Transito all’ombra di Gianluca D’Andrea, recensione di Bartolomeo Bellanova

Transito all’ombra di Gianluca D’Andrea, Marcos y Marcos, 2016, recensione di Bartolomeo Bellanova.

     

    

“Transito all’ombra” è una lettura densa che si configura come un flusso di coscienza dell’autore e come tale contiene rimandi, accenni, successive aperture e ritorni in un percorso fluido che ci accompagna nella vita intima dell’autore.
La prime pagine sono un sovrapporsi e dipanarsi di ricordi sparsi, delineati nella nebbia della memoria della fanciullezza negli anni ’80 (il poeta nasce nel 1976):
A volo poi trascorse il tempo, rotolo da una discesa dell’infanzia, ottanta volte o più, nella luce del tramonto, accesa in un richiamo che ci accoglie”.

E poi:

Alla fine di un’epoca il ricordo
sembra quasi rinnovare gli odori.
Forse svegliandoli da un sogno, allora,
ne riporto le scene suscitate.
Sentivo dire di Franco, in Sicilia
il Tirreno era il mare dell’infanzia,
non sapevo di Ustica, la Spagna,
però, mi dava gioia, quei mondiali,
disprezzo alla parola dittatura.
La TV degli anni Ottanta tentò
di rubarci la memoria, riuscendo
a cancellare con velocità
ogni appiglio, distanziando in un limbo
di benessere le generazioni

Con il passare delle pagine i tratti dei versi si fanno più nitidi e attuali fino all’immagine ben delineata in “Visuale”:

L’anziano al parco legge tra i bambini,
è una pace che sfiora miti,
rivissuta. La pietà per le azioni
scandite tra estinzioni e la rinascita
in pulsioni. Le foglie dei tigli,
l’odore sfalda il racconto,
uno dei quadri è il quadro,
scioglie le mani in silenzio,
le voci si scrivono e si schermano.
Il vento implode nel ricordo,
il passaggio si fissa, germina.

A questa parte della raccolta appartengono anche “Le voci” e “Autunni d’interno (o cubismi)”:

Le voci

La lezione non coinvolge i ragazzi,
la mia immersione in loro manifesta
un’assenza.
Sostengo le persone per sostenermi
in un bisogno reciproco che si dimentica
eppure andrebbe inciso e letto tante volte.
Un monito piuttosto che una legge,
un suggerimento più intenso.
Le voci di bambini dalla finestra,
il luogo si ricorda come sensazione
e aliena dalla presenza,
dalla mia particolarità, dal momento.

*

Autunni d’interno (o Cubismi)

La luce, quella propizia, l’Autunno,
l’arancione di un’epoca,
il tramestio nelle pareti, l’eco
interna, nella stanza,
l’Autunno è dentro i passi,
il nuovo sembra eterno nel sopore –
ogni suono è un ronzio che squillando
preme le pareti e un bordo
rincuora l’immagine ferma.
Il cammino non c’è,
un ricordo cola materia
sul presente, il sopore resta.

Il ricordo si apre in una visione emozionante di compartecipazione alle tragedie provocate dalla stupidità umana in “Epoca”:

Ancora il ricordo di bambini, ancora Beslan,
tra l’Ossezia e il canale di Sicilia nessuno spazio.
Il tempo marcisce sugli odori delle stesse tombe,
mentre i volti vivono in altri volti riflessi sugli schermi.
Questi corpi oscillano tra le onde, nel sole,
in questa primavera estiva, tra due continenti-gemelli,
che rischiano il contagio dopo essere stati adottati
da famiglie diverse, con diverse sventure.
Eppure uguali nella stessa indifferenza
che il terrore e milioni di ore
ribattono sul sangue della terra
in un solo mondo gravido di nascite
e di altre ore.

La dedica all’amata figlia Sofia contiene e riassume la visione pessimistica sull’uomo e sul significato della vita dopo cenni abbastanza espliciti contenuti in precedenti versi della silloge in cui il poeta ripetutamente usa i sostantivi “vomito”, “conato”, “assenza” per descrivere in diversi contesti l’agire umano. In “Lettera a mia figlia” però, questi sentimenti sono mitigati nel finale dalla chiusa “… eppure questo fiato così buffo, è il dovere che ci unisce e dissolve” che lasciano uno spiraglio di speranza nel comune respirare di ogni uomo:

Cara piccola Sofia,
non c’è mondo che si apre
oltre la tua possibilità di vedere,
per questo osserva tanto,
comprendi i tuoi confini,
ciò che senti ricordalo perché ti aiuti
quando continuerai a scoprire sola
la tua voglia di scoprire.
Non ascoltare chi dirà che nulla
è questa fine, perché sarà la fine.
I tuoi giochi e la ricerca
di un consenso sono l’umanità
che è sola nell’individuo, corale
nella necessità.
Tutti siamo piccoli, Sofia,
e abbiamo poco o niente da dire,
eppure questo fiato, così buffo,
è il dovere che ci unisce e dissolve.

Successivamente il poeta apre la sua anima più profonda al lettore quasi urlandogli il non senso e l’infelicità di vivere:

III

Come il raggio arretrato si abbatte
sul ciclo del riposo, un ragazzo
soddisfatto al suo tavolo,
avrà giocato, lavorato alla pienezza
di consumarsi nel sentire,
un desiderio? Il resto è un boccale
di tette grosse che esonda nutrimento,
parti di un mondo da svolgere
e ricondurre alla pienezza.
L’assenza ci lascia esterrefatti
e senza slancio. Io, immobile
sui flutti di questa divisione,
rimasi scolpito nel quotidiano,
routinario non essermi,
almeno, mi ricordano, fino
al prossimo pianeta o trasformazione
o buco oscuro di materia;
non conoscendo, se non al passato,
la gioia piena e necessaria
del trasporto e del ritardo.

La sezione dal titolo “Braccare lo spazio” è definita dallo stesso autore in appendice non un vero e proprio testo letterario ma un diario personale, “un post” scritto con linguaggi da social media: “…mi piace condividere con voi immagini e versi perché si fondono in un unico metodo che salvaguarda lo ‘spazio’ (il mondo se volete) soffermandosi, solo per istanti è vero, sulla sua implacabile trasformazione. Restiamo all’erta, la caccia e il desiderio sono la spinta per captare e ‘proteggere’ la mutevolezza.
Al di là dell’intento sperimentale trovo significative le istantanee che seguono che fotografano città e contesti, Trieste, Lubiana, Padova e Venezia:

Venezia, Cina, Ucraina

Reticoli di autostrade e voli,
pensavo al doge, alle rotte,
a precedenti più faticosi incroci.
Entrammo in un parco a tema
dove la laguna veneta e l’Adriatico
inacidiscono in cibi approntati
da mani ucraine per dirigenze
cinesi che acquistano in contanti
un monopolio in espansione.
[…]

La raccolta si chiude, come una lunghissima giornata iniziata in un’alba nebbiosa e continuata attraverso numerosi cambiamenti atmosferici e d’animo, con alcuni brevi notturni:

Il freddo taglia la luna,
notte di fine autunno
prima di un altro sguardo
alla bambina addormentata.
Le linee e la grazia
arrivano da molte zone.
Un film muto, la donna si addormenta
come svegliarla o avvicinarci al riposo?
La notte si addormenta in noi,
parlerò forse
della forza immaginifica nell’aria.
Il mondo può crollare.

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in apertura Nosferatu, Friedrich Wilhelm Murnau, 1942

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