Una tana, poesie di Matteo Pelliti.
Matteo Pelliti (Sarzana, 31 marzo 1972) vive a Pisa, dove si è laureato in Filosofia e specializzato in Comunicazione Pubblica e Politica. Ha pubblicato le raccolte di poesie Versi ciclabili (Orientexpress, Napoli, 2007) e Boicottando mongolfiere e ghigliottine (Tapirulan Edizioni, Cremona, 2013); i racconti Giocattoli (Felici Editore, Pisa, 2010); è presente nel Registro di poesia #2 curato da Gabriele Frasca (Edizioni d’If, Napoli, 2009). Del 2015 la raccolta di poesie Dal corpo abitato (Luca Sossella editore) con le illustrazioni di Guido Scarabottolo e un cd audio con la voce di Simone Cristicchi, cantautore col quale collabora stabilmente dal 2005 (per lui ha scritto il racconto “Accadde una volta” e le postfazioni ai volumi Centro di igiene mentale – insieme a Massimo Bocchia, Mondadori, 2007 – e Dialoghi incivili, di Massimo Bocchia e Simone Cristicchi, Eléuthera, 2010).
Nel 2013 ha collaborato alla scrittura del testo teatrale “Magazzino 18″, musical-civile dedicato da Cristicchi alla storia dell’esodo giuliano-dalmata, che ha debuttato a Trieste nell’ottobre del 2013. Nel 2014 ha partecipato come autore allo spettacolo “Marx Reloaded” per “Internet Festival” a Pisa, con I Sacchi di Sabbia, il collettivo Diecimila.me e Moni Ovadia. Nel 2015 ha scritto con Simone Cristicchi il monologo “A volte ritorno” (un Gesù sperso nel presente) e, con Manfredi Rutelli, per Montalcino FermentiInscena, lo spettacolo teatrale “Tacabanda” (racconto musicale per voce recitante e banda di paese). Il suo diario in rete è www.coltisbagli.it
*
Una tana
Alzo gli occhi verso le finestre che ho abitato per due anni
come se potessi spiarmi , compresente nel passato,
vivere là dentro: muovermi in cucina, portare Sara
addormentata per le scale in un pomeriggio
d’agosto, o tutti i giorni corsi a ricostruire
i tendini, i legamenti per farmi camminare ancora.
Al mattino presto guardo se i nuovi inquilini
sono mattinieri, se il bucato è steso, se la luce è accesa,
ripenso a quanto quella tana
mi abbia protetto da me stesso
rimettendomi nella libera circolazione civile,
al divano acquistato usato dai precedenti abitanti,
al tuo sonno, all’amore ritrovato, alle domeniche vuote,
agli spifferi della porta sul pianerottolo aperto,
alle veglie, agli incubi, all’insonnie.
Tutto quanto mi riappare come concentrato
in un punto focale schiacciato, un passato anamorfico
che si specchia nella plafoniera del tinello:
lo vedo, passando al mattino, quando alzo lo sguardo
verso la tana che mi ha rimesso in sesto
e penso che di me, di te, di noi resta
ancora traccia, anche se poi avranno imbiancato
e se un nuovo odore avrà preso residenza
nei tessuti, ma restano i gesti nudi
di un nostro primo primo maggio,
o una notte che Sara piangeva
e aveva quattro anni e io con lei.
Inedita, tratta dalla raccolta “Il colore esatto”, in corso di realizzazione
***
Dal corpo abitato
Vi scrivo dal corpo abitato,
dal caseggiato,
dal fabbricato,
da tutte le parole che contengono
un passato,
vi scrivo dalla scala 1 interno 9
– oppure era scala 9 interno 1? –
perché sappiate l’indirizzo
al quale non spedirmi mai saluti.
Vi scrivo la delega perpetua
al mio vicino di pianerottolo
finché mi rappresenti
in ogni assemblea di condominio
ordinaria e straordinaria,
vi scrivo le mie prime volontà:
la rinuncia al posto auto,
unitamente alla richiesta
che ogni tovaglia venga sbriciolata
sul mio balcone,
che il riscaldamento centralizzato
centralizzi il suo calore
alle 5 del mattino quando
faccio sogni troppo scoperti
perché possano interessare l’analista,
che il pianista del quarto piano
faccia pace con Clementi.
Vi scrivo dal continente popolato
dai “nuclei familiari”,
gli animali a piú teste censiti dall’Istat
*
La terrazza
Siamo stati
sulla terrazza della vita
fintanto che sono arrivati gli altri.
Nino Pedretti
Stamani mi hai detto prendiamola subito
e tutto ha preso come velocità di discesa
fino alla proposta di contratto consegnata
all’agenzia immobiliare, con il dubbio
di riuscire a pagarlo davvero
l’affitto di quella casa bella,
con la terrazza grande, in centro.
Come cani ammaestrati ad essere indocili
le ansie e le paure hanno iniziato a farmi le feste
tutt’intorno insieme all’idea
che molte invidie ci attireranno
il parquet, una volta lucidato, e l’ampiezza dei locali.
E ancora, come in quel monologo di Nino Pedretti
in cui un balcone mancante diventava menzogna e ossessione,
la grande terrazza sarà l’appariscente segnale
del buon vivere che lí potremmo sperimentare
mettendoci in cerca, tra le sue mura,
dei dettami dettati da Stevenson:
la casa ideale.
*
Farfalle
Ripartiamo dalla posa delle farfalle adesive,
tra il muro e l’adesivo devi togliere l’aria con le dita,
se senti questo rumore che scricchiola
vuol dire che l’adesivo trova l’aria prima del muro,
allora le stendiamo bene, dall’alto in basso,
e dopo le prime quattro, cinque farfalle,
tu inizi a pensare al disegno d’un elefante,
in modo che il volo disegni
il proprio contrappasso, il dorso, il naso.
La parete si ricopre,
allora nascondo gli ultimi tre fogli d’adesivi,
li conservo come provviste per il futuro.
Poi entrando nella tua camera nuova,
ogni tanto, ripassiamo i polpastrelli
sopra le farfalle
per sentire se c’è ancora aria
tra il muro e l’adesivo
e forse, quando non faranno piú rumore,
anche noi non scricchioleremo piú
a stare insieme in questa casa.
*
Corpi
Visitavo case da abitare
come si provano le giacche usate,
cercando la misura nei movimenti,
tastando il tessuto,
tentando d’indovinare la vita o l’energia
lasciata dentro da chi l’avesse
indossate prima di me.
Le case sono corpi, armature aggiuntive,
non tane o ripari, ma organismi viventi e autonomi
che rivestono, come derma supplementare,
i loro abitanti.
Abitante e abitato diventano simultanei
riflessi, a volte di un’unica nevrosi,
l’uno per l’altro biunivoci:
abito una casa che mi abita,
come un “abito”, appunto.
Poesie tratte da “Dal corpo abitato”, Luca Sossella Editore, 2015, con illustrazioni di Guido Scarabottolo e cd audio con la voce di Simone Cristicchi