Messaggio dagli alberi recisi all’Osservanza, reportage di Pina Piccolo.
Questa poesia mi è arrivata sia forse come richiamo dalle anime degli alberi sia come sedimentazione di notizie che seguo da anni, stimolate inizialmente dal lavoro di Michael Pollan, provenienti dal mondo della scienza occidentale e dal mondo dei saperi indigeni, che rivelano l’intelligenza delle piante, una loro capacità di sensazione e di elaborazione di strategie di sopravvivenza e solidarietà. Fino alla realizzazione di tecniche di “time-lapse” la vita “segreta” delle piante e degli alberi non era motivo di studio o di riflessione da parte delle culture predominanti, ma probabilmente ce ne era stata l’intuizione nelle culture contadine di tutto il mondo. A questo proposito, propongo una bella riflessione di José Saramago, che ricorda il commiato del nonno dai suoi alberi prima di andare a morire in ospedale
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/06/17/quel-vecchio-uomo-che-abbracciava-gli-alberi.html
Questa poesia fa anche parte di una serie di riflessioni che ho elaborato in forma poetica sulle incarnazioni locali del neo-liberismo che in Imola, il paese in cui abito, l’ex città dei matti nota per il gran numero di manicomi, Imola, hanno trovato espressione paradigmatica nella vicenda dell’abbattimento di Villa dei Fiori http://www.pinapiccolosblog.com/cantata-per-labbattimento-di-villa-dei-fiori/ e nel corso degli ultimi 4-5 anni nell’abbattimento di un gran numero di alberi nel parco dell’Osservanza.
Messaggio dagli alberi recisi all’Osservanza
Forse a chiamarmi sono state le anime degli alberi
Recise, segate dalle magnifiche sorti e progressive
Rossastre qui, in questo primo scorcio di millennio
Per decenni gli arti e i tronchi imbevuti
Dell’ansia da ogni poro sprigionata
Della paura feromenale
Della tristezza molecolare
Della rabbia legata la notte
E il giorno
Dai lacci della scienza del tempo
Finché baldanzoso non sopravvenne
Il contenimento chimico a soppiantarli.
Se ne stettero dunque col cuore in gola
Gli alberi
Ché i folli umani erano stati “liberati”
Per altri pochi decenni
Nella stasi dei commerci umani
A eliminare per l’aire il pathos accumulato
A girare in zona solo i “sani”
Solo signore anziane con i cani
Che annusavano l’ansia depositata sulla corteccia
E si giravano sconvolti
A guardare le padrone
Che percorrevamo ignare i sentieri
Dell’Osservanza, incapaci e inette
L’olfatto nostro
Disuso a distinguere l’odore della felicità da quello
Della morte in agguato
Ci fissavano i nostri cani
E non si spiegavano
Perché non facessero niente
Le Dee delle Mani
Quelle che aprivano scatolette
Indignati, si chiedevano
Perché continuassero a
Non rispondere ai chiari indizi
Ai messaggi scritti
A lettere cubitali
Da coscienze antiche
A noi apparentate
Nell’elica recondita
Che sancisce chi
Si muove e chi rimane
Visibilmente fisso
Eppure dalle radici
Alle cime tempestose
Essi, gli alberi
Ci fremevano
La loro ansia
Per l’appostamento
Che ci riguardava
Fino al momento che l’accetta
Del Comune
Non si abbatteva facendone strazio.
Le foto degli alberi dell’Osservanza sono scattate da Melina Piccolo.