Versi smorti di Stefan Damian, Ed. Nemapress, un’anticipazione di Enzo Santese: uno specchio di trasparenze introspettiche.
Nato a Hodos-Bodrog in Romania, dove attualmente insegna letteratura italiana all’Università di Cluj, Stefan Damian è un analista attento della produzione letteraria del suo paese e dell’Italia; ha pubblicato diverse opere saggistiche, narrative e poetiche sia nella lingua d’origine che in quella di studio. Ora l’editrice Nemapress di Roma sta per pubblicare la nuova raccolta di liriche, che l’autore ha provocatoriamente intitolato “Versi smorti” come se mancassero di quella luminosità capace di renderli vivaci nella concatenazione di parole, concetti e proposizioni giocati su un ritmo pacato e uniforme. In realtà la sua poesia è un mare calmo le cui minime increspature di superficie denunciano la presenza di correnti di profondità che si scontrano, si amplificano, si acquietano in maniera direttamente proporzionale all’intensità del pensiero che focalizza di volta in volta un aspetto della realtà, così come il poeta la percepisce nella sua coscienza.
La citazione iniziale di Eugenio Montale (da Potessi almeno costringere della silloge “Mediterraneo”) è una sorta di innesco per una spinta ulteriore verso la fusione tra paesaggio interiore e fisicità dell’esistente, nella sintesi di una poesia che è essenzialmente scavo introspettivo anche quando lo sguardo sembra aprirsi a orizzonti lontani. Perché su quella linea si trova idealmente Stefan Damian con la leggerezza di una cultura che attinge a piene mani alla tradizione letteraria italiana dove egli, traduttore di rilievo, in più occasioni ha avuto modo di entrare col peso della sua sensibilità di intellettuale di cultura ampia e raffinata.
Nella poesia si manifesta la tensione tra polarità opposte e, proprio nel carattere antinomico di questi collegamenti, si consuma la cifra più cospicua del poetare di Stefan Damian. L’indagine autobiografica poggia su uno scavo dai molteplici riflessi psicologici: qui l’autore di Cluj non prospetta soluzioni, lascia semmai aperte alcune problematiche nelle quali il lettore sembra invitato a entrare con la cifra sua personale, quasi in un ingaggio interattivo.
La metafora è combustibile primario di un processo creativo, sospinto talora ad approfondimenti vertiginosi, talaltra a sospendersi su un crinale da una parte del quale c’è il suo mondo interiore, dall’altra la fisicità del reale. La vita è concepita come un viaggio in treno con molte stazioni di passaggio (gli snodi essenziali del vissuto) e quella conclusiva d’arrivo. E quando senti il fischio / del conduttore celeste / il treno / per lunghi anni atteso / è già aldilà della curva.
La scrittura di Stefan Damian si distende su due registri diversi: da una parte la forza di una finezza espressiva adibita a dare corpo a immagini, pensieri, sentimenti che promanano dalla realtà viva del quotidiano; dall’altra una venatura ironica e autoironica che per sua natura sfugge alla retorica del dire e invece si innesta in una necessità esemplare di smorzare le punte drammatiche del vivere stemperandole a tratti in un sorriso, che non sminuisce per nulla la serietà della riflessione. Erravi per l’Asia / insieme alle anime musulmane uccise / dalle bonbon a grappoli americane / che sbagliano il Profeta / e uccidono / solo i suoi fragili figli armati.
La poesia è un mosaico cangiante di periodi che mostrano un ricco campionario di opzioni compositive, conformi di volta in volta a stati d’animo di inquietudine, serenità, nostalgia, distacco, partecipazione, rabbia ed entusiastica aderenza all’esistente.
Efficace è la duttilità con cui adatta il tono espressivo al carattere dell’evocazione o della costruzione immaginifica, in un andamento che pare a tratti procedere in modo sincopato, per ricomporsi poi nella musicalità del ritmo.
La predisposizione dell’io poetante rispetto alla realtà comporta l’utilizzo di un linguaggio diaristico e colloquiale, talvolta prossimo alla prosa. L’adesione concreta ai frammenti del vissuto, cioè agli “attimi” come li definiva Vittorio Sereni, lo collocano singolarmente accanto al Montale delle “Occasioni”, su una scena dove mette a nudo una parte della sua riservatezza, dove è possibile rinvenire il contorno deciso di una fisionomia di uomo e di poeta che ha il coraggio di bucare il diaframma dell’ipocrisia diffusa per essere pienamente se stesso e, quindi, ben riconoscibile. Anche perché sa che la neutralità / (è) un limbo / da dove non c’è possibilità / di evadere. E.S.