I desideri della fiaba di Antonietta Dell’Arte, Passigli Editori, 2013, recensione di Adele Desideri.
Antonietta dell’Arte, siciliana di nascita, risiede a Milano. Tradotta soprattutto in inglese, ha creato sette murales, con il pittore Nani Razzetti, nel Comune calabrese di Diamante; è stata animatrice, negli anni Ottanta, del centro culturale milanese Lusca e ha ricevuto l’Ambrogino d’Oro nel 1993.
I desideri della fiaba è, appunto, un delizioso volume di fiabe, raccontate “stranamente” in forma poetica.
Scrive in proposito, nella prefazione, Gio’ Ferri: “L’uguaglianza tra poesia e fiaba: entrambe rendono possibile l’impossibile, rivoluzionano tempi e spazi, donano un (…) emozionale senso di libertà. E lo fanno trasportando poeta e lettore nell’universo altro del silenzio”.
Ribadisce la dell’Arte, nella sua nota al libro: “La fiaba è, in qualche modo, poesia e la poesia è fiaba. Non per i ritmi che sono diversi, ma per l’invenzione, la creazione, la possibilità di rendere possibile l’impossibile, visibile l’invisibile e viceversa”.
Dunque: fiabe, poesie, libertà, creatività e silenzio.
Anche il titolo, però, pare d’acchito “strano”: le fiabe hanno i desideri? O, piuttosto, alludono a desideri irrealizzabili?
Man mano che, tra i versi della dell’Arte, affiorano le fiabe – nel leggiadro girotondo dei tempi all’imperfetto o al passato remoto, delle giocose tonalità rivelanti chicche di malinconica saggezza, dei sorprendenti aforismi – si capisce che le fiabe, queste fiabe, hanno i desideri (proprio i loro!). E li custodiscono, perché esse vivono e parlano al modo degli uomini, specialmente di quelli che non dimenticano mai di essere bambini: “certo io non posso risolvere tutti i problemi/ disse alla fine della storia la fiaba/ so che vorreste incontrarvi/ formare una sola roccia/ anziché stalattite e stalagmite/ e uscire dal buio di questa caverna/ la pazienza della goccia vi unirà/ ma la luce del sole/ quella vi sarà negata/ d’altronde cosa sarebbe la vita/ senza un sogno incompiuto?//”.
Sono altrettanto vivi – parlano, pregano e agiscono – gli oggetti descritti dalla dell’Arte: il pigiama, i pantaloni, la collana, l’orologio; e davvero dilettevoli si mostrano gli animali, talora persino ammiccanti, con una sfumatura di sensualità, come la lumaca, che – “sotto l’insalata (…)/” – confida di essere “un abito da sera/”.
L’autrice affronta poi i quesiti più rilevanti della coscienza, mettendone in risalto le implicite, universali speranze – le conseguenti, tremende delusioni; molte sono le fiabe-poesie nelle quali parlano e agiscono la bellezza, l’amicizia, la salute, la vita, la verità – la pena, la guerra – l’invecchiamento, la malattia, il nulla, la morte: “un giorno la morte/ incontrò la vita/ si trovarono così vicine/ da non riconoscersi/ per un attimo/ furono tutt’uno/ fu così che nacque l’eternità//”.
Ne scaturisce una serena, ma solida morale, un’estrosa, e sana pedagogia, in sintonia con il rigoroso surrealismo di Gianni Rodari, e – prima ancora – con l’indulgenza comprensiva e autorevole del Deamicisiano maestro Perboni, quello del prezioso libro Cuore: “le miserie del mondo/ si tenevano per mano/ per farsi compagnia/ chi con la veste lacera/ chi con un buco nel petto/ stanche di quel vivere/ senza sorrisi/ un giorno guardarono in alto/ in alto c’è sempre un trono/ con un re splendente/ il re c’era ma non poteva vederle/ sotto di lui un cielo pieno di nubi//”.
Inoltre, la dell’Arte possiede una sua originale, complessa valenza profetica, evidente quando – con sonorità flebili, infantili, lentamente ossessive e perciò tanto più penetranti – denuncia le ingiustizie, le infamie, le crudeltà di questa nostra epoca, e scuote gli animi, li invita a riflettere, a fare critica, a promuovere comportamenti equi, improntati alla solidarietà: “il sorriso era capitato/ in una zona scura della terra/ smarrito nel labirinto/ del dolore e con lui l’uomo/ la risata che scorrazzava/ allegra come una gallina/ si mise d’accordo con il solletico/ fu tanto e tanto/ che l’uomo morì/ ma solo di risate//”.
Una raccolta, I desideri della fiaba, da leggere e rileggere, per gustarvi la brillante maturità di chi, negli anni colmi di esperienza, è capace di rivolgersi ai piccoli e ai grandi con umiltà, tenerezza e determinazione, giacchè – suggerisce, candida e maliziosa al tempo stesso, l’autrice – “(…) il muschio d’autunno è più dolce/ del fuoco dell’estate//”.