Una volta mia madre cantava: la-la-la, poesie di Domenico Cipriano.
Domenico Cipriano. È nato nel 1970 a Guardia Lombardi (AV), vive e lavora in Irpinia. Già vincitore, per la poesia inedita, del premio Lerici-Pea 1999, ha pubblicato la raccolta Il continente perso(Fermenti, Roma, 2000, 2° ed. 2001 – prefazione di Plinio Perilli e nota del musicista Paolo Fresu) vincitrice del premio Camaiore proposta e segnalata al Premio Montale. Nel 2010 pubblica Novembre(Transeuropa, Massa, 2010 – prefazione di Antonio La Penna) libro nella rosa finalista del premio Viareggio-Répaci 2011, riedito in edizione bilingue con il titolo di November (Gradiva Publications, New York, 2015 – a cura di Barbara Carle, foto artistica di Eric Toccaceli). Segue Il centro del mondo (Transeuropa, ivi, 2014 – postfazione di Maurizio Cucchi) premio Giuseppe Pisano, premio speciale Città di Sant’Anastasia e segnalazione ai premi Pascoli, Frascati, Camaiore. A fine 2017 è stata pubblicata la raccolta L’Origine(L’arcolaio, Forlì, 2017) che inaugura la “Collana ɸ”. Ha collaborato negli anni con vari artisti e ha realizzato il cddi jazz e poesia JPband: Le note richiamano versi(Abeatrecords, Olona, 2004). Dal 2010 ha guidato la formazione jazz-poetry “Elettropercutromba”, oggi rifondata col nome di “e.Versi Trio”. Ha realizzato i testi di #Hirpiniafelix “Pecore, zappa, scalpello e computer”a cura del Festival internazionale di media art FlussiTalk Rurality 2.0, video-performance presentata a EXPO 2015. Presente con interventi e poesie in riviste e antologie, è redattore della rivista “Sinestesie”. Da circa 20 anni propone in Irpinia incontri per la diffusione e la conoscenza della poesia contemporanea.
(per mia madre)
i ricordi
Nella nostra casa sono cresciuti
i ricordi, i discorsi di gesti consueti
che ora non possiamo vedere.
Commentiamo al telefono sprazzi
di giornate incolore, senza dettagli:
quasi scompare la vita all’assenza.
Ma le carezze erano l’infanzia
e il nostro vivere sapendoci vivi
fingiamo ci basti.
*
le distanze
Ci siamo abituati a non telefonarci spesso
a perdere le tracce del percorso
e nell’afa della festa
ritrovarci appena di sprovvista.
Non credo che dai giorni confusi
possiamo cogliere di noi
la stessa solitudine, quel vizio antico
di sopravvivere di passi quotidiani
tra i profumi che lasciava la cucina vuota
in quella pace di luce in cui la vedo.
*
la fede
(nel giorno dei funerali di Papa Giovanni Paolo II)
C’è più sacralità in questa casa
che nella chiesa del paese.
È il messaggio globale
(non semplicemente mediatico
e mortale) che alimenta granelli
dello stesso riverbero di voci
di una profonda fede, e mia madre
sussurra le parole e da calore
ai fotogrammi del saluto. «Non è un uomo
che è morto», mi dice carezzando il viso,
e la storia si piega e si concede al suo tempo
rendendolo infinito. Nella cattedrale
si celebra l’amore, ma la fede è collegata alla casa
con lo sguardo teso a quella piazza
e ammutolisce ogni riflessione d’occasione
sul mondo agonizzato. Gli occhi di mia madre
oggi sono vivi, più di quelli che a volte mi ha mostrato.
Guardia Lombardi, 3 aprile 2005
*
l’amore
È facile abbracciare una figlia
bisognosa del tuo sostegno fragile
coccolarla nella sua leggerezza, lo stesso l’amata
a cui ti doni e prendi l’amore con dolcezza.
Alla madre che ti ha cullato in grembo
dichiari il bene dentro (lentamente), è difficile
stringerla e rigenerarti nel suo affetto,
serrare in quell’attimo ogni fondamento
che la memoria percorre e il pudore non rivela.
L’amore naturale di figlio che diviene padre difensivo
si nutre segreto: raramente stringe il corpo
di chi il corpo gli ha donato.
*
i cambiamenti
Una volta mia madre
cantava: «la-la-la»,
richiamava il sole.
Dovremmo essere rimasti
bambini sempre
per darle i baci e riceverne,
ma il tempo ci consuma
dentro, e non bastano le rughe
(a volte) per accettare l’inverno.
*