Une voix qui ne vient de nulle part: Claude Esteban, retrospettiva di Lucetta Frisa.
Claude Esteban, fin dall’inizio del suo percorso poetico, fa sua quella lezione di pudica sobrietà che percorre certa letteratura francese, da Pierre Reverdy a Philippe Jaccottet, un pudore che è soprattutto eleganza malinconica del porgere la voce e cantare, con fluide cantilene, i temi comuni del vivere e del morire. La luminosa impersonalità dello stile ha però una sua perentoria esattezza: la poesia non smette di parlare di fronte alla morte, non permette che le cose sfuggano e muoiano senza parola. Perché, come sostiene il grande romanziere tedesco W.G.Sebald: «È indispensabile, in un modo o nell’altro, trattenere le cose» .
In tutti i suoi scritti, Esteban, accorda prosa e poesia con naturalezza esemplare facendo defluire l’una nell’altra e la modulazione dei suoni sembra giungere sempre da “nessun luogo”. Per lui la prosa «non soffoca il ritmo del poema, ma dà l’impressione di una pausa del respiro in un momento di calma, nelle ore lente, in una camera dove riposa la notte».
Cosi risponde a chi gli domanda della sua poetica: «io rifiuto che le parole vengano pronunciate troppo rapidamente, perché le parole di una poesia non devono violentare il mondo riducendolo a una formula subito riconoscibile come la verità. Perché il mondo, per quanto appaia solido e sostanziale, è fragile, e la sua permanenza è sempre minacciata».
Se André Breton suggeriva: «fidatevi del carattere inestinguibile del mormorìo», Esteban fa di più: eleva il mormorìo a struttura fondante della sua avventura poetica, scegliendo per sé un accorato understatement, sia come critico che come poeta.
Poeta bilingue, traduttore dallo spagnolo dei grandi classici della poesia antica e contemporanea, fondatore della rivista di letteratura Poésie e della rivista di arte visiva Argile, è anche prolifico critico d’arte e dedica volumi di saggi ad artisti del passato, come El Greco e Velazquez, e del presente, come Morandi, Mirò, Tapiès, Ubac, Michaux (che spesso “illustrano” le sue opere).
La sua concezione di eternità non va mai al di là del regno della parola: uno spazio intimo al servizio dell’invisibile, un’interiorità che deve diventare visibile solo attraverso il suono vellutato e bisbigliante dei versi: è la stessa struttura dei poèmes che in Esteban spicca per una lieve ma persistente compattezza, come un basso continuo che evoca certe partiture misteriose e molto “libere” di Couperin, e perciò ben diverse da quelle più strutturate di Rameau o di Bach. Paradossalmente, leggere Esteban, uno dei poeti tematicamente più malinconici del suo tempo, in perfetto accordo con la figura consueta del poeta lirico, è percepire l’effusione di un’impalpabile e amorosa joi (di provenzale memoria), di un movimento verso comunque vitale: «et c’est un peu de moi qui tombe / à travers le noir, j’existe / et je dis / que’j’existe, le noir recule». Questo “dire” contro il nero della notte non è contemplazione rassegnata del dolore esistenziale ma un continuo fare “esperienza viva” della malinconia, una melanconia quindi attiva e germinante.
[…]
Appassionato alla fenomenologia della poesia, Esteban, di padre spagnolo e di madre francese, si pone alla confluenza delle due lingue, cercando di trovare quella che per lui è la lingua della sua poesia, una lingua ideale, assoluta e inafferrabile, dove «La poesia non ha altro luogo d’esistenza che questo Qui e Ora di un po’ di terra compromessa, ma sotto il blu “adorabile” di un Altrove e di un Sempre».
[…]
Questa che propongo al lettore italiano non è che una succinta antologia della sua vasta opera, una sorta di primo “colpo d’occhio” sulle molte pagine scritte, nel tentativo di segnalare un poeta importante che in Italia non ha mai avuto lo spazio dovutogli. Un poeta del quale, in anni recentissimi, Yves Bonnefoy scrive un ricordo dedicandogli queste commosse parole: «La grande malinconia di Claude Esteban sapeva farsi sorgente da cui scaturivano le molteplici invenzioni della suao meravigliosa bizzarria».
(dalla postfazione di Lucetta Frisa)
*
Claude Esteban (Parigi 1935-2006).
Ha diretto la rivista “Argile” (1974-1981) e la collezione “Poésie” per Éditions Flammarion (1984-1993).
Poesie: Le Nom et la Demeure, Flammarion, 1985; Diario inmóvil, poèmes en espagnol (tradotto in italiano da Jacqueline Risset con il titolo Diario immobile, edizione bilingue, Milano, Vanni Scheiwiller, All’insegna del pesce d’oro, 1987; traduzione francese con il titolo L’Insomnie, journal, par Emmanuel Hocquard et Raquel Levy, Fourbis, 1991; L’Insomnie, journal, traduction française par E. Hocquard et R. Levy, Fourbis, 1991; Quelqu’un commence à parler dans une chambre, Flammarion, 1995; Sept fables faciles, Fourbis, 1995; Morceaux de ciel, presque rien, Gallimard, 2001; Encres sur papier de riz, Farrago/La Hune, 2001; Étranger devant la porte, I, Variations, Farrago, 2001; Le jour à peine écrit (poems 1967-1992), Gallimard, 2006; Trajet d’une blessure, Farrago, 2006; La mort à distance, Gallimard, 2007.
Prose: Poèmes parallèles, Galilée, 1980; Le Partage des mots, Gallimard, coll. L’un et l’autre, 1990; Soleil dans une pièce vide, Farrago, 2003; Choses lues, Flammarion, 1998; Janvier, février, mars. Pages, Farrago, 1999; L’espace, l’inachevé Cahier Claude Esteban, Farrago/Léo Scheer, 2003; Ce qui retourne au silence, Farrago/léo Scheer, 2004.
Saggi sulla poesia: Un lieu hors de tout lieu, Galilée, «Écritures-figures», 1979; Critique de la raison poétique, Flammarion, 1987; D’une couleur qui fut donnée à la mer, Fourbis, 1997; Étranger devant la porte, II, Thèmes, Farrago, 2001; Ce qui retourne au silence, Farrago, 2004.
Saggi sull’arte: Chillida, Maeght, 1972; L’Immédiat et l’Inaccessible, Galilée, coll. Écritures-figures, 1978; Ubac, Maeght, coll. Archives, 1978; Un lieu hors de tout lieu, Galilée, 1979; Le Travail du visible et autres essais, Fourbism 1995; La Dormition du Comte d’Orgaz, Farrago, 2002
Bibliografia:
-L’Espace, l’inachevé. Cahier Claude Esteban, sootto la direzione di Pierre Vilar, Farrago, 2003.
-Dossier di CCP 13.
-Yves Bonnefoy, Portraits à trois crayons, Galilée, 2013.
***
di Claude Esteban
da Qualcuno nella stanza comincia a parlare, a cura di Lucetta Frisa, Joker, I libri dell’Arca, 2015
Le pietre parlano
Per Eduardo Chillida
Nella sabbia,
nell’interno della sabbia, in
ogni suo granello,
scavare
scolpire il respiro.
*
Tutto un piovere d’atomi
poi
il lampo sull’evidenza
dell’alabastro,
i corridoi.
*
Domani non avviene, domani
disegna
contro un muro, cancella
con gesti
folli,
la strada.
*
In una scatola
nulla e in questo nulla
il sapore della terra antica, un’altra
vita, la cenere
diventata sole e come
un sogno,
questa lampada che attraversa i muri,
scacciando la paura.
*
E grandi alberi
sulla soglia
dicevano il fruscio dell’aria, il mondo
semplice.
*
L’occhio non conosce
l’occhio, è
al centro ed ogni cosa davanti a lui
è giusta e si conferma, l’occhio
non guarda, sa
subito e appena sa, vede
oscilla, là
vicino,
sull’invisibile.
*
Voi che non amate più nulla,
amate il bianco, lì
può finire qualcosa
che vi fa male, il bianco
non calma, è dentro di voi come
una spina schietta,
lacera i vecchi saperi, voi
che non vi amate più,
toccate con gli occhi
il bianco,
questa bruciatura.
*
Ciò che dura
già scompare, ciò che cade
ritrova la sua postura,
ciò che non pesa
quasi più
gravita nel cielo dei segni.
*
Sulla pietra
che non soffre, decifra
lentamente
le tue cicatrici.
*
Minerale dormiente, ascolta
meglio,
tutto il rumore
del mare
trema nelle tue conchiglie.
*
C’era la parete, le linee nere
sulla parete, lo sforzo
degli uomini, uno dopo l’altro, per salvare
lo spazio,
e questa mano che non aveva il tempo
di credere che il tempo incalzava,
che era notte.
*
La morte ha la sua casa, ma i morti
non la abitano,
sono troppo lontani, respirano
un’aria più vasta, la morte
prepara la sua casa
per coloro che dubitano, che diventano piccoli,
e dicono di no.
*
E’ ancora
il primo mattino, le pietre
parlano,
ci sono delle certezze
nel terreno, camminate, non cercate più
-e che un profumo di nessun luogo vi guidi.
***
Les pierres parlent
Per Eduardo Chillida
Dans le sable,
dans le dedans du sable,dans
chaque grain,
creuser,
sculpter le souffle
*
Toute une pluie d’atômes
puis
l’éclair sur l’évidence
de l’albâtre,
les couloirs.
*
Demain n’a pas lieu,demain
dessine
contre un mur, afface
avec des gestes
fous,
la route.
*
Dans une boîte
rien et dans ce rien
la saveur de la terre ancienne, une autre
vie, la cendre
devenue soleil et comme
un rêve,
cette lampe traversant les murs,
chassant la peur.
*
Et de grand arbres
sur le seuil
disaient le froissement de l’air, le monde
simple.
*
L’oeil ne connaît pas
l’oeil, il est
au centre et chaque chose devant lui
est juste et se confirme,l’oeil
ne regarde pas,il sait
d’abord et comme il sait, il voit
il trébuche, tout
près,
sur l’invisible.
*
Vous qui n’aimez plus rien,aimez
le blanc, là
quelque chose peut finir
qui vous fait mal,le blanc
n’apaise pas,il est en vous comme
une épine franche,
il déchire les vieux saviors,vous
qui ne vous aimez plus,
touchez des yeux
le blanc,
cette brûlure.
*
Ce qui dure
disparaît déjà,ce qui tombe
retrouve son assise,
ce qui ne pèse
presque plus
gravite au firmament des signes.
*
Sur la pierre
qui ne souffre pas, déchiffre
lentement
tes cicatrices.
*
Minéral endormi,écoute
mieux,
tout le bruit
de la mer
tremble dans tes coquilles.
*
Il y avait la paroi,les lignes noires
sur la paroi,l’effort
des homes,l’un après l’autre, pour sauver
l’espace,
et cette main qui n’avait pas le temps
de croire que le temps passait,
qu’il faisait nuit.
*
La mort a sa maison ,mais les morts
ne l’habitent pas,
ils sont trop loin, ils respirent
un air plus vaste, la mort
prépare sa maison
pour ceux qui doutent,qui deviennent
petits,
qui disent non.
*
C’est encore
le premier matin, les pierres
parlent,
il y a des certitudes
dans le sol, marchez,ne cerche plus
-et qu’un parfum de nulle part vous guide.