Tsunami di Agata Bui.
La cronaca. 26 dicembre 2004. Asia.
Mattina di sole, chiara, perfetta, calda.
Per prima è la terra a tremare, poi lo fa il mare, che d’un tratto si ritira, scompare. Prima di tornare a travolgere.
Quasi nessuno capisce il significato di questo anomalo fenomeno di repentina bassa marea.
Quasi nessuno capisce quanto sia pericolosa l’onda che sale, inarrestabile.
250.000 morti. Migliaio più. Migliaio meno. L’approssimazione dei grandi numeri nelle grandi tragedie, quelli che anestetizzano, allontanano. Ma questa volta è diverso, questa volte ci riguarda. Tra i morti, ci siamo anche noi. I turisti, gli occidentali.
Come descrivere. L’orrore. L’inimmaginabile che accade.
Corpi sbattuti contro i muri. Corpi appesi agli alberi. Corpi gonfi d’acqua abbandonati dalle onde sulla spiaggia. Bambini scivolati per sempre via dalle braccia dei propri padri. Bambini sfuggiti a madri disperate. Amanti partiti e mai più tornati.
Questo, e non solo, sarà stata l’onda, innominabile, causata dal più violento terremoto del pianeta.
Poi, una volta arrivata fino ai nostri patetici salotti televisivi, l’onda si sarebbe trasformata in una gara di solidarietà. E’ così che chiamiamo la nostra comoda ipocrisia. Il nostro preludio alla dimenticanza.
Tsunami
Bisognerà ricordarlo – questo dolore
e le parole
troppe – banali – che si stipano nella testa
e la devastazione – fuori dai nostri corpi
consumata lontano dalla carne e dentro allo spirito
Bisognerà ricordarla – la grande onda
quella che spazza via la vita e i sogni dell’Asia
l’Asia che avevamo creduto casa nostra
ma noi eravamo qui
nelle nostre vere case – gelide e rassicuranti – e l’onda
solo ci aveva rubato l’anima
che è poca cosa
al confronto
Nel sonno dimenticavo
e facevo i soliti incubi quotidiani
ma nella veglia la mia mente – che è folle
si credeva una sopravvissuta
e non faceva che ricordare
Mesi e chilometri prima – in riva a quello stesso mare
le passeggiate – i libri – le albe e i tramonti
i pranzi e le cene
in quella rassicurante meravigliosa monotonia
le sedie le tazze i tavolini le sigarette aspirate con calma le risate il sonno
e sempre accanto
quel mare
Cosa sarà rimasto dopo la grande onda
e chi
quali dei bei corpi scuri avrà scelto di portare con sé
quali avrà lasciato
questo si domandava la mia mente
che è pazza e non conosce la rassegnazione
e come sempre le accade con il dolore
non fa che tornare
a cercare
quel singolo momento –
quella minuscola frazione di tempo
che maldestramente chiama
prima
e in questo si dissolveva
Perché questo solo sanno fare i veri pazzi
volere
a tutti i costi
volere
con tutte le proprie forze
che il passato cambi
tornare a quell’attimo
prima della tragedia
quando ancora tutto era diverso
e salvarsi era ancora una possibilità
Ma il passato non si lascia cambiare
ed è questa la vera maledizione
che nessuno dei morti torna mai in vita
e i vivi perdono il sonno per sempre
o semplicemente
sopravvivono
al proprio dolore
Che è ancora peggio