Spunti d’alberi di Anna Elisa De Gregorio.
I
Sta aggrappato all’abisso
dell’infida falesia del Passetto
(non so se per uccidersi o salvarsi)
il pino poverello.
Ha scelto di resistere, mi chiedo
non senza crudeltà,
o si è arreso al casuale destino
dell’ennesima scossa di stanotte?
In bilico, nel dubbio di radici,
niente più di un profilo tutto curvo,
sotto il peso dell’interrogativo
il pino annichilito.
II
L’acqua ha strisce di blu
che a scuola di disegno
si chiamava “oltremare”,
nel suo andare indolente
becchetta un sasso bianco
il solito gabbiano.
È così che comincia
l’incendio nella macchia:
un pennacchio benevolo,
che è quasi una domanda.
Da battistrada il vento
su vie d’alberi ardenti
e, di seguito, l’alba
infettata dal fumo.
Mai rassegnata torna
l’estate dopo un anno.
Come una migrazione
folle, mille farfalle
(sembrano margherite)
ripetono la vita
sopra i tronchi anneriti.
III
Guardo dal treno in corsa
l’ailanto nato a caso:
sta curvo sotto un ponte troppo basso,
lui, che nel DNA aveva iscritta
una schiena diritta.
Che peso avrà piegato
mia nonna (nella foto)…
Il peso del lavoro, lei diceva,
e delle morti in guerra.
Ma io non le credevo.
Pensavo invece che il suo DNA
(con l’elica ingobbita)
fosse l’unico artefice del danno:
ero molto saccente da bambina.
Quel ramo d’orchidea,
piegato in due sotto il peso dei fiori,
mi costringe a un impulsivo acquisto.
Vendetta dell’inconscio?
Piuttosto della nonna,
ora che insieme siamo vecchie e curve.
IV
Da sempre albero mio custode
la pianta di fico, più vecchia
dell’uomo e della Bibbia,
monaco che porta in bisaccia
una passione, albero che spesso
digiuna e profuma sulla terra:
notte in un cortile d’infanzia.
Sotto i rami per aprire un frutto,
mangiare polpa e granelli
dorati. Tante foglie palmate,
ventagli e ruvidezza sul viso
di chi prima di me, familiare,
si è appoggiato a questa ombra,
occhi simili ai miei, simili pensieri.
Albero tenerello di fico pitturato
sulla Pala Gozzi quasi al centro
del dipinto, appassito da un tócco
di rosso, presagio di tramonto.
Dove il ramo si divide in due,
dove ogni foglia è mano aperta
per implorare aiuto e forse darne.
V
È così una giornata di buio:
all’inizio niente di precisato,
poi la tristezza arriva dai tigli,
pieni a maggio di ciondoli bianchi;
si svelano i ventagli nascosti,
dettano in strada profumi orientali.
E io «un povero cane randagio››
con l’auto passo lontano da loro,
con vecchi vestiti, come si dice
stonata, del tutto fuori stagione.
È così una giornata di luce:
dietro un arco sul viale all’aperto
si apriva una tonda sala da ballo
in penombra: “il giardino dei tigli”.
I musicisti facevano prove
di canzoni, mentre con i sandali
ballavo da sola, come si dice
intonata, nella giusta stagione.
Arrivavano poi i militari,
e le ragazze ai tavoli gratis.
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Anna Elisa De Gregorio è nata a Siena da genitori campani. Abita ad Ancona dal 1959 dove lavora presso una agenzia di marketing.
Ha pubblicato nel 2010 il suo primo libro di poesie Le Rondini di Manet per i tipi di Polistampa di Firenze, prefazione di Alessandro Fo (Premio Pisa 2010 opera prima; Premio Contini Bonacossi 2011 opera prima). Nel 2012 ha pubblicato il suo secondo libro Dopo tanto esilio per i tipi di Raffaelli Editore di Rimini, prefazione di Davide Rondoni (nella cinquina finalista del premio Gradiva, New York 2013; primo premio Borgo di Alberona 2014). Nel 2013 ha pubblicato con il DARS di Udine, una plaquette di poesie dal titolo Corde de tempo in dialetto anconitano.