Un’isola, di Lucetta Frisa

Un’isola, di Lucetta Frisa.

   

   

La notte sbarcare sull’isola è prendersi le mani
per tenersi in equilibrio il porto dondola al buio
sotto le raffiche l’occhio acuto di Donatella la risata
di Renato le voci forti e nuove e l’ala di Mercurio
ci spinge avanti eccovi sani e salvi stasera non si vede niente
è tutto allagato non c’è luce attenti dove mettete i piedi.

Le terrazze si sporgono sul mare e la stanza
è una tana fresca
d’ora in poi tutto ci attende
siamo sospesi
in una cartolina da spedire a nessuno.

Entra nell’acqua come la prima volta
se sei giovane o vecchia non importa forse
certe cose possono ancora sorprenderti:
un gatto giallo sulla spiaggia e le sue fusa
i piedi di Marco che dormono seguendo il sole
gli orrori del castello Aragonese
le suore che contemplano i cadaveri
e un mare dionisiaco a strapiombo.
Vedo questo luogo per la prima volta
e sarà anche l’ultima. D’ora in poi
non c’è più tempo per ritornare.
Non c’è più tempo devo
isolare lo sguardo in un unico punto arrotolare
il lunghissimo filo che mi ha portato fin qui
in una veloce matassa
si confonde il film gli spezzoni le scene tagliate
le sequenze da riordinare o disperdere.
Qui su quest’isola nessun canto addormenta
la viaggiatrice che dormiva prima di raggiungerla
ora è tornata al mare
le narici sentono il sale
e lei ha fretta.

Siamo caduti fuori centro, amici,
per questa settimana di vacanza
o siamo per caso
al centro di noi stessi
pronti alla consunzione
e al naufragio.

Osserva il profilo del monte Epomeo
è lo stesso profilo all’alba
il profilo di tutto quanto abbiamo visto
se conoscere un luogo è essere quel luogo
e se il nostro senso di un solo luogo
è tutto ciò che sappiamo dell’universo,
                dimenticare
è la nostra sapienza.

Improvviso l’angolo di una terrazza
il brusìo di voci e bicchieri
il vaso dipinto nel museo
il vecchio don Felìpe
le luci della pasticceria Calise:
quante nuove parole dovremo aggiungere
all’energia dei sogni?

Per la strada incontriamo i pìcari
le miserie girano dietro l’angolo
hanno pulito tutto con l’azzurro e la calce
eppure non recitiamo al Truman Show.

Non sai vedere la storia mentre cammina
ci vai insieme da sonnambula
per svegliarti quando è passata a un soffio da te
e chiacchierare dopo
della sua inafferrabile sostanza con ironia
e farne un fantasma da salotto.
Il mare
si riflette sopra e sotto
tanti specchi nella nostra stanza specchi
nella pasticceria
tra questi specchi il mio pensiero rimbalza
si è fatto piccolo e innocuo – un moscerino
che vola via dalla scena e lascia
un vuoto ustorio.

Il mare
intorno al mio corpo in festa
mi riconduce in un’altra isola
dove so che andrò a morire
perché da sempre ho abitato lì.

Prendi il tuo corpo e lancialo lontano
pesce o alga o altra creatura marina
ti guardano mentre sai
di conquistare una salute difficile:
guarire o annegare.

Una scossa invisibile
che avvertono solo gli uccelli marini e i pesci
unisce la costa all’isola
e ai loro mutamenti.

Oh la bellezza
nessuna macchia
siamo belli e chiari anche noi
accecati da lei
che punge le pupille
con un bruscolo nero.

Abbiamo superato le notti
vegliandoci pelle a pelle
per non sparirci dagli occhi
tornando di giorno alla fermezza del mare
a patire il suo canto
a non fare né ombra né luce sulla spiaggia.

Per vedere la costa bisogna andare
al largo e poi voltarsi in tempo prima
che l’isola fugga.
Per conoscere altre isole
viaggiamo tra i promontori
le visioni ruotano e una differenza c’è
se un orizzonte non ci basta.
Qualcuno ha ricordato Apollo
la sua testa sul mare che affiora
mascherata per entrare nella notte.
Se vedi Ischia nella tua stanza
mentre la scrivi ora
non è come tornare da lei non è
sentirsi più felici o rimpiangerla
è un’altra cosa ancora e ti sorprende, confèssalo.

In un certo attimo dicono che tra sera e notte
si vedano di colpo tutte le isole
tutti gli arcipelaghi e le sponde della terra
ma senza luci e velature
una massa informe dietro l’orizzonte
o davanti.

Ischia, luglio 2001.

     

Alberto Cini, Tecnica mista
Alberto Cini, Tecnica mista

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