L’ironia è una cosa seria, rubrica di Natalia Bondarenko: Simone Carta.
Benvenuti nella rubrica che parla di cose serie: parla d’ironia. Perciò, benvenuti nell’ironia. Entrate dentro senza diffidenza e senza pregiudizi. Sorseggiate la leggerezza utile a nascondere (magari, per pudore) la profondità della vita, usate la vostra immaginazione e cercate di non prendervi troppo sul serio perché in questo spazio c’è posto per qualsiasi espressione ironica e anche quella, ancor più rara, autoironica: esagerata, colta, improvvisa, spumeggiante o docile e lirica.
Benvenuti nello spazio dove non troverete mai le poesie di Sanguineti, Szymborska o Bukowski. «Vabbè», direte voi, «non sarebbe mica male?» Ma di loro è già stato detto/scritto tutto e anche di più. Infatti, non c’è niente di nuovo, nessuna novità sconvolgente, nessun miracolo letterario, niente di codificato come 2.0, perché la poesia ironica esiste da sempre. Ma c’è una percentuale minima di poeti che la scrivono. Perciò, benvenuti nello spazio di pochi, scelti… e viventi!
(Come vedete, la battuta vale non solo per i pittori…) N.B.
L’ospite di questo mese è Simone Carta.
Eterogenea, sfaccettata, sprezzante, sincera per non dire intimamente ‘di parola facile’, una generazione di giovani poeti ‘adulti’, una generazione “adulta” della nostra scrittura letteraria, oggi, sembra essere sbilanciata in direzione della produzione maschile. Probabilmente una famiglia problematica e moderna genera (salvo rari casi) un dialogo mancato, un dialogo che viene cercato altrove, negli interlocutori esterni, interrompendo così quel dialogo generazionale che fonda qualsiasi tradizione letteraria. Ma non so quanto tutto questo vale per il poeta che vorrei presentarvi oggi. Anzi, probabilmente, non c’entra niente, è soltanto una piccola farneticazione e deduzione sulla poesia giovanile.
Simone Carta ha una storia diversa… probabilmente, dico, probabilmente diversa perché nonostante la sua giovane età e la voglia di ‘buttarsi’ nelle imprese che hanno il sapore letterario, nella sua storia si sente poco il disagio descritto sopra. Il poeta parte come paroliere delle canzoni scritte per il suo gruppo musicale. «Dopo qualche anno ho provato a buttare giù pensieri che avessero molta più libertà di metrica, senza dover seguire alcuna melodia» scrive Simone in una delle sue biografie. E poi, come si fa in questi tempi moderni, apre una pagina Facebook e ‘scarica’ tutti i suoi scritti su questa piattaforma digitale riscuotendo un notevole successo, credo anche fra molti giovani (visti i testi ‘aggrappanti’ e accattivanti). E per la propria presentazione usa questa piccola poesia che si trova nelle informazioni:
E c’è la luna e ci sei tu.
Non so chi scegliere tra le due.
Poi mi baci…
L’hai stracciata!
La poesia di Simone Carta apre una finestra sul mondo dello scrittore fatto anche di routine, di sentimenti e di impressioni. Il poeta mette nero su bianco ciò che prova in maniera completamente naturale. L’ironia sembra di far parte del suo DNA letterario e la leggerezza le fa da contorno. Qua crolla del tutto la mia idea che per scrivere in maniera ironica bisogna aver attraversato gli inferi: la poesia di Simone è una poesia felice e giocosa, e lo si sente in ogni riga.
“Finalmente ho messo in disordine” (Miraggi Edizioni) è il suo ultimo libro uscito l’anno scorso. Già il titolo prevede una lettura vivace e positiva. Quarantadue componimenti poetici raccolti nella collana Voci (in collaborazione con la rivista «Atti Impuri» che presenta i fenomeni della cultura orale risvegliati dai media elettrici, a partire dagli autori che animano i circuiti nazionali di Poetry Slam.)
L’autoironia è costante, coraggiosa, (Accorgiti di me / non sono tipo / da gesti eclatanti…), traspira in ogni poesia, si incastra fra le cose serie e di passaggio, fa parte del suo vivere ed esistere contemporaneo, a volte ottimistico e a volte fin troppo lirico. Sorprende la mancanza di voler apparire con gli ‘effetti speciali’ e la presenza di una certa ‘pulizia’ espressiva che ti fa (sicuramente) star bene.
Un’ultima annotazione ma non meno importante: Simone Carta in alcune poesie riesce a comunicare un giovanilismo incontaminato che sconfina, anzi fa tutt’uno con la sua bellissima fantasia:
Se il B-29 ti avesse sganciata,
tu saresti scesa dolcemente
su Hiroshima
e col tuo sorrisone marchiato a fuoco
la guerra l’avrebbero vinta tutti.
Un giovanilismo strutturale, più che generazionale, quello per intendersi che vale fino a novant’anni, quello che ti fa aver voglia di scrivere poesie e che se ne frega di tenere a freno una fantasia che invece vuole correre e urlare la propria meraviglia.
POESIE
Tu sei buona e ami molto
ami tanto
ami anche gli autobus che io detesto,
ami il sereno quanto il temporale,
i balconi d’una volta
con le ringhiere che è meglio non appoggiarsi
se non si vuol vedere da vicino,
tutto d’un colpo,
il cortile su cui s’affacciano.
Ami il Guerreschi
ma chi cazzo è il Guerreschi?
Sicuramente un genio, perché tu lo ami
e ami i letti di foglie,
i colpi di sonno davanti ai film in streaming,
gli energizzanti naturali
e il saluto al sole la mattina.
Solo i soffitti bassi non ti piacciono
ma sei perdonata
perché il tuo amore non riesce a star chiuso
in una stanza.
Tu sei buona
con le labbra poco carnose,
dici che non siano fatte bene per baciare.
Questo lascialo dire a me
che non conta la sostanza
ma il sapore
e tu, ripeto, sei buona
e sai di buono in ogni parte baciabile
di cui sei fatta,
praticamente tutta tranne,
tranne niente.
Praticamente tutta.
Te l’ho detto,
non sono bravo come fidanzato,
già mi stona pronunciarla questa parola,
te lo dissi ai tempi
di lasciar perdere,
forse ora capisci e vedi
quanto avessi ragione.
– Cosa vedi di buono in me ancora? Cosa?
– La smetti di fare l’attricetta? – hai risposto.
– Ci tengo a te.
– Si vede quanto ci tieni.
Sei sarcastica
Non ho motivo di replica.
E quindi mi sento un po’ autobus,
un po’ sereno o temporale,
un po’ genio,
un po’ letto di foglie,
un energizzante naturale
o una stanza senza soffitto
e posso solo dirti
che sei buona e ami molto,
è un dato di fatto,
lo sai,
lo so
e ora, lo saprà anche
chiunque abbia letto tutto questo.
*
Con quel sorriso,
mi è difficile non crederti.
Se mi sorridi e dici che stai bene,
non ti cerco,
se mi dici che Elvis è vivo,
ci credo,
e le ciliegie son novembrine,
col tuo sorriso mi puoi dire
che Dio esiste,
mi metto in ginocchio
e prego,
o se ti va di raccontarmi
che l’inverno è caldo,
che il freddo è meglio,
che a -5 tu sorridi sempre,
io mi spoglio.
Hai un’arma di “costruzione” di massa
e se Enrico Fermi avesse lavorato
al tuo sorriso
e non alla bomba atomica,
la storia sarebbe diversa.
Se il B-29 ti avesse sganciata,
tu saresti scesa dolcemente
su Hiroshima
e col tuo sorrisone marchiato a fuoco
la guerra l’avrebbero vinta tutti.
Se mi dici col sorriso
che mi cerchi,
mi alzo dal letto e mi faccio trovare
in ogni posto, in ogni dove
tu mi aspetti
con un cesto di ciliegie autunnali.
*
Non so cosa tu faccia con gli altri,
ci giochi?
Ci parli?
Li pensi?
Li “sguardi”?
Li baci?
Non so cosa tu faccia col mare,
lo ascolti?
Lo perdi?
Ci sballi?
Lo senti?
Lo scrivi?
Non so cosa tu ci faccia col cuore,
lo batti?
Lo mostri?
Lo temi?
Lo offri?
Chissà che ci fai col babbo,
lo chiami?
Lo odi?
Lo patisci?
Ti manca?
E dei passanti? Degli sconosciuti?
Con la mattina che ci fai?
Che ci fai della pioggia?
E del lasciarsi?
Non so cosa tu faccia con me,
ma mi piace
e te lo lascio fare.
Ti aspetto davanti ad un caffè
e se dovessi perdermi tra le tue labbra,
non voglio squadre di soccorso a cercarmi.
*
Se avessi un euro per ogni incubo
che faccio,
sarei comunque povero.
In media faccio un incubo ogni notte
barra due,
quindi approssimando per eccesso,
direi di fare dai quattro ai cinque incubi
a settimana,
facciamo quattro.
Sarebbero dunque quattro euro a settimana,
fanno all’incirca sedici euro al mese.
Se avessi un euro per ogni brutto sogno
che faccio,
sarei comunque un povero bastardo
neanche in grado di offrirti da bere
con i propri incubi.
*
Perché dovrei guardarti
con gli occhi dell’amore
quando sei perfetta così
anche attraverso una vetrina in cui ti rifletti?
*
Accorgiti di me
non sono tipo
da gesti eclatanti
dalla parlantina ininterrotta
non faccio gare di forza
non sono un gran ballerino
potrei scribacchiarti qualcosa di dolce
qualcosa che con il verbo
non sappia esprimere.
Accorgiti di me
anche se non ascolto la musica a palla
non faccio il freno a mano
non sono un gran sportivo
sono bravo a bere
reggo abbastanza
senza diventare uno stronzo
non è una gran dote
ma potrei prepararti un’ottima colazione
dopo aver passato la notte con te
ad accarezzarti i capelli
a sfiorarti tutta
da farti venir la pelle d’oca.
Posso star sveglio tutta la notte
a far questo
se vuoi.
Se ti va
magari passo e ripasso
davanti alla tua finestra
finché tu non mi noti
con una risma di fogli in mano
dove ho scritto tante cose belle
sul tuo essere così femmina.
Accorgiti di me
anche se
non sono chissà chi chissà che
ma stai tranquilla
che per un tuo bacio
m’inventerei qualche meraviglia
tipo le fragole con la panna.
***
Simone Carta (Torino, 14/11/1987) è un giovane scrittore, poeta del disordine, fa cose, scrive cose, piace a chi piacciono le cose che chiamano poesie. A novembre 2015 autopubblica la sua prima raccolta intitolata “Z’Hero”. In seguito viene contattato dalla torinese Miraggi Edizioni con la quale pubblica ad aprile 2016 “Finalmente ho messo in disordine”, una raccolta di poesie che spaziano dalla quotidianità, all’ amore, da piccoli inconvenienti a episodi simpatici. Dorme poco ma riesce a far sogni anche ad occhi socchiusi e con un reading ironico e romantico, intitolato “MI SONO ROTTO IL KARMA”, presenta in giro per l’Italia le sue poesie edite ed inedite.