo, “male oscuro”, per nulla superato in verità, che serpeggia silenzioso, mietendo vittime inconsapevoli, persuase che sia oramai demodé e relegato ai dipartimenti di filosofia di oltre cento anni fa. Matteo Mollisi in un articolo pubblicato su L’Intellettuale dissidente nell’ ottobre 2016 scrive

“Il fatto che Nietzsche sia spropositatamente attuale, che il contesto culturale da lui tratteggiato sia per larghi tratti sovrapponibile al nostro contesto, (….) dovrebbe suonare inquietante alle nostre orecchie e ferire i nostri sguardi di presunti ermeneuti che pretendono di avere cavato ogni cosa dalle righe nicciane (…) Il nichilismo occidentale è letale è decisivo, onnicomprensivo e invalicabile; esso può essere tale proprio perché trova il suo sostrato temporale proprio nell’involuzione dinamica che caratterizza la nostra fase storica..”
Matteo Mollisi, L’intellettuale dissidente- ottobre 2016

Dunque, non solo il nichilismo è in mezzo a noi, ma in una forma più grave di ieri, perché spensierato e niente affatto “inquietante” (con buona pace di Galimberti che ha dedicato al tema un suo saggio; come può inquietare qualcosa di cui non si ha coscienza?). Sua compagna di viaggio è “l’orgia dei desideri” degenerata nella spettacolarizzazione di tutto. Marx aveva previsto che il capitalismo si sarebbe arrestato quando l’offerta avrebbe superato la domanda, ma non aveva tenuto conto del bieco nichilismo che, privando l’uomo di ciò che sazia, lo induce a fagocitare il superfluo che non sazia, in una sorta di bulimia dei consumi, degenerata nella “società dello spettacolo” in cui il capitale si accumula a tal punto da divenire immagine. Lo spettacolo – dice Debord- è il capitale a un tal grado di accumulazione da divenire immagine.
La filosofia contemporanea ristagna in una fase di immobilismo storico e se intende fuoriuscire dall’impasse in cui è finita, deve smetterla di analizzare gli effetti della crisi, peraltro abbondantemente dibattuti e triti in tutte le salse dalla fine dell’’800 ad oggi, e iniziare finalmente a ricercarne le cause prime, e con esse, i rimedi. E’ buona norma infatti, per un medico che voglia azzeccare la giusta cura, indagare l’origine della malattia, perché questa molto spesso, come si sa, contiene in sé anche la cura. Quando l’uomo ha smarrito se stesso? Da quale punto della storia è iniziata la sua infelicità?
A questo proposito, è datata ma straordinariamente calzante l’interpretazione che August Shlegel, esponente di spicco del Romanticismo tedesco, fece della modernità nel primo decennio del XIX secolo. Nel suo Corso di letteratura drammatica (1809 ), comparando letteratura classica e contemporanea (romantica), rilevò che a differenza dei moderni, gli antichi erano felici, e questo perché il paganesimo ancora prospettava l’idea di una felicità terrena e ben raggiungibile; ma l’avvento del Cristianesimo ha decretato la fine della divinità immanente e, di conseguenza, l’impossibilità di una vita felice realizzabile in una dimensione terrena. Dio è stato catapultato lontano, in un altrove remoto e trascendente, a cui l’uomo anela inevitabilmente, depredato della sua parte spirituale e tormentato da un desiderio indeterminato, da una nostalgia indefinita, chiamata dai romantici di Jena sensucht. La triade nichilismo-consumismo-spettacolo, mostro a tre teste, oscena divinità post-moderna, si è inserita in questo “vuoto” e di esso si nutre, per compiere e ripetere all’infinito, il suo processo di spersonalizzazione e ottundimento delle coscienze.
L’equazione è compiuta: il soggetto è divenuto oggetto; lo spettatore, attore. I personaggi pirandelliani soffrivano la mancanza di un’identità e per questo erano spesso “in cerca di autore”, un autore onesto che restituisse loro uno straccio di autenticità; ma l’uomo odierno, “impacchettato e “confezionato”, non avverte più la mancanza di un’ identità, essendo oramai perfettamente omologato al sistema. L’attuale società è, piuttosto, catapultata in un grande Truman Show, in cui ognuno recita inconsapevolmente la parte o le parti che il Fantomatico Regista ha scritto per lui e la buona riuscita della vita di ognuno dipende dal grado di omologazione e assuefazione ai modelli ludicamente imposti: più si è omologati, più si è belli e riusciti; più si è assuefatti (e quindi attori inconsapevoli), più si è veri. Il bravo attore, infatti, non sente di recitare una parte

“Chi sei tu?
Sono il creatore di uno show televisivo che dà speranza, gioia ed esalta milioni di persone.
E io chi sono?
Tu sei la star.
Non c’era niente di vero.
Tu eri vero: per questo era così bello guardarti.”
tratto dal film Truman Show

Non ci resta che fuggire lontano, alle le isole Figi come Truman Burbank; o, in alternativa, goderci lo spettacolo.

         

Demetrio Polimeno, Tracce segni colori, st 04 2015
Demetrio Polimeno, Tracce segni colori, senza titolo 04-2015

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