Una vita, tante vite di Francesca Piovesan, Giuliano Ladolfi Ed. 2015, recensione di Enrico Gurioli.
Non c’è lo scorrere del tempo nei versi di “Una vita tante vite”, la raccolta di esordio di Francesca Piovesan. Non c’è il kronos nelle sue cristalline poesie anche quando ti narra l’ondeggiare perpetuo delle stagioni o ti racconta l’empireo di Vienna. Tutto è simultaneità esistenziale nei testi, una purezza essenzialmente visiva; una atemporalità a volte spiazzante. Francesca nasconde dietro una sua apparente fragilità sensoriale il rigore autentico della parola che dice. “Nell’amorfo grigio del cielo incombe il senso del tutto” sembra ripeterti in ogni pagina di questo libro pubblicato nel 2015 da Giuliano Landolfi Editore per la Collana Perle di poesia diretto da Roberto Carnero. C’è fra le righe dei versi l’inganno della semplicità, della dichiarazione esplicitata senza sottintesi. Senza ambiguità semantiche. Qualcosa di speciale accade. Sempre. È il kairos. La quarantina di pagine del volumetto rappresentano il salotto dell’esistenza di una poetessa, un luogo dove incontrare l’amica Carlotta accompagnandola assieme al lettore a sorseggiare rosolio assaggiando i pasticcini fra mobili e soprammobili pieni di ricordi. L’io lirico di Francesca non è il soggetto del racconto che si snoda in modo nostalgico o malinconico tra il passato e il presente di questo luogo immaginato. È un pretesto per dire alla ritrovata amica (la poesia) “Ricorda”, senza dare alcun riferimento temporale al suo verso. Francesca è la giovane Speranza che si muove tra “le buone cose di pessimo gusto” narrate da Gozzano e come Speranza in cuor suo sogna quei fiori d’arancio “non ancora sbocciati”. C’è nelle sue parole il candore che sa di cretonne, con il pudore liberato dalle lacrime di un tenero pianto pronto a confondersi fra le acque dell’antico Ghebo. Venezia è lontana comunque, appare come quando arrivi dal mare e il campanile di San Marco svetta tra le dune. Le poesie sgorgano e non seguono mai un ordine precostituito; in questo caso sono messe in ordine come a perseguire un percorso narrativo tra gli inserti di un dialogo sommesso. Come l’arredamento spontaneo del salotto borghese di nonna Speranza con le sue suppellettili superate dal tempo, testimone di un mondo fatto di oggetti e valori ormai consunti sono le poesie stampate su carta che daranno voce alla parola scritta. Il Vajont, con il suo immenso e tragico segno dell’umana negligenza apre l’uscio ai sentimenti segreti di Francesca facendo affiorare la sua interiorità feconda e lineare. Pura!
Poesie da “Una vita, tante vite” di Francesca Piovesan
VAJONT. L’ONDA INFAME
D’un tratto
il buio
brivido di morte.
Occhi allucinati
sbarrati
nella notte.
Vento furioso
senza tempesta.
Parole sospese
in grida di terrore.
Volti strappati
alla vita.
Il tutto, il nulla.
*
VIENNA
Dalla nebbia autunnale
improvvisa appari
regale, austera,
visione d’incanto.
Le vie, i giardini, i palazzi
raccontano tempi lontani.
Quando a sera
di luci soffuse
ti vesti,
tu magica,
simile a dea,
abbagli.
Ricordi i valzer, gli amori,
di corte gli intrighi?
Ancor ne profuma l’aria.
Note echeggiano
di un solitario violino
nel buio infinito.
*
UN FIGLIO
Elios ti chiamerò
luce d’amore
Elios
sole di vita.
Nascerai, dolce,
e c’illuminerai
all’imbrunire,
ci riscalderai.
Elios
come lui.
Biondo,
occhi verdazzurro come l’acqua di quel lago…
Elios sarai,
tu.