Trasparenza di Maria Borio, recensione di Davide Toffoli

Trasparenza di Maria Borio, Interlinea, 2018, recensione di Davide Toffoli: ben oltre il semplice apparire.

     

     

“Trasparenza” (Interlinea, 2018), scaturito e sbocciato come naturale espansione dalla plaquette “L’altro limite” (Lieto Colle, 2017), è una interessantissima e matura prova poetica della scrittrice Maria Borio, già nota per il prezioso “Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000” (Marsilio, 2018). Come suggerito dalla quarta di copertina, “La –trasparenza- del titolo è la sintesi tra ciò che è puro e ciò che è impuro nel mondo”, una sintesi creata dal mondo digitale, liquido, nel quale viviamo e nel quale siamo immersi. Quella della Borio è, senza ombra di dubbio, una scrittura attenta e capace di nutrirsi delle voci che la hanno alimentata, pronta a rinnovarsi e a perseguire strade in calpestate. C’è una profonda attenzione alla naturalità di un’esistenza perfettamente consapevole di dover fare i conti con una realtà tendente al frammento e alla precarietà. Nei suoi versi si avverte una certa presenza della lezione di Sereni, s’intravedono le esperienze lessicali e metaforiche di De Angelis e di Benedetti, si percepiscono soluzioni al tempo stesso dilanianti e concilianti, protese verso uno sguardo che cerca indubbiamente sempre “più la relazione che la scissione”. C’è una profonda attenzione alla forma (“Mi dicono che può essere forma questo libro a schermo / dove vedi vite in frammento o luce stupita”), mentre si insegue con insistenza appunto “L’altro limite”, cogliendo la tecnologia come presenza costante, le schermate, i video come naturalissime espansioni degli odierni e rinnovati paesaggi urbani, che necessitano una sorta di nuovo umanesimo che ne sappia interpretare la precarietà e rinnovare il messaggio con la capacità tangibile di stabilire relazioni e ricucire i frammenti (“Mi hanno detto di nuovo di fermarmi sulla forma, / la forma che se scrivi o vivi non è mai lo stesso. / Con i pensieri come unghie lego vite / disunite a schermo”). Il libro si propone con una forma squisitamente dialettica, articolato in tre sezioni che ne costituiscono la tesi, l’antitesi e l’approdo sintetico. “Il puro” è sezione dedicata principalmente all’uomo e alla sua natura: si apre con una citazione da Amelia Rosselli (“Trasparente / se la verifichi, ma tutt’altro che una serena esplorazione”) e si tratta di una sorta di iniziatico e suggestivo percorso di avvicinamento (“Sapersi avvicinare. / Così vediamo l’enigma della distanza / dal posto in cui si addensano i luoghi che ci hanno abitato”), nel quale ci si muove tra indispensabili nudità e spazi più ampi che sembrano richiedere un gesto umanissimo per colmare un’evidente distanza (“Eri nel punto più altro della scogliera / nel vento del nord affilato, lunare. // Voi li abitate adesso. Avvicinatevi. / Mi affaccio, salto – / da roccia a roccia sopra un resto”). Una forma ricercata che sembra inseguire il puro, trovando corpi vuoti, scie di luci e giochi di specchi, dove “Riflesso è dire noi – come svuotarsi. / Forse la parola perfetta quando degli altri / vogliamo di noi propagazioni, farli esistere // puri, vetri in cui riflettere noi”. Tra corpi e riflessi, ci si muove in direzione di una costante ricerca di armonia, riconoscendo nessi inevitabili tra schermi di computer e pitture rupestri, inseguendo le potenzialità della parola tra chat e diari di viaggio. E’ un viaggio di riscoperta dell’uomo, ripartendo dalle singole pulsazioni e proiettandosi verso le incognite dell’altrove dei bisogni, perché “la vita è ovunque, in una linea curva / ognuno abita come pensare”; un terapeutico e vitale riappropriarsi della voce che prelude allo strappo e all’impatto de “L’impuro” della seconda sezione, dove il male sembrerebbe rappresentato dall’uomo impegnato costantemente a spezzettarsi e a dividersi, invece che ad armonizzarsi (“Ma l’uomo ha iniziato a pensarsi eterno dividendo: ogni uomo come un centimetro di spazio”). Il bene, dal canto suo, si crea nelle regioni interne (“Un flusso solitario fa commuovere, si rimpicciolisce il dna del mondo in amore per frammenti – il dubbio, un calore…”), corrode, cerca di salire sulla ferita che divide “tu” ed “io”, ne riesce a far scaturire una rinnovata energia “e l’affetto abbaglia per disincanto”. C’è un filo rosso che lega l’uomo contemporaneo al cospetto del suo luminosissimo e bianco schermo del pc e quello del neolitico che “narravano / con i palmi delle mani sulle pareti della grotta”. “La voce è una donna nuda e fredda” e si protende inesorabile verso uno sguardo rinnovato sul mondo, percorrendo suggestioni interiori e regalandosi sguardi d’insieme. C’è un coloratissimo “Puppy”, ribelle al suo anonimato di statua verde, all’esterno, di fronte ai freddi profili del Guggenheim di Bilbao; all’interno, un assedio di schermi e di video… Perché nei versi della Borio, come individui e non solo, siamo tutti “pixel nell’aria, miniature / sul limite” . Siamo sciami di immagini, necessarie e devastanti nella nostra costante precarietà, ma “Nel vetro tagliente dell’alba la lama del treno è una prospettiva aerea”, perché seppur “esseri fragili” abbiamo sempre “occhi che si toccano”. Non troviamo mai una pacificata armonia, scopriamo semmai una ricerca costante di equilibrio, mai definitivo e sempre da rinnovare, caratteristica pregnante di questo presente liquido, dove “questo essere soli è essere di tutti”, dove “ogni respiro è una piccola morte”, dove tutti “diconoadesso, nonper sempre”. Un paesaggio di odori, profumi, silenzio e vertigine, in costante scambio di suggestioni tra nebbia e trasparenze (“Raccogli la nebbia per fare pietra – / e mi accarezzi le mani, / mio sposo, nel silenzio contemporaneo”). L’io torna ad essere tu, ma anche viceversa. E lo stesso accade ai luoghi, alle distanze, agli spazi… perché “Tu sono io nello schermo, io è tutti”. Nel mare della rete ci si affida ai “pesci-ago” per ricucire lo strappo, per trascendere il frammento, per stabilire nessi e relazioni anche dentro e oltre il tempo, mentre “Trasparenti si aprono atmosfera e sottosuolo”. La transitorietà del mondo, che ne accomuna forme e contenuti, è preludio costante alla sfida dialettica alla natura che si rinnova, anche nell’ultima sezione della raccolta: “Nella notte il vetro dei grattacieli di Isola / sembra una faglia sull’orizzonte”, affronta “il freddo / incorruttibile del buio”, mentre “Nell’ombra salgono i segni ognuno” e “In alto i colori si rompono, si intrecciano” nel vuoto trasparente. I versi della Borio evidenziano un invidiabile contrasto creativo tra ritmo e lingua, alimentano e si alimentano di trasparenze tangibili, di acqua, di luce… “Il male è nascosto nella nebbia del mare”, ma è il silenzio la parola chiave chiamata a colmare lo strappo e la distanza, quella alla quale ci si affida per un assaggio di eternità. Un silenzio attraversato da luci ancestrali e improvvise, che ha il potere di lasciare il segno sulla carne di chi legge e soprattutto di chi scrive: “E allora toccami silenzio, fammi male”. Il cielo è trasparente: armonia, collegamento, connessione… “Rete e corpo si schiudono, gli ologrammi strappano la natura al cielo e la fondono ai sentimenti”, il cielo addensa, armonizza, resiste… Mentre “La terra esiste senza equilibrio come una voce. / Pensiamo le sue parti: il sud e il nord divisi che irradiano / persone, flussi di persone, congiunzioni o schianto”. Si abitano i luoghi e a nostra volta ne si è abitati. Ci si fronteggia. Si è chiamati a tornare ad essere prospettiva, “fragile e forte, // per chi ci ha abitato, chi ci abita”. Il mare è di fronte a noi… Noi siamo di fronte al mare… Infiniti che si specchiano uno nell’altro, in un quotidiano rinnovarsi. La sintesi del mondo digitale è il “grande vetro” attraverso cui traspare la mescolanza del puro e dell’impuro, dell’umano e del non umano, della velocità e della prospettiva. Un viaggio suggestivo e attualissimo dove si approda ad un costante riscoprirsi “L’uno altro limite dell’altro”. Una terapeutica tangibile trasparenza… ben oltre il semplice apparire.

in apertura Paolo Figar, Figura, particolare

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