Voci dal canto generale di Marco Ribani, Kammeredizioni 2016, note di lettura di Paolo Polvani: se la coperta dell’egoismo è troppo corta.
In foglie d’erba di Witman alcuni versi introduttivi, da Dediche, così recitano: Il primo passo, ripeto, mi colmò tanto di gioia e stupore, che quasi non mi sono mosso, né desidero procedere oltre…
Sensazione analoga ho provato nel leggere le prime poesie da Voci dal canto generale, di Marco Ribani, le poesie iniziali, quelle raccolte nella sezione Cantate per la vecchiaia. Perché mi piaceva tornare indietro, cercare un dettaglio della cucina di Lella, donna gigante dal viso gentile, quella che è un po’ santa, che salva la vita molto più di quei preti
– che si danno la spocchia / Ci vorrebbe una Lella in ogni parrocchia -.
Perché mi piaceva osservare i cani che si svegliano presto e chiamano i padroni, e li trascinano nei giardinetti, e appostarmi anch’io alla finestra e partecipare al rito della vecchia tutta dignitosa che ha fatto il giro del mercato con la sua brava lista e ha raccolto, tra i rifiuti, otto foglie d’insalata gentilina, due pesche con le mosche, due zucchine per metà malate, fino a quando ha ripreso a camminare dritta come un fuso, con la sua borsina piena di residui, di scarti, e noi pieni di commozione.
Vedere in quale portone abita la vecchia piccina piccina che dalla finestra chiama il suo Giorgio in un grido senza disperazione – che se poi lui ritorna si litiga finalmente -.
Ci racconta Marco che queste poesie sono nate quando abitava in casa di sua madre:
– Questa casa aveva le finestre sul mercato rionale e da lì osservavo la gente, prevalentemente anziana, da cui ho ricavato questi ritratti -.
Queste poesie ci confermano nell’idea che la poesia è la capacità di uno sguardo che abbia in sé la forza di un abbraccio, che chiami all’adunata i sentimenti d’empatia, di vicinanza, che prenda per un orecchio l’indifferenza e la sbatta fuori dalla porta, che sappia soffermarsi sulle minute difficoltà delle persone, sui loro quotidiani affanni, e li accolga dentro le parole con la grazia della poesia, lasciando fuori ogni giudizio, lasciando nessuno spazio all’invettiva o alla retorica dei sentimenti, ma semplicemente registrando i minimi accadimenti che la cronaca di questi anni ci ha in abbondanza regalato.
E’ una registrazione fedele di quanto l’esperienza di molti di noi ha potuto verificare, efficace più di tanti servizi giornalistici e televisivi, è la restituzione, in forma poetica, di quel sentimento forte di empatia che le ferite della crisi hanno suscitato. Il verso lungo veste alla perfezione queste storie di dignità calpestata, il lessico colloquiale è perfetto per disegnare figurine ammaccate dai tempi, messe ai margini da un sistema che predilige la finanza, il profitto, e non prova pietà, e soprattutto vergogna, davanti alla vecchina a caccia di foglie d’insalata malmesse, ma buone per tirare avanti. Ecco che la pietà, la vergogna, la prova il poeta, e cerca di riparare ai danni rimettendo al centro della scena la minima umanità calpestata, regalando attenzione, tensione, indignazione.
La sezione successiva, Le voci erranti, riparte dalla stessa visione delle percosse che la situazione attuale non risparmia, ma le affronta in chiave attiva, con tutta l’energia di una rivolta:
– Gli spazi desideranti sono morti. Perché solo il volere ancora è calce viva -,
perché è compito della poesia cospargere di parole le ossa bruciate da miserie e desideri. Si susseguono paesaggi di nubi violacee e di dolcissima pioggia, di fabbriche con i giorni tutti uguali dove qualcuno trova la forza di sentirsi contento, al sicuro, e di morti bianche, che invece sono le più sporche. E infine la rivelazione, la lente della poesia che riesce a scovare la bellezza:
Il miracolo di questa vita tutta stropicciata
sgangherata è un miracolo che non è di lampo
viene da una poesia che deborda dalla pentola…
Ecco che nel cavo della mano si trova tutto quello che la guerra gli ha lasciato: un pezzetto di benda, un grumo di sangue e una zolla di terra, ed a fatica riemerge dal suo sonno. In questa sezione si trova una delle poesie più belle dell’intero libro:
Adesso sai che una piccola parte di te
dipende dAll’allineamento dei pianeti
adesso che voli nella nebbia e nell’aria sporca
adesso
che voli sui ghiacciai sulle città sui deserti
adesso che niente può salvarti e niente può raggiungerti
ti accorgi che nel disastro il futuro è sempre lì a sorriderci
nel disastro il futuro era sempre lì a sorriderci
Appunto
Non è la sola a colpire per creatività e bellezza, sono tutte poesie che si lasciano leggere come fossero vino buono, che soddisfa, che dona gioia: Conosci l’opera traboccante della gioia ? è il verso iniziale di un altro piccolo gioiello, i cui versi finali sono di altezze incredibili:
Persino questo lutto è la nostra felicità e quindi bacio
le tue mille scintille
e ci vedo il tuo volto perché sei tu la parola scintilla.
Riporto un brano da un’intervista a Marco Ribani apparsa su Versante ripido di alcuni mesi fa, in cui parlava della genesi delle Voci dal canto generale:
– Allora posso dire che in questo quasi anno, ho fatto poesia restaurando i muri di una casetta, verniciando recinzioni, curando un giardino. Ho amato animali e piante, ho cantato con il vento, sopratutto quando muove le cime degli alberi. Ho sperimentato gong tibetani battendo cucchiai sui coperchi delle pentole. Ho costruito bastoni della pioggia con tubi di plastica per gli scarichi. Ho molto ascoltato. Ho letto. E ho badato bene a essere vivo. Ho pianto, ho riso, ho toccato, ho gustato, ho visto, ho annusato, ho udito. Alcuni di voi diranno: Che palle questo qua, sta qui a dire cose risapute, cose ovvie. E qui sta un primo punto: Questa vita, già tutta programmata, prevista. Questi gusti preconfezionati. Questi ruoli stereotipati dal gioco a guardie e ladri, ma anche del banchiere e dell’anticonformista. Ma quanto ovvio dobbiamo scrostare per trovare noi? Io sono un poeta dell’ovvio. I miei versi ritornano sui miei passi. Mi piace trovare poesia nel non visto, tra le righe del già detto.-
E’ nelle Voci dal canto generale che la poesia raggiunge l’apice della bellezza. Qui il racconto non verte sulla quotidianità, non investe gli accadimenti minimi, le vicende del quartiere, o della fabbrica, e tuttavia li supera e li riassume, diventa domanda che riguarda il senso stesso dell’esistenza. Perché migliaia di domande ardono sottoterra, e la luna piena è un viso di donna, è un enorme occhio aperto, è una ragazza misteriosa e azzurra, ed è lì per raccogliere domande. Chi è che fa le domande? E’ una bambina, da ore, attraverso un pertugio, e non sa che il vento reca in sé il fiato della folla dei morti; le domande le fa una donna che si chiede se la morte non sia come un nero sipario.
– Dunque! E’ tutta qui la vita ? –
Guarda la luna anche un vecchio che ha un canto cucito nella gola. La guarda un ragazzo che questa notte fugge:
Il ragazzo sente la povertà del sogno che porta nelle tasche.
Sente che deve formulare una grande domanda
E la luna finalmente risponde:
– Prendi questa vita questa. Che è tua.-
e ancora, più avanti:
…Mettiti in cammino e canta. Che sia un canto
Che sia un canto
che chiama la terra che chiama la madre
che chiama noi fratelli che chiama il fuoco che chiama il fiato
che chiama la terra la madre i fratelli il fuoco il fiato
Non sa che quel canto aprirà una larga e fertile ferita
nello splendore della miseria.
Il passo si fa epico grazie all’artificio del verso ripreso e ripetuto, che conferisce un tono da coro tragico, una sottolineatura che rende i versi luminosi e illuminanti, come in questo passaggio:
Dice che i territori nemici non esistono
e che il mantello dell’egoismo
il mantello dell’egoismo
è troppo corto per proteggere l’umanità e che non c’è
abbastanza luce per illuminare criminali e innocenti
I versi di Marco Ribani portano alla ribalta la poesia del fare, la poesia come manifesto e programma politico di ampio spettro, una poesia che chiede e dona luce, che non rinuncia a dichiarare la propria meraviglia, lo stupore e la gioia di essere vivi:
– Come è possibile che tu non pianga quando respiri? Non ti fa male il cuore quando fa giorno?
Perché la bellezza è a volte soffocante, per chi sa riconoscerla nel vento, negli alberi, per chi la scopre nelle minime cose, negli accadimenti infiniti che ci riguardano, per chi sa rivelarla, perché anche noi, come le foglie, abbiamo bisogno di una luce che ci alimenti e ci trasformi. E’ una poesia concreta, direi persino pratica, e lungimirante nella sua vivida atmosfera:
Si faccia allora avanti chi sa fare il fuoco
Si faccia allora avanti chi sa crescere il grano
Si faccia allora avanti chi sa come si ottiene la farina
Si faccia allora avanti chi sa lievitare l’impasto magico e vitale
E con il fuoco il pane. E con il fuoco il pane. E con il fuoco il pane
Cominciamo da qui