VAIA / E-VENTO. La mostra d’arte di GIULIANO ORSINGHER
con la poesia di MASSIMO PAROLINI.
Reportage di Massimo Parolini
VAIA/E-VENTO
Nella notte tra domenica 28 e lunedì 29 ottobre 2018 venti fortissimi (un uragano forza tre) e piogge alluvionali si sono abbattuti soprattutto lungo l’arco alpino. Si è trattato di una profonda depressione transitata il giorno 29 sulle Alpi occidentali, che ha raggiunto un eccezionale minimo barico di pressione atmosferica capace di generare un vento di scirocco sull’Italia nord-orientale e di libeccio sulle coste tirreniche, di notevole intensità. E’ stata denominata “Tempesta Vaia“, ed ha abbattuto oltre quattordici milioni di metri cubi d’alberi, in particolare sulle regioni di Nord-Est, equivalenti a 40.000 ettari di boschi, con raffiche di vento che hanno superato i 200 km orari. Il nome deriva da Vaia Jacobs, manager di una multinazionale tedesca alla quale il fratello, come regalo di compleanno, aveva intitolato, pagando 199 euro più Iva all’Istituto meteo della Libera Università di Berlino, l’area di bassa pressione che si è instaurata alle nostre latitudini a fine ottobre 2018. La perturbazione è stata riconosciuta come la peggiore dal 1966.
Giuliano Orsingher, artista trentino che si occupa fin dagli esordi della sua carriera di un’arte che dialoghi con la natura, ha voluto nella mostra “E-Vento” (Castello di Pergine, marzo/novembre 2019) curata dalla critica Cristina Pagliaro (per conto della Fondazione CastelPergine Onlus) dare voce agli alberi schiantati dalla bufera Vaia, esponendo più di venti opere in legno e pietra. Le opere esterne sono state tutte realizzate con legno di alberi recuperati dopo la tempesta di fine ottobre 2018: un rito sacro, senza dubbio, di pietas e bellezza, condiviso da un lavoro collettivo di una Comunità. L’artista ha trascorso varie settimane nei boschi del Trentino cercando fra le piante divelte, le radici sradicate, aggrappate in un groviglio ai sassi, fra alberi schiantati, esuli dalla loro verticalità oltraggiata: li ha scelti e poi curati, decorticandoli, pulendoli, deponendoli nel proprio spazio artistico autoptico, tanatoestetista che prepara le salme per l’ultimo, estetico, saluto, dopo la loro morte violenta, per accompagnarli al trapasso lieve esponendoli in un rito di condivisione con l’umano. Ne sono nati i Sassibridi, i Xilopolipedi, le Ventose, la Pandemia bancale, e molto altro. In cima alla Torre di Guardia del Castello è stato esposto un grande abete rosso capovolto (Antiorigine), con le radici rovesciate in alto, quasi un’invocazione metafisica al trapasso nello spazio sacro della pianta martoriata.
Vaia: lamento per lo schianto (di Massimo Parolini)
«Ahi ! Le tormente si sono abbattute su tutto il paese;
la violenta bufera celeste, la bufera rombante,
la triste bufera ha imperversato su tutto il paese.
La bufera che distrusse le città, la bufera che distrusse le case;
la bufera che distrusse le stalle, la bufera che distrusse gli ovili;
(la bufera) che ha impedito i riti sacri,
che ha rovesciato con mano profana l’altissimo consiglio”.
Dal sumero “Lamento per Ur”
Zolle, solchi, cuore vangato
dalle ore rugose, muschi morbidi,
licheni sparsi, viluppi di rametti
ad igloo, anelli di albero mozzo,
cortecce svuotate, cataste di legni violentati…
mormora un sibilo arido in lontananza
sale la marea nella laguna
scappano fiumi e torrenti dilamano i versanti dei monti
-il vento sta lievitando- e voi sentinelle antiche
non vi muovete non siete preoccupate:
avete visto milioni di albe strazianti
e crepuscoli di eserciti, di imperi, di dei,
avete donato l’ombra accogliente
ma ora… è lo schianto… e voi
solamente piante disossate dall’urlo uragano,
svanenti sembianze di radicamenti centenari
o forse costole di un respiro universale
che riconsegnano alla terra
il proprio diritto al fondamento?
Evanescendo lo scintillìo
nel derma verde dell’anima mundi?
Sublime: l’ultimo barlume sugli alberi agonizzanti
coglie il loro sgomento:
alcuni, abili a piegarsi, resistono al vento, come titani;
altri, patriarchi, chiudono le radici a pugno
confusi in questa fine di infinità…
milioni di pagine aperte… di nudi cuori di legno…
e non ha fine questo finire
pensano a uno scherzo:
in fondo il vento li ha accarezzati a lungo
sulle guance di corteccia in questi secoli dei secoli
roteando le sue danze selvaggiamente
li ha schiaffeggiati, sì, anche sferzati,
ma questa ferocia inaudita che leviga le ossa della terra
apparteneva solo all’uomo alla sua sega che rode rauca
alle sue lame di metallo reboante
Cosa hai udito? Un tonfo…
La mia pianura rigogliosa si è inaridita come un forno screpolato.
(“Lamento per Ur”)
Si è rotto l’incanto…
Cosa resta? Dita spezzate
nello schianto. E millepiedi giganti
incapaci di fuga…
inermi ragni di legno con le zampine all’aria…
questa è la dimora del vento.
Cosa vedi? Opliti caduti… crocifissi alla terra…
una selva che il turbo trascina…
gli abeti i larici i pini
le querce i faggi gli ontani
i carpini gli aceri i cirmoli
I frassini i tigli i noccioli
gli olmi e la bianca betulla:
fiammiferi di un domino rovesciato…
frecce adagiate nei campi di battaglia…
bastoncini di uno shangai dimenticato…
chi è stato? una mano misteriosa?
Il capriccio degli dei? Un castigo di peccati?
Un’apatica natura matrigna?
La sega silenziosa in falangi xilofage
di coleotteri arcigni?
Il caso?
-risponde l’eco del tragico greco-:
Molte le cose
mirabili, ma di tutte
più tremenda e ammirevole è l’uomo.
(Sofocle, “Antigone”)
Cosa tocchi?
Militi ignoti martoriati riemersi nella dimenticanza
sentinelle inanimi divelte dalla fossa delle proprie radici
oscenamente rivolte come un sesso al cielo
Cosa senti? Solo una silenziosa resistenza e resa
Chi fu in questo urlovento
a sbarbare le selve a disperdere i nidi?
Che grida, Natura, il tuo messaggero
all’uomo urogallo nel suo avvertimento?
I cerchi degli alberi si sono interrotti…
non getteranno più le braccia al cielo…
nella tenda dell’abbandono
dove troverà, ogni ala, dimora e cura?
Chi sentirà tambureggiare il picchio
ossesso a scavare il foro di un nido?
O un becco che estrae insetti da cortecce?
Dove vedremo il guizzo acrobatico
della coda scoiattola che nasconde le pigne
con precisione geometrica?
E il “cras cras”del corvo
sarà profezia agli umani di un “domani domani”?
Or lost in the crash?
Ogni poesia verde si è persa nello schianto
è una pagina di clorofilla prosciugata dal vento…
ogni pianta è rimasta sola nella caduta
nell’ultimo inchino alla vita:
un bimbo sulle mammelle
della terra predisposto a rientrare nel grembo…
All’imbrunire ho udito il bramito di un cervo
un balbettìo d’amore spaesato
senza confini da signoreggiare…
Addio alla foresta Stradivari
addio agli abeti di risonanza…
la corda celibe di ogni violino
silenzioso è un lamento senza suono:
ed è per noi
che rimanendo
ce ne andiamo