Vocazioni, editoriale di Paolo Polvani

Vocazioni, editoriale di Paolo Polvani.

     

     

Il mio professore d’italiano al liceo si diceva fosse un avvinazzato, il  naso rubizzo  catturava l’attenzione di chiunque prima di ogni altro aspetto della sua persona.

Non ha mai interrogato, probabilmente preferiva non esplorare la voragine di ignoranza che a giusta ragione sospettava in ognuno di noi.

Raramente spiegava.  Entrava in classe, si sedeva e apriva la Divina commedia.  Attaccava a leggere senza che nessuno lo ascoltasse.  In realtà non leggeva, accarezzava le parole, le sorseggiava, gustava ogni verso come se si trattasse di una cosa squisita. A distanza di 40 anni e più mi ricordo ancora la sua espressione nel momento in cui pronunciava:  i fianchi opimi.

Nessuno lo degnava di attenzione per almeno mezz’ora, ognuno era intento agli affari suoi, copiare gli esercizi di matematica per l’ora dopo, leggere il giornale, fumare una sigaretta, uscire per una passeggiata.

Ma dopo quella mezz’ora in classe fiorivano aree di silenzio disseminate lungo i banchi e gradualmente il  silenzio prendeva il sopravvento, si spengevano gli ultimi brusii, si schiacciava la cicca sotto il banco,  e  oltre che regnare il silenzio diventava religioso.

E anche noi, o molti di noi, prendevano a partecipare a quel godimento, ne rimanevano incantati.

Che cosa ci ha trasmesso quel professore avvinazzato? la data di nascita di Dante? la sua biografia? no, ci ha trasmesso la sua passione per Dante e per la poesia, e ci ha contagiati per sempre, ancora adesso tra i miei desideri c’è quello di riprendere in mano la Divina commedia e rileggerla tutta.

Perché la passione è contagiosa, e posso affermare che quel professore ha contribuito realmente alla mia educazione, che significa tirare fuori, avere la pazienza di portare alla luce il buono che c’è,  in questo caso l’amore per la poesia e la ricerca del bello, che costituiscono una delle ricchezze più incredibili che possediamo:  non comportano rischi di svalutazione né di patrimoniali, hanno costi bassi e regalano orizzonti illimitati e panorami che nessuna crociera potrà mai offrire.

Mi è tornato alla mente questo antico ricordo perché anche Claudia Zironi mi ha contagiato con la sua passione, e ho deciso di collaborare volentieri, perché la passione  comporta che per la prima mezz’ora nessuno ti dà retta, ma poi  ti si appiccica addosso e ti cattura.

Penso che sia questa la vocazione del  progetto di Versante ripido,  bruciare di passione per la poesia, proporre  testi nei quali  il fuoco di questa passione si spinga fino a  contagiare i nostri eventuali,  presenti e  futuri  lettori.

    

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Foto di testata: Paolo Zanardi 021 – Parma, gennaio 2006

2 thoughts on “Vocazioni, editoriale di Paolo Polvani”

  1. La bella storia che Polvani ci ha raccontato è davvero illuminante. Tutti sappiamo quanto un insegnante privo di passione, anche se molto preparato nella sua disciplina, non riuscirà a trasmettere la sua conoscenza. La passione non è un valore riconosciuto formalmente. Mi spiego con un esempio: nei concorsi non esiste un accertamento della passione ma solo della conoscenza. Sappiamo bene che una persona appassionata ha una grande capacità di comunicare, e se carente nella conoscenza, è in grado di recuperare velocemente mentre una persona preparata ma immotivata non è in grado di adempiere bene il suo compito formativo e tanto meno di ‘recuperare’ in passione… Maria Rossi

  2. Ma vedi che caso. Il mio professore, che ci faceva leggere Rimbaud invece di Pascoli, un giorno venne in classe con un leggìo, un paio di guanti di lattice e una borsa di pelle nera. Sistemò il leggìo, s’infilò i guanti ed estrasse dalla borsa una copia antica della Divina Commedia. La aprì in modo sacrale e cominciò a leggere la prima cosa che gli capitò sotto gli occhi. Dopo un minuto si fermò, ci guardò e disse: “Non sentite che differenza, leggendo da questo libro? Non sembra di suonare uno Stradivari invece di un altro qualsiasi violino?” Non fu questo (né Dante) a farmi ingoiare dalla poesia: lo ero già. In quel momento Franco Colombo, il mio professore, mi diede un’ulteriore conferma di quanto avevo intuito: la poesia modifica i tuoi assetti cerebrali e sei tu a risuonare, come uno Stradivari, o come un qualsiasi altro violino.

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