Sulla diffusione della poesia, alcune riflessioni di Marco De Giorgio.
Ma perché mai ci si dovrebbe porre questa domanda? Ovvero: perché è importante dare voce alla poesia, diffondere questa forma di scrittura che probabilmente agli occhi di alcuni risulta essere particolarmente ostica, aliena, noiosa, gratuita (e chi più ne ha più ne metta), il prodotto più o meno creativo di menti che, sempre nell’ottica degli alcuni di cui sopra, risultano essere quanto meno “spostate” rispetto a un ipotetico percorso di consueta, rassicurante e perfettamente inquadrabile “sanità” mentale? Ecco, proseguendo in tale ottica si potrebbe affermare che, nella migliore delle ipotesi al poeta si può forse riservare uno sguardo condiscendente, di paternale e patetica commiserazione… tanto, la sua voce ha decisamente scarse possibilità di essere udita; lasciamolo pure che parli, quindi, che canti, che ruggisca, che si lamenti, che pianga, che si adiri. Tanto, chi mai lo ascolterà, chi mai prenderà sul serio i suoi buffi e scomposti vaneggiamenti, i suoi bizzarri sproloqui…
Evidentemente questa mia è una paradossale provocazione (anche se nel paradosso di solito è compreso un maggior quantitativo di rivelazione e di “verità” rispetto a un qualsivoglia pensiero dogmatico, risoluto e assoluto). Tuttavia un qualche tangibile appiglio alla realtà è decisamente verificabile. Ci si chiede infatti, e non a caso, il perché, ovvero i perché della poesia, e non il perché, ovvero i perché, poniamo, della musica. A quest’ultima arte, infatti, credo che ciascuno possa, senza neppure dover rifletterci, attribuire numerosissime e variegate funzioni: la musica può rilassare, entusiasmare, esaltare, commuovere e così via. La stessa prosa, rimanendo in ambito letterario, riscuote successi più immediati e agevoli della versificazione poetica.
Di certo la poesia (come se poi ce ne fosse una e una sola, di poesia) solitamente presenta maggiori problemi di fruizione e di comprensione. La scrittura ellittica, concentrata che la caratterizzano necessita sicuramente di una maggiore attenzione e concentrazione da parte del lettore. Va inoltre detto che la metodologia scolastica tradizionale di apprendimento della poesia molte volte non aiuta e di certo non ha aiutato le possibilità di apprezzamento di un componimento poetico. Molti potranno ricordare l’apprendimento di una poesia a memoria come una sorta di tortura o quasi, con tutto ciò che ne consegue.
Va inoltre detto che la “questione poesia” va analizzata e interpretata, a mio modo di vedere, secondo una duplice ottica, vale a dire quella dell’autore e quella del lettore. Evidentemente nei due casi gli approcci possono talora coincidere (ogni autore è anche, a suo modo un autore, un creatore, un ri-creatore autonomo dell’opera), tuttavia il più delle volte tali approcci partono da esigenze, motivazioni e finalità diverse, talora diametralmente diverse.
In tal senso ciascuno potrebbe fornire molteplici, forse infinite ragioni individuali che lo portano ad avvicinarsi alla poesia, da poeta, da lettore o da entrambe le condizioni.
Ad ogni modo alcune ipotesi che personalmente ritengo possano essere portate a suffragio e a difesa dell’importanza di continuare a diffondere la poesia potrebbero essere ad esempio le seguenti (ripeto, le variabili in gioco sono, e debbono esserlo, innumerevoli).
La poesia (di certo non solo la poesia…) offre la possibilità, nonché il piacere forse difficile, ma sincero e profondo, di entrare in contatto con anime, con menti con cui ci si possa confrontare e con cui si possa dialogare, opzione che sempre più di rado ci viene offerta dalla vita. La poesia può essere quindi un momento di comunicazione, di compartecipazione, di dialogo, di confronto. La lettura può essere in parte un antidoto contro la solitudine.
La poesia, sempre rimanendo in ambito “medico” (ovvero “paramedico”), oltre che un antidoto può essere un anestetico (sia per il poeta sia per il lettore), che aiuta a sopportare le intemperie che inevitabilmente la vita ci propone. La poesia, e l’arte in genere, possono rendere la vita più “sopportabile”, sia dal punto di vista del creatore sia da quello del fruitore.
La poesia può offrire la rara e preziosa possibilità di considerare persone, cose, eventi che credevamo di conoscere perfettamente e definitivamente secondo un’ottica nuova, inedita, straniante, come se ogni cosa accadesse per la prima volta, come se ogni evento si verificasse per la prima volta, come se ogni persona si vedesse, si considerasse per la prima volta. La poesia può quindi gettare una luce nuova su ciò che credevamo noto, la poesia può costituire una fonte di rivelazione, un’illuminazione altrimenti impossibili da ottenere. La poesia può costituire la possibilità di recuperare uno sguardo, nei limiti del possibile, “vergine”, “puro”, alieno da pre-concetti, pre-giudizi (laddove questi due termini non vanno considerati secondo un’ottica negativa, ma come semplici, inequivocabili, dati di fatto).
Ancor più importante, probabilmente, la poesia può rappresentare un’occasione unica e impagabile di conoscenza di noi stessi. Il poeta, così come il lettore, può divenire il soggetto di epifanie rivelatrici del suo io più intimo, epifanie che altrimenti giammai riuscirebbe a vivere. E tutto ciò può comportare un processo di sviluppo di un “io” maggiormente cosciente, maggiormente consapevole di se e del mondo, maggiormente “autonomo”, secondo il significato originario del termine, come chi è in grado di darsi delle leggi con maggior consapevolezza, tenendo conto di un ventaglio di opzioni più ampio e multiforme.
Sia l’autore sia il lettore nel confrontarsi con la poesia possono incontrare la possibilità di incanalare, di concentrare in modo creativo, vivificante, le polifonie/polifobie dell’anima che lo tormentano, che lo affliggono. Almeno in parte, foss’anche in minima parte.
Queste sono solo alcune, probabilmente scomposte e non del tutto logiche, consequenziali, ipotesi che a mio modo di vedere, rendono ancora plausibile, motivato, persino pragmaticamente “utile” e fruttifero, un confronto intelligente e curioso con la poesia, confronto che evidentemente ha maggiori possibilità di accadere quanto più è diffusa l’esposizione all’evento poetico.
***
LA NOSTALGIA IN ANTICIPO
In questa notte
piena di vuoti,
e vuota di pieni,
il nero,
assenza di luce,
presuppone tutti
i colori,
e il silenzio,
assenza di voce,
tutte
le risposte.
La nostalgia in anticipo
è una figurina sottile,
un’animula insidiosa,
che, com’inestricabil ragnatela
avvolge e spegne ogni qual cosa.
La nostalgia in anticipo
è l’immancabil commensale
che giammai venne invitato,
è il pomo soavissimo
che già in sé nutre e alleva
il baco che prima o poi
lo corromperà.
***
Giorgio De Marco è nato a Gorizia nel 1970, città in cui attualmente vive e lavora come insegnante d’inglese.
E’ laureato in Lingue e Letterature Straniere presso l’Università di Udine con tesi sulla poesia di Allen Ginsberg (“Dalla ragione alla “visione”: itinerario conoscitivo nella poesia di Allen Ginsberg”) di cui un estratto è stato pubblicato sulla rivista scientifica specializzata dell’ateneo stesso.
Ha conseguito il Dottorato di ricerca presso l’Università di Bologna con una tesi riguardante il “Long Poem” nella Letteratura Canadese (“A partire da Goldsmith: percorsi ed intenti mitopietici e conoscitivi nel “Long Poem” narrativo canadese”).
Ha ricevuto abilitazione all’insegnamento della lingua e della cultura inglese negli istituti d’istruzione secondaria di primo e secondo presso la SSISS dell’Università di Udine con una dissertazione riguardante l’utilizzo delle arti visive e della musica nella didattica della lingua inglese (“Visual arts and music in teaching English literature”).
E’ chitarrista e compositore diplomato al Conservatorio “G. Tartini” di Trieste e al C.P.M. (chitarra jazz) di Milano.
– Negli anni 2002, 2003 e 2004 ha tenuto dei corsi di lingua italiana, di letteratura inglese e angloamericana presso la facoltà di lingue straniere dell’università “INYAZ” di Omsk (Siberia, Russia) e presso l’Università Linguistica Statale di Mosca.
– Nel 2000 ha pubblicato la raccolta poetica “Cantare di Ocram”, di cui alcune poesie sono entrate a far parte dell’antologia “Anni 2000- Esemplari del linguaggio poetico contemporaneo” e, tradotte in inglese, nell’antologia “Emerging poets at the end of the Millennium”. Ha inoltre curato e pubblicato diversi testi di tipo critico-letterario come articoli, recensioni e prefazioni relative a opere di altri autori.
– Nel 2005 ha tradotto, dal russo all’italiano, una raccolta di racconti di A. Cechov e una storia della Guardia Svizzera Vaticana.
– Nel 2000 ha pubblicato la raccolta poetica “Cantare di Ocram”, di cui alcune poesie sono entrate a far parte dell’antologia “Anni 2000- Esemplari del linguaggio poetico contemporaneo” e, tradotte in inglese, nell’antologia “Emerging poets at the end of the Millennium”. Ha inoltre curato e pubblicato diversi testi di tipo critico-letterario come articoli, recensioni e prefazioni relative a opere di altri autori. Alcune di questi e altri testi sono pubblicati sul blog: http://marcodegiorgio.blogspot.it/