Rubrica Cultura e Società. Bologna 77 di Luigi Balocchi.
Bologna 1977
Ero giovanissimo. 16 anni appena. Un bimbo, un fioeu, arrabbiato e perverso. Un piccolo dio delle rivolte. In via Mascarella, Francesco Lorusso era stato ammazzato da un carabiniere di cui so il nome ma non dico. Damnatio Memoriae. Da via Irnerio al Cantuzein, dalla Montagnetta a via San Giovanni, da Piazza Verdi alle vetrine infrante, Bologna era il fumo, lacrimogeni e marjuana. Era la libertà del cazzo e del culo. La puttana senza vergogna. Il corpo liberato. Era Kronstadt. La Macknovjina. L’ultima rivolta proletaria d’occidente. La nostra Jacquerie. L’assalto al cielo. Ed io, io povero di tutto, io ragazzo di strada che puzzava di molotov e ravioli, io ero felice. Perché, nonostante tutti noi a un passo dalla morte, mai come allora ci siam presi tra le mani la vita intera. Radio Alice sbraitava movimenti e Autonomia. Bifo era il folletto col chignon alla francese. L’Eskimo, il basco, il passamontagna, il lambrusco e le brioches, nel carnaio dissoluto della rivolta nulla sapevo di Rimbaud e Majakovskij, ma di certo quei due lì con altri morti insieme mi aspettavano di notte sotto i portici di via Senzanome, io a cavallo di quell’onda come un naufrago solenne, Brendano e Palinuro per azzurre lontananze nel budello di vicoli e cantoni, come immergersi in un ventre, lì succhiare un nettare bambino, ritornare poi alla vita. Altro nome, altro corpo, altro sfatto amore mio.