Rubrica tre pregi e un difetto a cura di Vito Panico. Su “Le stanze inquiete” di Lucianna Argentino.
Commenti di Natalia Bondarenko, Paolo Polvani, Anna Salvini
su “Le stanze inquiete” di Lucianna Argentino,
La vita felice ed., 2016.
- Natalia Bondarenko:
1.
Del libro di Lucianna Argentino, senza voler sminuire le poesie, colpisce prima di tutto la presentazione che lei stessa ha scritto. Si comprende che al centro della propria esistenza c’è ‘il sentimento del cuore’ coniugato all’etica del lavoro, pensiero che viene da Simone Weil e che Argentino fa suo.
Posso dire che oltre ad essere interessante, tutto ciò, è anche potentemente poetico.
Nel suo lavoro quotidiano dice di aver “cercato di vedere le persone così come sono, con le loro debolezze e le loro grandezze…” e poi ancora, dice, di aver guardato “un essere umano con la sua storia invisibile, una persona cui dovevo rispetto…”. Queste, oltre ad essere parole belle, sono anche parole forti. Lucianna non ha nessunissimo problema a mettersi a nudo, avvicinarsi ai margini, mostrare le cicatrici nascoste di ferite subite, sia di chi scrive sia delle persone che si sono incontrate. E poi, riuscire a ‘trovare’ la poesia, scriverne di bella e buona, partendo dalla cassa di un supermercato è semplicemente sorprendete.
2.
La grande attenzione alle persone, agli altri, a tutti quelli con cui abbiamo rapporti di conoscenza o solo di incontro fortuito e casuale, che si esprime insieme al senso spirituale della vita:
…anime al macero, anime asfittiche
di case da tempo chiuse.
Si portano dentro un dio abortito.
Un campionario umano di rara potenza. Ognuno descritto con grande umanità e rispetto: dai tentativi goffi dei sedicenti dongiovanni, alle lettere piene di dignità di chi non ce l’ha fatta e si sente escluso e vede in lei un possibile alleato, capace anche solo di un semplice contatto umano. I versi di Argentino esprimono proprio questo: la grande capacità di badare, di tener conto solo ed esclusivamente delle cose dell’anima, dello spirito, mettendo da parte la materialità della vita. E questo significa, lo dice lei stessa nella postilla, badare alla sostanza:
Qui ogni minuto che scorre ha un volto diverso,
una diversa cifra, grani di un immenso rosario:
ognuno con la sua muta preghiera
o la sua muta bestemmia,
che poi è lo stesso se crediamo
ci sia un dio ad ascoltare.
3.
Tutto questo descritto in una forma diaristica e ordinaria, quasi dimessa. La lingua diretta, usata con una grande generosità, fa parte in modo naturale di questa raccolta: si intreccia con il tessuto poetico in modo spontaneo, quasi da prosa. Anzi, direi che in alcune parti la poesia di Argentino è decisamente ‘prosastica’, ma con una sua interna musicalità che la rende piacevole nella sua scorrevolezza:
Oggi ti ho tradito, ma vado di fretta.
Da te c’è troppa fila.
Mi salutano così
quelli a cui sono familiare o simpatica.
Non se ne vanno facendo finta di niente.
Si scusano, mi rassicurano
e si rassicurano, a loro volta,
di essermi familiari o simpatici.
Un perfetto allineamento tra i personaggi descritti e il linguaggio usato.
Un difetto?
Difficile trovare un difetto, ma se le cose stanno proprio così e per questioni attinenti al titolo della rubrica (per contratto, diciamo), se proprio devo proprio trovare questo pelo nell’uovo (è solo un peccato veniale) potrei dire che a volte traspare un accentuato buonismo, una sorta di situazione ‘ideale’ che pur parlando di cose terribili e scabrose, fa dimenticare la realtà. Come se fosse normale il riconoscimento di tanta umanità. Ma quante volte un difetto nel tempo si è rivelato un grandissimo pregio?
- Paolo Polvani:
Il primo pregio di questa raccolta di poesie è “il sentimento del cuore”, cioè quello sguardo fatto di attenzione, di gentilezza, di disponibilità, di amore, che Lucianna Argentino ha riservato nel corso degli anni alle centinaia di persone che le sono passate davanti, affinché non rimanessero massa indistinta ma ognuno mantenesse la propria identità. In apertura l’autrice scrive: – Ho scritto questo libro perché non volevo andasse perduto quanto vissuto durante lunghi undici anni alla cassa di un supermercato -. Sembrerebbe un pregio attinente più alla sfera dell’umano che alla grazia della resa estetica, e invece a me pare esattamente un pregio estetico perché è da ogni verso che emerge lo sguardo di accoglienza, direi a volte di protezione che si fa accoglienza e protezione nei confronti del lettore, si trasmette durante la lettura e fa sì che il lettore se ne senta avvinto e partecipe. Ed è tanto più meritevole di lode in quanto esercitato in un non-luogo, dentro un supermercato, che rappresenta l’apoteosi dell’induzione al consumo e alle sue connesse liturgie. Rappresenta il luogo in cui il bagliore delle merci esercita il suo dominio fascinoso, e impone una posizione subalterna suggellata dalla parola consumatore, che circoscrive il perimetro dell’agire alla mera fruizione.
E’ qui che la solitudine ci presenta il conto, e si affacciano altre fami, altri bisogni si addensano come bianche nubi dal cuore inquieto, basta appena grattare la patina di euforia e di festa che ricopre l’imballaggio dell’abbondanza.
Tu mi capisci, è vero? mi scuote una donna,
che ascoltavo distratta e stanca,
mentre ripone la spesa nella busta,
sollecitando in me un’intesa improbabile
Il secondo pregio è quello di restituirci frammenti, bagliori, lampi, di un’umanità in movimento, tracce di romanzi, embrioni di racconti, schegge di biografie intorno alle quali si aggruma, si rapprende la struttura del reale, la nostra vita frettolosa viene fermata dentro un’istantanea scattata dalla cassa di un supermercato. Si tratta di un procedimento di sicura efficacia e ottima resa ai fini della lettura, perché quanto rimane ai margini, tutto il non detto addensa vaste nubi di congetture, di supposizioni, diventa cibo prezioso per imbandire la tavola della fantasia.
Annaspa nel dolore questo tempo sfiancato
quando Anna mi dice oggi è una giornata no
e mi risale in gola e s’annoda la volta in cui mi raccontò
che il marito non esce più di casa,
che passano notti insonni da quella sera di gennaio
in cui gli ammazzarono il figlio, carabiniere,
a Bologna, quartiere Pilastro.
Di pregi ce ne sarebbero tanti più che uno solo, ma dovendo fermarmi a tre, evidenzio il pregio di saper spingere lo sguardo partecipe fin dentro il cuore dolorante degli eventi, e saperlo tradurre in linguaggio tattile, che si può tenere tra le mani, accarezzare tra le dita e percepirne le asperità, le venature sottili. E’ il linguaggio dello scambio di calore buono, di sguardi che s’intrecciano e si cercano, di corrispondenze umane che bucano la superficie per quanto frettolose, mosse dall’ansia del vivere quotidiano, dagli impulsi delle necessità.
Pina un metro e cinquanta di acciacchi
mi dà monete dal calore buono
e un po’ rassegnato come il suo sguardo
velato di pianto nel raccontarmi che il marito,
malato da tempo, l’ha svegliata in piena notte
e le ha detto Pina, Alberto se ne va…
E se ne è andato, come ce ne andiamo tutti,
già distanti gli uni dagli altri
per certi invalicabili silenzi.
Se proprio dovessi trovare un difetto, e sono certo che non lo è, direi che circola nel libro un eccesso di malinconia, che sono rari gli sprazzi dedicati alla gioia, all’allegria, ma lo dico perché mi piacerebbe fosse così, cioè che la realtà fosse meno in salita, meno accidentata, impervia.
- Anna Salvini:
Le stanze inquiete è una gran bella raccolta, ricca di fotogrammi, piccoli camei incisi con lingua semplice e mano esperta. La memoria accompagna il lettore perché ognuno di noi può aver incontrato nella vita la ragazza dell’est, il barbone, Rosina o Pamela, Silvio, Ubaldo, Giuseppe. Memoria che per il poeta non è un mero ricordo ma coscienza e testimonianza perché nasce dall’esperienza, è osservazione e sensibilità dove ognuno ha un suo posto ben chiaro nel “sentire” di Lucianna.
La capacità dell’autrice è anche quella di raccontare una umanità non addolcita: non fa sconti questa poesia, è vera, è cruda, è fatta di frasi comuni, cadenze dialettali che anche se non espresse si possono intuire eppure, proprio nella quotidianità, si cela la poesia, quella del nascere e del morire, anche del sopravvivere.
La cassiera, con i suoi foglietti a margine, con le sue note rubate tra uno scontrino e un resto restituisce dignità a coloro che passano sottotono; è curiosa, attenta ai particolari, riconosce la bellezza e ironizza sui difetti, domanda, scruta e sogna che finalmente ci si accorga che la pioggia è anche colorata.
Personalmente ho difficoltà a trovare un vero e proprio difetto…all’inizio della lettura pensavo che tutta una raccolta di questo tipo potesse essere pesante, ripetitiva, poco poetica invece, pur essendo in alcuni punti più prosastica, ha mantenuto la giusta misura senza perdere freschezza.