Uovo in versi di Claudia Ruggeri, Terra d’ulivi ed. 2015, note di lettura di Gabriella Modica.
Il ritmo è un pezzo
di aritmìa
La massa, la struttura crolla
casualmente
sotto il suo peso
G.M.
La poesia non ha io né alcun altro centro. Per questo è destabilizzante.
E. Scarciglia
Uovo in versi, è una raccolta delle opere di Claudia Ruggeri, a cura di Anna Maria Farabbi per la casa editrice Terra D’Ulivi, nella Collana “Le Ossidiane”.
La ricerca del singolo è la ricerca dell’altro. Questo rapporto esiste anche se le parti ne sono inconsapevoli.
Il lavoro di Claudia Ruggeri insegna tanto, e non è terminabile nella conclusione della vita terrena di questa Poeta. È un lavoro che ha innovato, sia nella personale ricerca dell’Autrice, nel suo ri-confrontarsi con strutture stilistiche preesistenti e robuste mettendole profondamente in discussione, e nel consentire, adesso, un tentativo ulteriore di lettura di quello che si potrebbe definire un fenomeno precursore di cambiamenti in atto nell’intero mondo letterario.
il Matto IV (ode agli inizi)
Orione
“Se per te d’Ippocrene alla bell’onda trovai la via, se tu mmi fusti scorta,
se de pimplei recessi a me la porta apristi…”
(Ciro di Pers)
non son non son castelli ma qui ma qui ti specchia,
se la soglia ti vince, e più e più ti sofferma.
non ti salva dall’esodo delle guerre vagate
trasparirti; qual sia la galleria, benché tutti
i decori cerchino tutti i varchi le vette delle volte
le lotte illustrate e quante,
chissà, Distrazioni e il biancore il biancore che spossa
la ruota in volgare che sfonda in un posto
avvenire avvenire pieno di tronchi pieni
di rami per coprire ahi strappo l’abbraccio
a soggetto la Tempesta Ordinata
l’agone, perché la ruota ormai è roto
lata attoseccata questa fata rima se già la rinserra
il Nocchiero, se arde la piscia che di giove ruscella
al Toro al Bue al mio Miglior Tradito; o sia smarrita
Orione; o sarà che rinselva a un nuovo affetto
[meravigliosamente
un amor la distringe: uno splendore che marcia
di Masca in un bosco che esiste persino
acuto A nozze verso i castelli a volo persino
ha dato il suolo il passo
perperderlo perdonartelo ahi cose perché cadete.
Ogni esistenza è attraversata dal continuo tentativo di dare una forma al proprio sentire. Il personale punto di vista viene prima di ogni sua rappresentazione. Il proprio vissuto emozionale, base di partenza per qualunque tipo di ricerca, viene variamente elaborato, e nella migliore delle ipotesi la sua presenza viene diluita fino a divenire impercettibile nell’opera finita.
La Poesia concentra in sé tutte le arti. È terapeutica. Sempre. Sia quando ci appare brutta o scriteriata, e a maggior ragione quando riconosciamo in essa il senso autentico della ricerca. Perché è quel punto di partenza, che ha importanza: la volontà, la ricerca della forma da dare al proprio sentire come (punto di partenza), e la sublimazione di esso in qualcosa di nuovo, o di innovativo, o preferibilmente, indefinibile, destabilizzante, nel senso di criticamente innovativo.
Quando la Poesia ci appare brutta o la riteniamo scriteriata il più delle volte è perché l’avvertiamo (inconsciamente, immediatamente) ferma al punto di partenza: il proprio sentire e il tentativo più o meno modaiolo o ricercato di dare forma a quel sentire ci risulta riconoscibile possibilmente come un aspetto del proprio essere, di cui non ci si vuole far carico. Ma è tutta una questione di livelli. Il punto di partenza è sempre quello:
Io: un livello;
Sé: un altro livello;
Parola: un altro livello;
Suono: un altro livello;
Voce, vibrazione: un altro livello;
La grandezza di un Poeta sta nella capacità di operare quel punto di partenza da livelli differenti e nel renderlo irriconoscibile, fino ad acquisire la consapevolezza e la padronanza della sua stessa irriconoscibilità.
Si potrebbe proseguire nell’attribuzione dei diversi livelli che compongono, senza essere considerati tali, il complesso della costruzione poetica: la congiunzione della mano col foglio su cui scrive (rapporto del tutto viscerale, non paragonabile alla scrittura tramite tastiera, dove i parametri di riferimento sono altri, e difficilmente documentabili e misurabili), l’emissione vocale, la recitazione parziale o totale dell’opera, la consegna del proprio corpo come tramite, alla creazione e contemporaneamente al fruitore.
Tragedie, sogni e misteri II
…
(dimenami con ordine la sillaba
(prestami la parola che si addica: aulika; che sia forte o poeta
che ti copio come capita ora che il mio racconto è andato a
male come credo che succeda a un certo punto che sfugga la
pagina esatta il rigo la parola giusta da riscrivere in cima al
verso o da rimare con quella appresso; per imparare a scrivere
a macchina una buona volta con due dita e spaginare così a
caso dannunzio tragico per rubargli il rigo esatto la parola così
per massacrarla con due dita una buona volta IMPARARE.
Il viaggio di chi “si traduce” poeticamente apre porte, varchi, soglie e ferite di cui spesso si è inconsapevoli. E allora la ricerca poetica in qualche caso è rischiosa, perché può travolgere chi la compie.
Lamento dello straniero I
“ Un cielo così azzurro che apre la bocca e inghiotte polvere
mosche e strade”
(Vittorio Bodini)
ed un giorno mi diedi a distinguere
da quistu, quiddu, ma la conversazione
non dà alloggio, non rivela dov’è
la vera Serratura, se esista un dio Contrasto
…
Guardare dentro a un buco, dentro a una figura, mettere un foglio, con una figura e un buco sul proprio viso, sbirciare oltre. Un gesto singolare. Eppure è così, che Chi Scrive immagina Claudia Ruggeri. Un occhio della scoperta, che guarda ed esprime ovunque, anche, e forse soprattutto con il proprio corpo, il proprio totale abbandono alla scoperta del mistero che precede la creazione.
Ci sono cose che i documenti autografi e non, dichiarano solo tra le righe. Il dolore, il consumo psicofisico conseguente alla lotta coi frammenti in dispersione della propria personalità, i ricordi,la paura dell’ignoto,l’attesa-arresa a una nuova dispersione. Il Poeta cerca di continuo di recuperare questi frammenti, queste personalità che si smarriscono in luoghi sempre meno conosciuti, e di sempre più impegnativo raggiungimento.
Questo è, secondo l’avviso di Chi Scrive, anche uno dei motivi per cui nella Poesia di Claudia Ruggeri compare così spesso il riferimento alla figura del “monte”.
Questa è la soglia della Poesia: l’attrazione e repulsione nei confronti della pausa, dell’interruzione, del padroneggiare il vuoto-pieno sconosciuto dapprima espresso graficamente, e poi performato come canto.
La soglia è intesa come distacco temporaneo tra l’Uomo-Poeta, e il Poeta. La ricerca, una volta scoperto il meccanismo che attiva da essa la scoperta, irrompe di continuo non solo nella espressione artistica, e parallelamente nella vita dell’Uomo-Poeta.
E allora si cerca la tregua, la pausa, un dono, una comprensione all’interno di un fiume in cui domande e risposte sono simultanee e a cui, a quel punto, solo la stessa ricerca può dare risposte confortanti. Un fiume in cui il sentire, l’emozione diviene difficilmente padroneggiabile, con tutta la tecnica e la preparazione possibile.
Quello è il livello in cui la ricerca deve abbandonare qualunque tipo di interrogativo razionalmente formulato, perché l’interazione tra parola e sua forma grafica, tra parola e suono e poi ancora, tra opera compiuta e recitazione extemporanea e infine, tra performatore e fruitore, è questione che a quel punto non risponde a canoni razionalmente definibili ma a criteri di analisi che aprirebbero una maggiore comprensione, ma che il più delle volte non vengono presi in considerazione, o sono del tutto sconosciuti.
Da
il Matto I (del buco in figura)
Ma è soprattutto a vetta, quando buca,
dove mette la tenda e la veglia
tra noi e l’accusa, se ci rende la rosa
quando ormai tutto è diverso che fu
il naso amato, l’intenzione, che era
la pazienza delle stazioni e la rivolta…e la beccaccia
sta e sta sforma il destino desta l’attacco l’ingresso disserta
la Donna che entra e fa divino ed una luce forsennata
e nuda, e la mente s’ammuta ne la cima
e la distanza e sette volte semplice e il diavolo
dell’apertura; ecco, chiediti, come il pensiero sia colpa
…
Nel lavoro della Ruggeri la carta si presenta come un unicum con i contorni dello scriverci sopra:
Da
Pagine del Travaso
…
“scrivevo poesie per cavarne
intenzioni. così le tramandavo
per un destino cortese. ma l’Amuleto
funziona dopo secoli. intanto
sono passati e sono stati visti andarsene
a sinistra i pesci nella vasca.
non è l’ ultima volta
che ne descriverò il tono
d’amaranto. nel ceppo del celeste
…
Uniti questi elementi il respiro si fa profondo, mai atteso.
La sospensione dell’unione, anche temporanea tra elemento accogliente (la carta) ed elemento comunicante (l’apposizione materiale della creazione poetica, la scrittura), comporta una sospensione temporanea del sè.
Come quando non si ha realmente una casa, come quando si vive un disagio e l’unica cosa che si possiede è quella documentata (secondo l’avviso di Chi Scrive solo parzialmente), dalla testimonianza autografa.
Meriterebbe un maggiore approfondimento antropologico il rapporto tra parola, voce e canto, in relazione alle discendenze geografiche e alle commistioni culturali che ogni ricercatore della parola può incontrare nel corso della sua vita.
Due in particolare sembrano i modelli di riferimento più significativi nel percorso di Claudia Ruggeri.
Carmelo Bene, che canta anche lui la voce facendo suo il significato altro dell’emissione delle vocali-sillabe-contesto, esempio oltretutto di instancabile ricerca in questa direzione, influenza visibilmente il canto della Ruggeri, al punto da rendere volutamente ravvisabile la dedizione al personaggio come a quel tipo di ricerca.
Ricerca del tutto personale, del tutto rapita a se stessa, quasi incontrollabile nella sua evoluzione, e incosciente, nel mancare altresì di un modello concreto di esercizio dell’equilibrio tra i due aspetti del trascendente e di ciò che (non volerlo definire per principio “Reale”) dovrebbe renderlo sopportabile, costruttivamente condivisibile.
E Amelia Rosselli, il cui pensiero in relazione alla Ruggeri viene efficacemente riportato nella prefazione al volume:
Una problematica della forma poetica è stata per me sempre connessa a quel a più strettamente musicale, e non ho mai in realtà scisso le due discipline, considerando la sillaba non solo come nesso ortografico ma anche come suono, e il periodo non solo un costrutto grammaticale ma anche un sistema.
La ricerca di Claudia Ruggeri, complice la giovane età, subisce , assorbe completamente questi giganteschi modelli _Bene e la Rosselli_ di ricerca del profondo.
Modelli travolgenti, continuamente passibili di, lo ripetiamo, aprire varchi e nuove dimensioni nelle quali, è imprescindibile un minimo di conoscenza di fattori altri, che, senza andare troppo lontano, stimolano, proprio attraverso l’esercizio della respirazione,dell’espirazione dell’una o dell’altra vocale, l’emissione dell’una o dell’altra sostanza nell’organismo fisiologico ed espressivo irrobustendolo o rendendolo rovinosamente fragile.
Nella biografia di Claudia Ruggeri si documentano molti viaggi: in Turchia, nell’Est Europeo, in Polonia, Ungheria, Russia, India, Sri Lanka.
Molti, se non tutti questi paesi, hanno una signifativa tradizione musicale, laddove la musica ha un valore rituale-curativo, spesso strettamente legato all’uso della parola, che in Europa è riconducibile quasi esclusivamente al canto melismatico Gregoriano o ad alcune forme di canto popolare che solo l’ostinazione di pochi, grandi ricercatori, per lo più sconosciuti al grande pubblico, che ne portano avanti la memoria.
La ruggeri è venuta a contatto quindi, anche se in giovanissima età con territori il cui tessuto è profondamente influenzato da questo tipo di rapporto.
Volendo semplificare, si potrebbe risolvere la questione dicendo che “il destino della sua ricerca fosse in qualche modo segnato”. Volendo invece provare, ad aggiungere qualcosa alla lettura dell’opera, si potrebbe suggerire che il contatto con culture altre, così come quello con la cultura di provenienza, ha certamente influenzato, a livello inconscio, la direzione verso una precisa forma di comunicazione, che anche in questo caso investe suono e parola.
lamento dell’Uccello colpito
“ Vladimiro: Mi ricordo di un energumeno che tirava calci.
Estragone: E l’altro che tirava, te lo ricordi anche lui?
Vladimiro: Mi ha dato degli ossi.”
(Samuel Beckett)
cavami da le piume gli insulti lo sfrenio
la velocità indifferenziata che era danza
o salto, che ormai non muove semplicemente
mi rende probabile; la memoria finta da usare
come un nome, questa memoria insomma divina
indifferente di un calcio e di ossa, di un debole
dèmone mosso a pena a cerchio (leggero leggero
lo spirito ragazzino, e ciò sottile sottile
indistinto, destinato): Dedicato a Te questa morte
padula – ché sei l’Arteficiere -; impiegane
la festa, se pure alza l’Avverso10, lo cattura
C’è dunque il suggerimento di una probabile connessione tra suggestioni esperienziali, evoluzione della personalità e grande impegno umano alla gestione di tale propensione.
Palestina
“Y no echeré de meno ni de mas no l’impurtamcia si la circumstancia”
(Pablo Neruda)
questa che ora interroga, t’arrovescia
l’inizio; t’avviva a questo Inverso
cui un dio non corrispose; tu sei
l’oggetto in ritardo, l’infanzia persa
su tutte le piste, l’incrocio rinviato; sei l’amnistia
dell’idioma viaggiato; ma salve, la primavera
ti rassegna, di vòlta in vòlta carta
sveste percòte per cose fitte fitte
afflitte da memorie; t’installa nella voce
con un esercito a mille aste, e così
fortemente tu chiami e così ti legava
il tuo passo recente; dimmi se di uno Stagno
snidi l’Imperfezione, oppure le maiuscole
rimangono incredibli: sono le ‘nulle’
degli alfabeti in cifre, il segno
che non scatta, un ariele distratto. .
oppure sul tuo capo la Torre
capovolge; e con un salto dal basso
ti drizza: ma sei in un balzo (ma appena)
o nella capriola che prima t’agganciò
di passi; o c’è chi ti dà un Regno – una parola
d’Ordine almeno – insomma un esito una ribalta, come
si dice un tuffo; e forse una Città
dove rivolge l’ennesimo esodo
La vicenda umana e letteraria di Claudia Ruggeri è, come spesso accade, uno di quei fatti della storia, che senza la cura di chi ne porta avanti la testimonianza, passerebbe probabilmente in secondo piano rispetto ad altri ben più accessibili contesti.