Wunderkammer di Carlo Tosetti, Pietre Vive ed. 2016, nota di lettura di Luigi Paraboschi.
Forse nessuno dei miei pochi lettori sarà tanto avanti con gli anni da ricordare un personaggio televisivo del lontano 1956, il prof. Marianini, laureato in filosofia giurisprudenza e diritto canonico che sbancò il telequiz più famoso di allora, il Riskiatutto, con una serie di vittorie sull’argomento “costume e moda“, affascinando i telespettatori per i suoi modi gentili, educati ed anche estremamente snob, che, nell’Italia di allora, a dieci anni dalla fine della guerra, illudeva molti di noi ad avere accesso ad un mondo sofisticato, apparentemente elevato ed acculturato, irraggiungibile per la maggioranza.
Vi domanderete per quale ragione ho fatto tutto questo preambolo.
Devo confessare che alla prima lettura di questa raccolta di poesie dal titolo “ Wunderkammer “ ( la stanza delle meraviglie ) ho avvertito un lieve senso di fastidio nei confronti di versi che al primo impatto mi apparivano stucchevoli, ma poiché con gli anni ho appreso che spesso la fatica è necessaria se si vuole capire ciò che un poeta intende dirci, mi sono costretto a rileggere più volte e con lentezza, quasi assaporandola, questa raccolta- e qui mi aggancio a quanto ho scritto nel preambolo su quell’eroe del Riskiatutto – perchè accostando i due personaggi mi sono fatto un’idea più precisa di Tosetti.
Anch’esso, come il professore Marianini, è qualcuno che stupisce il lettore per il suo linguaggio, per la scelta ideologica che compie sui testi, ma soprattutto per la capacità di astrazione e per la profondissima cultura, e che cerca rifugio dentro un mondo di fantasia che è corretto identificare con la parola “ stanza delle meraviglie. “
Come chiarisce Antonio Lillo nella sua prefazione si chiamavano in tal modo alcun costruzioni edificate all’interno di case nobiliari tra il XV ed il XVI secolo dentro le quali si raccoglieva una miriade di oggetti rari, misteriosi e favolosi, che erano “alcune delle tante chiavi necessarie a comprendere la nuova realtà che, con fascino e terrore, si spalancava davanti ai loro possessori attraverso l’esplorazione, l’arte, la scienza e i primi scismi religiosi.”
Si poteva trattare di “oggetti che potevano avere alcune qualità-aberrazioni che le caratterizzavano : animali esotici e deformi, esemplari unici di piante e frutti, opere dell’uomo quali reperti archeologici o esotici, manufatti di opera d’arte, manoscritti, spartiti realizzati con tecniche o materiali preziosi o tali da nascondere messaggi in codice da decifrare “
Mi riallaccio, dopo queste brevi righe della prefazione ad altre successive nelle quali Lillo afferma : “I collezionisti, spesso affetti da una forma particolare di melanconia, …spendevano anche ingenti somme di denaro, veri e propri patrimoni, talvolta si indebitavano per accumula-re tali frammenti di una verità più grande, che sentivano incompleta, strappata, e cercavano a loro modo di ricucire.“.
L’autore in una intervista di qualche tempo fa si è definito “appassionato di “naturopatia”, scienza della quale su Wikipedia viene data questa definizione: E’ un insieme di pratiche di medicina alternativa. Essa dichiara di avere come obiettivo la stimolazione della capacità innata di autoguarigione o di ritorno all’equilibrio del corpo umano, denominata omeostasi, attraverso l’uso di tecniche e di rimedi di diversa natura, oppure attraverso l’adozione di stili di vita sani e in armonia con i “ritmi naturali”.
Alla luce di quanto sopra a me sembra che Tosetti sia approdato alla poesia allo scopo di conseguire un equilibrio interiore che sia in armonia con i riti naturali. E come lo manifesta tale equilibrio?
A mio parere lo fa servendosi della raffinatezza di un cultura di altissima qualità che gli permette di prendere le distanze da quella che spesso si può definire “poesia di pancia“ e che in abbondanza si riscontra di questi tempi, e costringe sé stesso ad usare strumenti verbali raffinatissimi ed eleganti che danno alla sua poetica una veste che non si riscontra molto spesso.
Non parla d’amore, non si lamenta di pene e di sofferenze esistenziali – senza per questo lasciarsi andare a riflessioni entusiastiche sul mondo e sulle sue sorti- ma si serve di questa “stanza delle meraviglie“ per lasciarcene socchiudere appena la porta d’ingresso e permetterci così di afferrare qualcosa di un mondo in cui la sua attenzione sembra essere attratta dai misteri della vita fisica degli esseri più invisibili , come sono certi invertebrati, o animali spesso ignorati dalla poesia ufficiale, ed anche fatti spesso sommersi dall’oblio.
Si rimane affascinati nella lettura quando egli, già dalle prime pagine, immaginando sé stesso come il sig. X, ci conduce dentro un mondo nel quale non solo si pensa “circondato di cubi verdi fluttuanti e fluorescenti, ma di essere lui stesso siffatto“, e questa espressione mi ha rimandato al lungo racconto di Kaka “ le metamorfosi “ nel quale Gregor Samsa si sveglia un mattino e si accorge di essere diventato uno scafaraggio.
Il risveglio del nostro autore è accompagnato dall’affluire dei ricordi dell’infanzia che “lo contrassegnano e lo plasmano“ come egli scrive, e sono più che convinto che nella sua mente si sia depositato un coacervo di gite, incontri, parole, persone, contatti con la natura, scoperte di fiori e funghi, parco giochi, libri di casa, visioni di statue come quel San Sebastiano trafitto dai colpi di frecce, antiche civiltà sepolte e riapparse con il risveglio, descrizioni di popoli lontani dalle abitudini misteriose, dando origine ad una congerie di immagini che hanno contribuito affinché Tosetti fosse capace di metabolizzare il tutto, passando attraverso un grandissima base culturale e di studio, di costruirsi la sua piccola ma interessantissima Wunderkammer nella quale cercherò di condurvi.
Onde evitare giudizi frettolosi e superficiali in merito alla scrittura che in altre parti può sembrare eccessivamente scientifica , vorrei invitarvi a rileggere più volte i versi di questa poesia che si trova in apertura della parte “artificialia 1“ e scoprirete, ne sono certo, la perfezione della sua struttura lirica anche solo in quei tre verbi “balugina – s’agglutina – defluisce“
Rotola un riccio sulla provinciale,/balugina sfatta la foglia//macerata nel guazzo/
/e quest’anno i castagni/ si mormora sterili./L’umido s’agglutina/dolcemente alle ossa,/il fiato tuo defluisce/in un rivolo fino alla falda/e berremo noi l’inverno,/tutto a primavera
E’ una scrittura condensata, sintetica, nella quale le immagini sembrano affluire come fossero dei flash nella memoria, ed infatti in una successiva dal titolo “ricordare“, egli conclude quasi a sottolineare quanto i ricordi costituiscano la crosta che avvolge la memoria:
“nemmeno un ricordo/avulso ci è dato d’avere“
La memoria sembra avvolgere ed amalgamare ogni ricordo che trasforma nella mente dell’autore l’ attualità di quegli oggetti e li trasfigura quasi in “vestigia“, come qui di seguito
Gli ammennicoli caduchi//costruiti dall’uomo,//anche la sedia Brno//e la maestosa Bagan,/se abbandonati s’acquattano,/invincibili e cheti/come i giochi di latta,/desistono plastici/da ogni intenzione,/per divenire vestigi.
Sono “ammennicoli“ anche le cose che un tempo hanno avuto gloria o successo, il tempo li corrode e modifica la loro parabola discendente in cui “la loro vita è frutto del caso del declinare di atomi ad essi favorevole“.
In questo mondo siffatto non c’è spazio per gli dei che “volano e sprofondando nelle viscere della terra, scorrazzano indistintamente nel regno dei vivi ed in quello dei morti, incarnando il peggio dell’umanità,
ed essi
Pur promulgando saldissimi principi di giustizia (essendone i detentori), nonché possedendo ed elargendo saggezza(alimentata dalla possibilità del prevedere, affrancati dalle pastoie del tempo), praticano e favoriscono assassinii efferati, stragi e stupri, liberano l’incoscienza e l’irruenza della cieca gioventù, guardano alle giovani ed alle ninfe quali succosi frutti da cogliere.
Una poesia come la seguente:
Bruciammo lanterne cinesi,/ma una scampò ed i venti curiosi,/che tagliano e irridono tavolieri e gole,/verticali s’annodano intubati/e sbocciano dall’occhio corolle
/immani e imbronciati solinghi/un raggio infilano ognuno,/sazi mirando il proprio cantone,/per tanto daffare s’addormono/e lei galleggiò fino ai mari incoscienti,/ché la videro spiriti forse satolli.
è occasione per riflessioni in prosa di questo tipo
la lanterna cinese che sopravvive ad un giorno ventoso/non dispone d’un motore divino, che ne alimenta innaturalmente il combustibile e ne modifica la parabola discendente (ontologicamente prevista); la sua inconcepibile «vita»è frutto del caso, del declinare di atomi ad essa favorevole.
da ciò credo si possa ricavare la posizione laicista del poeta che non indulge a sentimenti di tipo trascendente, ma sottolineare una linea naturalistica, oserei dire darwiniana non priva in ogni caso di partecipazione passionale, come in questi versi
Mai vivrei d’una esangue passione/come racconta l’Affetto di Parise (i Sillabari descrivono l’essenze,non vi è spazio per l’interpretazione).Mai vivrei d’una passione slavata,sicché m’incrosto – solo –nell’esistenza appassionata.
Il libro è ricco di inserti come quelli appena riportati di carattere prosastico, ma sono tutti necessari per comprendere meglio una scrittura raffinatissima e ricca di rimandi filosofici, alcuni anche solo di cronaca, come quando parla del disastro ferroviario di Balvano avvenuto nel 1942 in Basilicata nel quale persero la vita oltre 600 persone, o quando rievoca la battaglia della Nikolaevka del 1943 nella 2a guerra in cui perirono 40.000 soldati italiani che ruppero l’accerchiamento dell’armata rossa per cercare di salvarsi e tornare a casa, o quando rievoca la battaglia di Trafalgar in cui l’ammiraglio Nelson vinse ma perse la vita.
Ma che egli “si incrosta solo nell’esistenza appassionata“ lo rileviamo anche dal passo in prosa che segue, lungo ma esplicativo della sua attenzione alle cose minime e dal quale si deduce che se la vita è celebrata negli avvenimenti ai quali ho fatto cenno poco sopra, credo di poter affermare che l’autore la canti ancora di più attraverso l’osservazione del più minuscolo dei molluschi, quello che denominato “pulce di Mare“ la cui sorte è di fungere da cibo per altri pesci, vista la sua infinita piccolezza, verso il quale l’autore riserva un’attenzione particolare in quanto, egli scrive ricordando il Leopardi : “è tenace come la ginestra“.
.Il Talitrus saltator, piccolo crostaceo appartenente alla fa-miglia Talitridae, con dotta sufficienza chiamato Pulce di mare, è ghiotto di alghe putride, depositate dalle onde sulla battigia; delle immagini lo immortalano appoggiato su pesci spiaggiati. Non disdegna – in mancanza d’altro – le proteine animali.
Ciò è il risultato di una sua speciale intelligenza: ha compreso che nell’ambiente vi sono alimenti diversi (e più gustosi) e questo al fine della sopravvivenza, ma il buon Dio lo creò in quel periodo apocrifo, definito «minerale», quello in cui progettava esseri a metabolismi imperniati intorno alle rocce, come il Dattero di mare, e lo ideò famelico di granelli di sabbia e frammenti degli stessi, ai nostri occhi impercettibili.
Accadde poi, nelle rotolanti logiche del mondo, che il crostaceo, liberato dalle briglie divine, s’evolse a modo suo, indulgendo nei confronti di alghe e piante acquatiche, purché già avviate verso la disgregazione: questo per ovviare alla carenza di specifici enzimi digestivi.
Il Talitrus, non solo spicca apprezzabili balzi (lo scoprii,infatti, notando un movimento repentino, mentre passavo una mano sulla sabbia), ma è capace di penetrare nella sabbia fino a grande profondità (con le dovute proporzioni) e guadagnare il mare spuntando dal fondale, assumendo una buffa conformazione (le antenne e le zampette all’indietro, adese al corpo, ricordano le pinne ritraibili dei tonni), che gli consente d’essere un agilissimo nuotatore, non fosse per le modeste dimensioni. Ahilui (me ne dolgo), le sue giornate sono funestate dagli antagonisti più disparati e crudeli. Vi sono predatori che lo cacciano quando s’aggira sulla spiaggia, più altri che in mare compiono stragi efferate.
Capodogli e fin megattere, difatti, inghiottono migliaia di Talitrus, quando questi, esausti, vengono trascinati al largo dalle correnti. Anche branzini e orate ne vanno ghiotti,ma, per ovvie ragioni, il loro consumo di Talitrus non è paragonabile a quello dei grandi cetacei.
Sulla spiaggia, gabbiani ed altri uccelli marini li becchettano in continuazione, mentre i Talitrus banchettano sulle alghe. Non va dimenticato, infine, l’impatto antropico: i bagnanti li uccidono, ignorandone anche l’esistenza, soltanto camminando sulla sabbia o sdraiandosi, oppure giocando al volano. Gli innocenti bambini, che schiamazzano al mare, non possono sapere: il loro candido svago è una
piccola ecatombe.
Data la mia benevolenza e attenzione nei confronti della natura, varie volte ho assistito ad una bizzarra e sconcertante fine del Talitrus: spappolato fra le pagine di un libro,chiuso rapidamente, senza notare la presenza dell’amorevole crostaceo.
Debbo chiarire, infine: il Talitrus saltator esiste veramente,ed è detto Pulce di mare, ma gran parte di quanto scritto è inventato di sana pianta.
A mio modesto avviso il Talitrus saltator merita d’essere celebrato come un impavido condottiero, anche colorando le sue gesta con quella sfumatura di bugia, che lo rivesta ed investa del ruolo che merita: un crostaceo tenace come la
ginestra, questa già celebrata da una nota lirica.
Tale sentimento nutro per tutto ciò che chiamiamo, genericamente, natura.
Anche sugli uccelli, non solo sui crostacei, l’attenzione del poeta scivola, e lo fa con una delicatezza dolcissima, quando parla dei passeri in tre poesie successive della quali ho scelto la II che mi ha colpito per la sua intensità e la precisione dei verbi e dei vocaboli di sapore Montaliano, nei quali noi possiamo quasi toccare con mano questi uccelli in quel “trafficar nella pozza“, nell‘esplodere nel volo“, nell‘amoreggiare promiscuo” in quel “becchettare“ e in quello “scrollarsi di dosso l’acqua sozza“
II
Appresso l’acquata,/colti a trafficar nella pozza,/nemmanco indugiano/sul mio sguardo mite/e conosciuto, ch’ esplodono/in volo e vanno dispersi,/per comparir nel fango,/di botto ed ancora:/quattro promiscui amoreggiano,/due tutti presi a becchettare,a turno si scrollano/di dosso l’acqua sozza/
Anche le piante sono oggetto di studio e di riflessione da parte del poeta, ed egli è quasi coinvolto nella fame d’aria agostana , che fa “tramenare il lago“ ove “l’acqua ha un traballio “ e che toglie il respiro quel “langue del granito” anche a queste piante del cui strazio “nessuno si cura“
Uno sguardo è riservato anche i grilli che nel giorno dell’Ascensione, nel parco delle Cascine a Firenze, era uso far cacciare ai bambini che poi li racchiudevano in piccole gabbiette, alla moda dei cinesi che allevano grilli per il combattimento.
Ho concluso in modo di certo non esauriente questo mio sguardo indiscreto sulla Wonderkammer di Tosatti, con la speranza di indurre qualcuno di voi ad appassionarsi alla sua scrittura che manifesta un talento da non sottovalutare e del quale egli darà ancora nei prova in lavori che verranno.
nota: i corsivi ed il grassetto riportano integralmente pezzi dai testi originali