Tra sacro e profano: la poesia, di Angela Caccia

Tra sacro e profano: la poesia, di Angela Caccia.

   

   

Quale il sacro e cosa lo profana? Delimitare questi due ambiti richiederebbe una lunga trattazione. Varrà, quindi, la pena assumere un postulato comune di natura etimologica: se pro-fanum equivale a “fuori dal tempio” – dove aleggia aleteia, la verità – ciò che è sacro, è detentore della Verità o comunque ne richiama il valore.

Quanto oscilla la poesia tra i due estremi?

Una parabola di Paul Claudel sull’ispirazione poetica, potrebbe tracciare un sentiero importante alla risposta (ammesso che ce ne sia una…)

 Animus e Anima

Non esiste un pieno accordo tra Animus e Anima, lo spirito e l’anima. Sono passati i tempi, è terminata la luna di miele, durante la quale Anima aveva il diritto di parlare a suo piacimento e Animus l’ascoltava rapito. Dopo tutto, non è stata forse Anima a portare la dote e a contribuire all’andamento del «ménage »? Ma Animus non ha accettato per lungo tempo questa posizione subalterna e ben presto ha manifestato la sua vera natura, vanitosa, pedante e tirannica. Anima è una ignorante e una sciocca, non è mai andata a scuola, mentre Animus conosce un’infinità di cose, ha letto un sacco di cose nei libri … tutti i suoi amici dicono che non si può parlar meglio di quanto egli faccia… Anima non ha più il diritto di dire una sola parola. Sa meglio di lei quello che ella vuol dire. Animus non è fedele, ma non può fare a meno di essere geloso, perché in fondo, egli sa bene (no, ha finito col dimenticarlo) che è Anima ad avere in mano tutta la fortuna, lui è un poveraccio, non vive che di quello che gli si dà. Per questo non smette di sfruttarla e di tormentarla per farle cacciar fuori denari… Ella resta silenziosa a casa, a far da mangiare e a spazzare, tutto come può… In fondo Animus è un borghese, possiede abitudini regolari, desidera che gli si servano sempre gli stessi piatti.

Ma accade una cosa strana Un giorno in cui Animus era rientrato all’improvviso, ha sentito Anima che cantava tutta soletta, da dietro la porta chiusa, una curiosa canzone, qualcosa che egli non conosceva; nessuna possibilità di riconoscere le note, o le parole, o la chiave, una strana e meravigliosa canzone. Più tardi, egli ha cercato subdolamente di fargliela ripetere, ma Anima finge di non capire. Ella tace appena egli la guarda. L’anima tace appena lo spirito la guarda. Allora Animus ha trovato un trucco, fa in modo da farle credere che egli non c’è … a poco a poco Anima si rassicura, guarda, ascolta, respira, si crede sola e, senza far rumore} apre la porta al suo amante divino.

Un’io di superficie, Animus, più tendente al profano perché ha come centro del mondo il suo ombelico – mondanità, cura ossessiva della propria immagine sociale, superficialità, formalismi, compromessi e chi più ne ha più ne metta – seppur innamorato, opprime Anima. E anche qui, l’etimologia ci viene in soccorso: i più ritengono che la parola anima derivi da ruah, soffio, ma pare che il termine, nella Bibbia, sia riferito anche agli animali; l’esatto vocabolo ebraico corrispondente sarebbe, quindi, nishmat che, tradotto in senso lato, significa “fiaccola per illuminare le camere oscure del ventre”: nell’anima, la scintilla del divino/verità. Il fare poetico equivarrebbe ad una discesa, alla ricerca di quella scintilla.

Piccola digressione: stando così le cose, il poeta avrebbe in comune col mistico questo movimento verticale! Ma la differenza sta tutta nella risalita: mentre il mistico ha l’urgenza di lodare Dio per i fiori di luce che gli sono stati concessi, il poeta corre a trovare formule incantatorie attraverso le quali la corrente poetica possa passare dalla sua all’anima del lettore.

Ergo, già il poetare è tensione al sacro nella misura in cui rompe gli argini del piccolo orizzonte dell‘io alla ricerca di un assoluto di cui l’uomo – più che mai, quello che sa farsi poeta – sente la struggente nostalgia.

                    

Ingmar Bergman, Il silenzio 1963
Ingmar Bergman, Il silenzio 1963

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