Versi mistici di un non credente, di Daniele Barbieri.
Andiamo a trovare Dio
andiamo a cercare Dio, ci sono volte che troviamo
qualche cosa che assomiglia al nostro Io fondamentale,
altre volte non c’è nulla, e non cogliamo che magari
è proprio quello Dio, un nulla vuoto che alita senso,
altre volte ancora un libro un dipinto un suono una musica
ci appaiono la via rapida per cogliere l’essenza
che altrimenti ci sfuggiva, e sta seguitando a sfuggirci,
andiamo a trovare Dio contando che il nostro cercare
ci restituisca Dio, quasi reclamando un diritto,
la facoltà di appoggiarci al potere
***
Che ci liberi di Dio
preghiamo Dio che ci liberi di Dio, disse una volta
il mistico, e non finì bruciato soltanto perché
era un priore potente, e se io non fossi
non sarebbe neanche Dio, e se io non fossi, Dio non
sarebbe Dio, perché io sono la causa originaria
dell’essere Dio da parte di Dio, e non era folle,
solo sapeva pensare, e vivere nel paradosso
di Dio
***
Da quando Dio è in noi
da quando Dio è in noi oppure in nessun luogo, tormentiamo
i luoghi che non ci sono per avere la certezza
che non contengano Dio, così che solo nello stomaco
nelle circonvoluzioni del cervello o nel reticolo
bituminoso del sesso nascondere Dio si possa
(non crederemmo mai che abbia dimora tra mani e piedi,
tra bicipiti e polpacci, ginocchia gomiti e scapole)
potrebbe ancora abitare nel cuore, sede che in altre
epoche sarebbe stata felice, ma è oggi solo
un muscolo poco nobile, noioso, fuori moda,
Dio non metterebbe casa in un organo così semplice,
sarebbe come concedere che siamo più complessi
noi di lui, e ribaltare il verso dell’adorazione
***
Alla domanda Ma esiste Dio
alla domanda Ma esiste Dio il Buddha non risponde,
la domanda era sbagliata, ogni risposta convalida
l’errore sempre di più, il Buddha lo spiega ai discepoli
il giorno dopo, a Sarnath, dove rimane il ficus sotto
cui il Buddha insieme a loro sedeva, come se avesse il
Buddha letto Kant, e sono questi i miei pensieri sotto
l’abbraccio di quel medesimo albero sacro, il silenzio
solo le foglie lo increspano, quasi ad essere ancora
il suono della sua voce
Il senso di una poesia scarna ed argomentativa, il verso spezzato, quasi colloquiale a nutrire il senso del dubbio