Treinta y tres mineros, poesie “infelici” di Pina Piccolo

Treinta y tres mineros, poesie “infelici” di Pina Piccolo.

    

    

Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e blogger calabro-californiana che scrive sia in inglese che in italiano ed è impegnata in varie iniziative di attivismo culturale e sociale. Collabora con diverse riviste tra cui Versante Ripido, El Ghibli, Le Voci della Luna, Euterpe, Frontiere news e in passato Sagarana. Pubblica anche su riviste statunitensi. In passato come italianista negli Stati Uniti ha pubblicato articoli su Dario Fo, Franca Rame, Gianni Celati, Luigi di Ruscio e d altri. Alcune sue poesie e saggi sono presenti in antologie cartacee. Attualmente è in corso di pubblicazione la sua prima raccolta antologica di poesia in italiano, “Canti dell’Interregno”. Il suo blog personale http://www.pinapiccolosblog.com offre una panoramica dei temi maggiormente frequentati, tra cui migrazione, razzismo, ecologia, politica internazionale, diritti umani. Attualmente è la madre macchinista, coordinatrice de lamacchinasognante.com, contenitore di scritture dal mondo. http://www.lamacchinasognante.com

Pina ci propone tre poesie che ha scritto negli ultimi anni prendendo spunto da  eventi, situazioni che le sembravano allegorie di quel che il capitalismo sta producendo nel mondo.

    

Canto del caos

Nel duecento dopo Darwin
quando gli angeli del caos
inseminati nello sfacelo del soldo
s’alleano con gli atomi di carbonio ribelli
e il DNA antico in preda alla follia
piomba nel tranello dei finti estrogeni
dimentico dello spartito
sinfonico del corpo
e cullato nell’oblio
si riproduce a iosa
e la fame divora
i muscoli del bimbo
mentre dalla corda
di Monsanto
pende il corpo del padre
contadino
e la traiettoria del proiettile
denso di metalli esplosivi ed inerti
incontra il danno collaterale
a migliaia
ed esterrefatta
in esso s’annida e scoppia
e ride la iena
dell’esperimento
e a milioni languiscono
nelle strade
teste di belle
addormentate per sempre
affiorano dalle macerie
invece dei crochi gialli
di primavere forieri

Quando gli angeli del caos
sguainando  spade di fuoco
ardono la finta tranquillità
della vita da schermo
e s’affievolisce il tepore
delle tane
e scorre il sangue
e i sangui si mischiano
mentre i cuccioli d’uomo
disegnando teschi
inneggiano alla morte
talvolta appiccando fuoco
a indiani dormienti
nei depositi fatiscenti
delle nostre magnifiche sorti e progressive
dal calderone del pianeta gelido e infiammato
per  sessant’anni  tenuta
alla catena
s’innesca  la crisi
e nel suo canto di sirena tutti ci avvolge

2008 (pubblicata in Margutte)

*

Interregno

Le mura di Gerico
non crollarono al richiamo
del corno d’ariete
Nel vuoto arcano
dell’osso
vi fu un rifugiarsi
leggero di piume
di angeli spelacchiati
In fuga dal turbinio
dell’umano interregno
quell’interstizio infame
evocato dal cervello
del sardo rosso
a lungo imprigionato
tra le mura
Scomoda figura 

“La crisi consiste precisamente nel fatto
che il vecchio sta morendo ed il nuovo non può ancora nascere;
in questo interregno appaiono una gran quantità di sintomi morbosi”

Questa la canzone che gracchiava
la gazza, poco ladra molto regaliera,
spargendo verità per l’aire
nel giardino del manicomio
tra la polvere delle fondamenta
abbattute dalla speculazione edilizia
“Ologramma! Ologramma”!
Diceva del programma
che si discuteva al  palazzo
“Ceppi e contagi”
Non cani randagi
Né nutrie né ratti
ma MISFATTI, MISFATTI!
Nelle vostre  AUUUUSL
aziende unità sanitarie locali

Sindrome morbosa
della rosa della rosa della rosa
coltivata nella Rift Valley del Kenya
Mani nere l’han curata, accarezzata
poi strappata  spedita nella stiva  se n’è volata
poi è atterrata, per un’ora  immagazzinata e poi
per le strade di Palermo di Bologna di Torino
un bengalese poco più che bambino
me l’ha offerta a mezzo euro
perché non era più fresca di giornata
SALDI, SALDI, SALDI
teniamoci saldi
nell’interregno
tra le sindromi morbose
sindoni irradiate
antropogenici cambiamenti
antropologici mutamenti
e ammutinamenti
costituzionali scrostamenti
e crollo di nazioni
Negli interstizi
vaga la voce
fluisce la nota
che la bussola resetta
E come arca
spera e aspetta 

aprile 2014, pubblicata in Margutte

*

TREINTA Y TRES MINEROS

Treinta y tres mineros,
Se ne stavano nel grembo di Madre Terra
Inghiottiti
Por El Diablo del capitale
No, non erano un reality
E non era prevista l’espulsione
Per acclamazione popolare
Del meno simpatico
Forse neppure un libro
Si pianificava a Santiago
En las avenidas delle case editrici
“Si  fueran mineros
de seguro no serían intelectuales”

Treinta y tres mineros,
!Treinta y tres! proprio como los años
Di quel povero cristo
Nudi adesso e sottoterra
Sperando in una risurrezione
Tecnologica
Come profeti a mangiar locuste nel deserto
Non piu’ di 60 chili
Snelli e tonici tienen que quedarse
Per entrare nella capsula salvifica
Del Plano B.

E i sociologi che come voyeurs
Spiano se si sono creati
Una società verticistica
O se sottoterra sono stati contagiati
Dal virus dell’horizontalismo
De sus hermanos argentinos
E non sanno che sono venuti a tener veglia con loro
Lì nella loro oltretomba provvista di sonde
Gli spiriti de los dosmil mineros y su mujeres y su hijos
Massacrati por la policia nel 1907 a Santa Maria de Iquique

    

Certo che ce ne sono state notizie da scambiarsi
Su 103 anni di prodezze sindacali
Di democrazie e di golpe
Di progresso e di regresso
Forse non sapevano neppure di Lula
Di Evo, di  Cochabamba
Los espiritus de los masacrados.

E la luce fioca del rifugio d’emergenza
Non è certo canicola che ombra stampi
E questi mineros non son certo l’uomo che se ne va sicuro
E a loro nessun giornalista chiede una parola
Che non sia quella del topo nella trappola
Dello speleologo accidentale che informa
Sullo stato della grotta
Non si prevedono esalazioni
Che portino a vaticini
Tra di essi non è Sibilla
Che qualche verità illustre
Possa comunicare

E le mogli, e i figli e le sorelle
E le madri, e i padri e i cugini
Nel villaggio de la esperanza
A esultare quando el Plano B
Promette que será realizado
Prima di Natale

     

E le mogli, e le figlie e i fratelli
E le nonne e i nonni e le cugine
E i figli nati in loro assenza
E i genitori morti quando il figlio
Era sepolto-vivo
Lì ad aspettare
L’elemosina di una notizia
L’eco d’una voce come quella
Che li salutava ogni giorno dalla doccia
Dove si levava la faccia nera
E la sostituiva con la maschera
Benigna del gran lavoratore
Campafamiglia- capofamiglia
Ritornato dal sacrificio quotidiano

E los mineros come Persefone distratta
Che ingoia i tre chicchi di melagrana
E las mujeres come l’inconsolabile Demetra
Che si vede la figlia strappata sei mesi all’anno
Dal Signore degli Inferi
E noi  che dall’interregnum
Ascoltiamo e guardiamo
Con avidità d’occhio e d’orecchi
E aridità di cuore
Il dipanarsi di sventure altrui
Mentre sciamiamo
con dignità di vespe sulla superficie
a orecchie tappate e occhi bendati
evitando i segni
che non dovremmo stentare
a decifrare.

*

        

Ivo Mosele, Lezione di ballo al tango studio
Ivo Mosele, Lezione di ballo al tango studio

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